La questione dell'immigrazione e la delinquenza
Parlare di extracomunitari oggi significa parlare di delinquenza e criminalità.nell'immaginario collettivo la questione dell'immigrazione è legata, per lo più, agli strumenti di tipo repressivo che bisogna utilizzare per contrastare i fenomeni di microdelinquenza che occupano le pagine dei giornali.
Lo spunto "moralista" da cui si parte è questo: Queste persone arrivano nel nostro paese e si devono adattare alle regole di convivenza ed ai valori che ci siamo dati in questa comunità".
Da qui il passaggio ad una assimilazione di questi sotto tutti i profili(comportamento adeguato e consono al vivere civile, costumi ed abbigliamento, valori culturali e religiosi etc.) è un passo obbligato secondo la maggior parte degli opinionisti e del sentire comune.
Prima ancora del fatto delinquenziale quello che ci interessa è l'assimilazione "culturale" di questi soggetti.
Una delle motivazioni di fondo è la paura della perdita di un'identità che è una sintesi di razza, radici religiose e stile di vita che identificano l'uomo e la donna italiana.
Che dietro questa inesorabile conquista ci siano dati "oggettivi" e fenomeni epocali difficilmente contrastabili, con le parole e le norme, è una cosa che sembra non interessare nessuno.
Basterebbe citare, dentro i nostri confini l'invecchiamento della popolazione, la necessità( per il sistema contributivo,economico e civile )di nuove braccia in sostituzione di quelle che strutturalmente mancano per mantenere un equilibrio di sostenibilità del nostro sistema di vita.
Fuori dai nostri confini, la migrazione di milioni di persone in funzione dei cambiamenti climatici e dei fenomeni di desertificazione con la conseguente mancanza di risorse primarie per la sopravvivenza, lo sviluppo di un'economia predatrice di materie prime in quei paesi in cambio del nulla, il disinteresse allo sviluppo di una classe dirigente locale in grado di gestire le tensioni sociali e dare risposte alla domanda di giustizia ed equità.
Neanche la storia ci ha insegnato molto ed i fenomeni di migrazione di massa, in cerca di nuove condizioni ed opportunità di vita, che hanno portato al disfacimento di imperi sono un segnale troppo lontano nel tempo.
Il punto da cui si dovrebbe partire, per me, è la convenienza ad accelerare fenomeni d'integrazione tra i vari soggetti e le varie culture, che abbia l'obiettivo di creare una nuova comunità multietnica e che trovi nella necessità della convivenza e del rispetto dell'altro la sua principale prospettiva di sopravvivenza.
Sul fenomeno dell'immigrato, come soggetto debole e portato a delinquere, ci sono due documenti che analizzano la situazione delle carceri italiane.
Nello studio della IRES vengono elaborati una serie di dati e correlati ai fenomeni a cui danno vita.
Nel 1990 l'incidenza della popolazione carceraria extracomunitaria era del 13,1%
Nel 2003 si è passati al 29,3%
Tale fenomeno è tipico degli stati occidentali in cui si manifestano massicci flussi migratori (gli USA detengono il record), ed andrebbe correlato alla crescita della incidenza della popolazione extracomunitaria rispetto a quella locale.
Un 1° dato che viene messo in evidenza è che gli italiani riescono ad utilizzare in modo maggiore le pene alternative alla detenzione.
Questo in ragione di due elementi:
1- possibilità di un lavoro stabile
2- consolidata rete di relazioni famigliari
La seconda analisi riguarda la tipologia di reati consumati e l'incidenza di quanto, su questi, pesino gli immigrati.
A giugno 2003 la popolazione carceraria era di 215.514 persone.
Tre tipologie di reato, da sole, ne assorbivano più del 50% (Spaccio e detenzione di droga 32.000 reclusi, legge sulle armi 37.000, reati contro il patrimonio 64.225)
Per quanto riguarda il contributo degli extracomunitari alla popolazione carceraria, in fz. dei singoli reati, a quella data la situazione era la seguente:
Associazione di stampo mafioso 0.2%
Reati economici 0.9%
legge armi 5.5%
reati contro il patrimonio 16,7%
Droga e spaccio 33%
Prostituzione 75%
Legge stranieri 85%
Il terzo elemento è la presenza preponderante di "clandestini" nella popolazione carceraria.
Quello che il dott. Alain Gaussot mette in evidenza in una ricerca simile, è la sostituzione della manovalanza italiana, con extracomunitari, nelle organizzazioni criminali, in particolar modo nel commercio e spaccio di droga e prostituzione.
L'altra questione evidenziata è come le organizzazioni criminali si siano spartite la filiera, in modo da far occupare ai soggetti maggiormente deboli e ricattabili gli ultimi anelli della catena.
Una filiera che può essere rappresentata da un'organizzazione che si occupa del trasferimento di braccia (tratta),una della manipolazione (locale) e logistica per il prodotto/servizio, una della organizzazione finanziaria per l'investimento e la gestione del surplus (mafia, camorra e organizzazioni locali). Una sorta di riproposizione della catena del valore che si studia nelle varie università di economia e di business.
Questo modello organizzativo ha bisogno di norme repressive e di politiche di emarginazione per poter contare su una massa di sottoproletari da impiegare a bassissimo costo e pochi rischi.
Processi sociali inclusivi, in grado di dare opportunità e strutture a queste persone toglierebbero loro una parte del mare in cui nuotano.
L'altra questione riguarda una politica di lotta alla criminalità che miri maggiormente alla testa piuttosto che alle braccia.
Esiste, su questo fronte, una classe politica lungimirante?
Voglio chiudere questo articolo con un dato sull'utilizzo dei clandestini da parte dell'economia "lecita".
Da giugno 2006, a Torino, sono stati controllati 169 cantieri. Di questi 63 hanno riscontrato irregolarità urbanistiche ed in 28 è stato individuato l'utilizzo di clandestini. Otto datori di lavoro sono stati denunciati.
Sarebbe interessante estendere il controllo alle centinaia di boite e fabbriche dell'interland.
Una domanda: secondo voi, di quanto si è ingrossato l'esercito dei potenziali criminali con quei clandestini spariti dai cantieri?
Lo spunto "moralista" da cui si parte è questo: Queste persone arrivano nel nostro paese e si devono adattare alle regole di convivenza ed ai valori che ci siamo dati in questa comunità".
Da qui il passaggio ad una assimilazione di questi sotto tutti i profili(comportamento adeguato e consono al vivere civile, costumi ed abbigliamento, valori culturali e religiosi etc.) è un passo obbligato secondo la maggior parte degli opinionisti e del sentire comune.
Prima ancora del fatto delinquenziale quello che ci interessa è l'assimilazione "culturale" di questi soggetti.
Una delle motivazioni di fondo è la paura della perdita di un'identità che è una sintesi di razza, radici religiose e stile di vita che identificano l'uomo e la donna italiana.
Che dietro questa inesorabile conquista ci siano dati "oggettivi" e fenomeni epocali difficilmente contrastabili, con le parole e le norme, è una cosa che sembra non interessare nessuno.
Basterebbe citare, dentro i nostri confini l'invecchiamento della popolazione, la necessità( per il sistema contributivo,economico e civile )di nuove braccia in sostituzione di quelle che strutturalmente mancano per mantenere un equilibrio di sostenibilità del nostro sistema di vita.
Fuori dai nostri confini, la migrazione di milioni di persone in funzione dei cambiamenti climatici e dei fenomeni di desertificazione con la conseguente mancanza di risorse primarie per la sopravvivenza, lo sviluppo di un'economia predatrice di materie prime in quei paesi in cambio del nulla, il disinteresse allo sviluppo di una classe dirigente locale in grado di gestire le tensioni sociali e dare risposte alla domanda di giustizia ed equità.
Neanche la storia ci ha insegnato molto ed i fenomeni di migrazione di massa, in cerca di nuove condizioni ed opportunità di vita, che hanno portato al disfacimento di imperi sono un segnale troppo lontano nel tempo.
Il punto da cui si dovrebbe partire, per me, è la convenienza ad accelerare fenomeni d'integrazione tra i vari soggetti e le varie culture, che abbia l'obiettivo di creare una nuova comunità multietnica e che trovi nella necessità della convivenza e del rispetto dell'altro la sua principale prospettiva di sopravvivenza.
Sul fenomeno dell'immigrato, come soggetto debole e portato a delinquere, ci sono due documenti che analizzano la situazione delle carceri italiane.
Nello studio della IRES vengono elaborati una serie di dati e correlati ai fenomeni a cui danno vita.
Nel 1990 l'incidenza della popolazione carceraria extracomunitaria era del 13,1%
Nel 2003 si è passati al 29,3%
Tale fenomeno è tipico degli stati occidentali in cui si manifestano massicci flussi migratori (gli USA detengono il record), ed andrebbe correlato alla crescita della incidenza della popolazione extracomunitaria rispetto a quella locale.
Un 1° dato che viene messo in evidenza è che gli italiani riescono ad utilizzare in modo maggiore le pene alternative alla detenzione.
Questo in ragione di due elementi:
1- possibilità di un lavoro stabile
2- consolidata rete di relazioni famigliari
La seconda analisi riguarda la tipologia di reati consumati e l'incidenza di quanto, su questi, pesino gli immigrati.
A giugno 2003 la popolazione carceraria era di 215.514 persone.
Tre tipologie di reato, da sole, ne assorbivano più del 50% (Spaccio e detenzione di droga 32.000 reclusi, legge sulle armi 37.000, reati contro il patrimonio 64.225)
Per quanto riguarda il contributo degli extracomunitari alla popolazione carceraria, in fz. dei singoli reati, a quella data la situazione era la seguente:
Associazione di stampo mafioso 0.2%
Reati economici 0.9%
legge armi 5.5%
reati contro il patrimonio 16,7%
Droga e spaccio 33%
Prostituzione 75%
Legge stranieri 85%
Il terzo elemento è la presenza preponderante di "clandestini" nella popolazione carceraria.
Quello che il dott. Alain Gaussot mette in evidenza in una ricerca simile, è la sostituzione della manovalanza italiana, con extracomunitari, nelle organizzazioni criminali, in particolar modo nel commercio e spaccio di droga e prostituzione.
L'altra questione evidenziata è come le organizzazioni criminali si siano spartite la filiera, in modo da far occupare ai soggetti maggiormente deboli e ricattabili gli ultimi anelli della catena.
Una filiera che può essere rappresentata da un'organizzazione che si occupa del trasferimento di braccia (tratta),una della manipolazione (locale) e logistica per il prodotto/servizio, una della organizzazione finanziaria per l'investimento e la gestione del surplus (mafia, camorra e organizzazioni locali). Una sorta di riproposizione della catena del valore che si studia nelle varie università di economia e di business.
Questo modello organizzativo ha bisogno di norme repressive e di politiche di emarginazione per poter contare su una massa di sottoproletari da impiegare a bassissimo costo e pochi rischi.
Processi sociali inclusivi, in grado di dare opportunità e strutture a queste persone toglierebbero loro una parte del mare in cui nuotano.
L'altra questione riguarda una politica di lotta alla criminalità che miri maggiormente alla testa piuttosto che alle braccia.
Esiste, su questo fronte, una classe politica lungimirante?
Voglio chiudere questo articolo con un dato sull'utilizzo dei clandestini da parte dell'economia "lecita".
Da giugno 2006, a Torino, sono stati controllati 169 cantieri. Di questi 63 hanno riscontrato irregolarità urbanistiche ed in 28 è stato individuato l'utilizzo di clandestini. Otto datori di lavoro sono stati denunciati.
Sarebbe interessante estendere il controllo alle centinaia di boite e fabbriche dell'interland.
Una domanda: secondo voi, di quanto si è ingrossato l'esercito dei potenziali criminali con quei clandestini spariti dai cantieri?
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