Privatizzazioni di massa e mortalità

di Pirous Fateh-Moghadam

privatizzazioneUno studio pubblicato su Lancet esplora le cause dell’eccesso di mortalità che ha accompagnato la fase di transizione verso l’economia di mercato dei Paesi dell’Europa orientale e dell’ex-Unione Sovietica dal 1989 al 2002.

È noto da tempo che la transizione dall’economia pianificata dei Paesi dell’Europa orientale e dell’ex-Unione Sovietica all’economia di mercato abbia prodotto conseguenze devastanti sulla salute. L’UNICEF attribuisce oltre 3 milioni di morti premature alla transizione al capitalismo[1]; il programma di sviluppo delle Nazioni Unite (United Nations Development Programme – UNDP) stima in oltre 10 milioni il numero degli uomini scomparsi a causa del cambiamento di regime[2]; e, nonostante siano passati oltre 15 anni dall’inizio della transizione, in solo poco più della metà dei Paesi ex-comunisti è stata raggiunta l’aspettativa di vita registrata nel periodo antecedente la transizione[3].

Questi dati vengono ripresi nell’introduzione di un recente studio pubblicato da Lancet[4] che ritorna sull’argomento della mortalità associata alla transizione al capitalismo con l’obiettivo di fare luce sui meccanismi che potrebbero stare alla base del fenomeno e delle differenze osservate tra i diversi Paesi post-comunisti; i risultati sono interessanti e assumono un significato particolare in questa fase di crisi mondiale del capitalismo.

David Stuckler e Lawrence King del Dipartimento di Sociologia, dell’Università di Cambridge e Martin Mc Knee della London School of Hygiene e Tropical Medicine, hanno analizzato i tassi di mortalità standardizzati per età di uomini in età lavorativa (15-59 anni) dal 1989 al 2002 dei Paesi post-comunisti dell’Europa orientale e dell’ex-Unione Sovietica. Dall’analisi dei dati è risultato che i programmi di privatizzazione di massa sono associati in maniera statisticamente significativa con l’aumento di circa il 13% della mortalità a breve termine. In termini assoluti questo corrisponderebbe, nel periodo considerato, a circa 1 milione di morti tra gli uomini in età lavorativa, dovuti alla “terapia d’urto” della privatizzazione. La privatizzazione di massa è stata definita dagli autori come il trasferimento di almeno il 25% delle aziende statali al settore privato entro 2 anni.

Ma quale è il meccanismo attraverso il quale la privatizzazione produce i suoi effetti mortali? A questo proposito emerge chiaramente come l’aumento della disoccupazione sia in realtà il fattore di rischio che contribuisce maggiormente alla mortalità, confermando l’importanza fondamentale dell’occupazione nell’influenzare lo stato di salute della popolazione, una importante considerazione anche per l’Italia in vista dei prevedibili licenziamenti dovuti alla crisi economica mondiale. Ma non è solo la disoccupazione il fattore che media tra privatizzazione e mortalità, fanno osservare gli autori dello studio. In Unione Sovietica insieme al posto di lavoro era garantita anche la casa, l’educazione, gli asili nido e i servizi di prevenzione. Quindi “perdendo il lavoro si è perso anche tutto il resto”, come afferma Mc Knee in un’intervista della BBC a commento dello studio.

Importante notare che gli effetti della privatizzazione non sono stati gli stessi in tutti i Paesi analizzati. Proprio dal confronto tra i diversi Paesi sono emerse alcune informazioni supplementari molto interessanti. Risulta per esempio un rapporto inversamente proporzionale tra l’effetto sulla mortalità della privatizzazione e il capitale sociale. Gli effetti negativi della privatizzazione diminuiscono gradualmente con l’aumento del capitale sociale dei diversi Paesi e nei Paesi in cui più del 45% della popolazione faceva parte di una qualche organizzazione sociale (associazioni di volontariato, sindacati, comunità religiose, etc.), la privatizzazione di massa non aveva più effetti significativi sulla mortalità (slide 1).


Slide 1. Interazione tra privatizzazioni di massa e capitale sociale

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Un altro fattore decisivo nel modulare l’effetto della privatizzazione è la velocità con cui i processi di trasferimento di proprietà si sono verificati. Nei Paesi in cui si è proceduto ad un lento e progressivo passaggio, gli effetti negativi della privatizzazione sono stati molto meno pronunciati (Bielorussia e Paesi dell’Europa orientale) fino ad essere neutralizzati del tutto in qualche caso.
Il confronto tra i livelli di mortalità degli uomini adulti correlati con l’intensità della privatizzazione in Russia e Bielorussia è proposto nella slide 2. A partire da questi risultati gli autori raccomandano particolare cautela nei processi di trasformazione economica previsti in Paesi quali Cina, India, Egitto o Iraq (dove il processo di privatizzazione della proprietà statale è appena iniziato).

Slide 2. Privatizzazioni di massa e tassi di mortalità tra gli adulti maschi. 1989-2002: Russia e Bielorussia


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Le cause biomediche dirette della mortalità (determinanti prossimali) non sono state oggetto dell’indagine, tuttavia è emerso da altri studi, citati da Stuckler nella parte di discussione dello studio, che queste siano verosimilmente da ricondurre alla diffusione di fattori di rischio comportamentali come il consumo di alcol, il fumo di tabacco e la cattiva nutrizione. È infatti generalmente noto che gli stili di vita sani seguono un gradiente sociale, che vede penalizzati i disoccupati, i ceti meno abbienti e meno istruiti, un fatto valido pure in l’Italia, come viene anche documentato dai risultati del sistema di monitoraggio degli stili di vita PASSI[5]. Inoltre, nella patogenesi delle malattie cardio-vascolari, che hanno contribuito in misura notevole all’incremento della mortalità soprattutto delle persone di mezz’età, giocano un ruolo meno definito ma non meno importante, anche fattori di rischio di natura psico-sociale, lo stress socio-economico e la percezione della mancanza di controllo sugli eventi[6].

Risale proprio agli anni della terapia d’urto capitalistica nei Paesi ex-comunisti la pubblicazione del “Libro nero del comunismo” di Stéphane Courtois[7], una raccolta dei crimini del “comunismo”, categoria usata indiscriminatamente dall’autore con la finalità di denunciare in maniera generalizzata una vicenda storica considerata totalmente aberrante e criminale. Da allora, per gli esponenti politici ed intellettuali delle classi dominanti tale impostazione è rimasta l’orizzonte mentale entro il quale cercare di ingabbiare l’opinione pubblica al fine di rafforzare l’ideologia del pensiero unico, secondo cui l’economia di mercato rappresenterebbe l’unica e migliore forma di vita socio-economica possibile in eterno su questo pianeta.

Un’analisi più differenziata e critica delle drammatiche vicende del ‘900 e della transizione dall’economia pianificata a quella di mercato potrebbe invece contribuire alla riformulazione di ipotesi che mentre condannano fermamente i crimini commessi dai diversi regimi comunisti evitando qualsiasi forma di minimizzazione, nel contempo osino comunque prendere in considerazione il superamento del capitalismo. Infatti l’unico effetto positivo che l’attuale crisi economica mondiale potrebbe avere è proprio quello di allargare la breccia nella gabbia concettuale del pensiero unico, rendendo di nuovo disponibile all’opinione pubblica l’intera tavolozza di possibili opzioni per affrontare la crisi, comprese quelle che trascendono lo stato di cose esistenti.

Dallo studio di Stuckler emerge anche che l’organizzazione dei cittadini in associazioni politicamente e socialmente attive risulta avere un forte effetto protettivo nei confronti degli effetti negativi sulla salute provocati da crisi e disoccupazione. In altre parole non occorre far leva sui buoni sentimenti di altruismo per promuovere l’impegno sociale, basterebbe già il sano istinto di autoconservazione. Viene quindi naturale concludere questa riflessione con l’invito di essere “egoisti”, impegnandosi nel sociale.

Bibliografia

  1. UNICEF. A decade of transition. Monitoring Central and Eastern Europe Project. Florence, Italy: UNICEF, 2001.
  2. UNDP. Transition 1999. Human Development Report for Eastern Europe and the CIS. New York: UNDP REBEC, 1999.
  3. World Bank. World Development Indicators (2007 edn).Washington DC: World Bank, 2007.
  4. David Stuckler, Lawrence King, Martin McKee. Mass privatisation and the post-communist mortality crisis: a cross-national analysis. The Lancet 2009; 373 (9661): 399 – 407
    doi:10.1016/S0140-6736(09)60005-2
  5. Risultati del sistema di monitoraggio PASSI (progressi delle azienda sanitarie in Italia).
  6. Men T, Brennan P, Boffetta P, Zaridze D. Russian mortality trends for 1991-2001: analysis by cause and region. BMJ 2003; 327;964.
  7. Stéphane Courtois. Il libro nero del comunismo. Mondadori, 1998 (Collana Le Scie).

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