La guerra tra generazioni
la differenza tra sinistra e destra è data dal modo di analizzare la realtà sociale, i meccanismi economici, i rapporti di forza tra le classi e gli interessi che le politiche dei due schieramenti rappresentano.
questa differenza parte da un'idea di società completamente diversa, in cui l'individuo , per noi, è parte integrante di una comunità e che a questa deve rendere conto limitando, se necessario, i suoi interessi se questi vanno contro l'interesse generale.
si parte dai rapporti di produzione, da come viene creata la ricchezza e come questa viene distribuita.si guarda ai fatti materiali e li si scompone al netto da qualsiasi enfasi "morale".li si guarda e li si analizza per quello che questi rapporti rappresentano.in questa visione e lettura sono chiari i confini tra le varie componenti sociali e tra le classi in cui i loro interessi si consolidano.
la missione della sinistra dovrebbe essere quella di eliminare le differenze, rendere fruibile una vita che non dia possibilità solo in funzione di quello che accumuli nel tempo.dovrebbe essere quella di alimentare la solidarietà tra chi più paga a questo sistema invece di dividere.dovrebbe dare temi ed una visione della società diversa e non banalmente uguale a quella che si riproduce ogni giorno.
questo bagaglio ideologico lo vogliono cancellare.non esistono le classi, i rapporti di produzione sono un fatto meccanico che sembrano non produrre diseguaglianza e discriminazione ma solo opportunità che devono essere colte.l'egoismo non è fatto addebitabile ad una classe d'individui privilegiati economicamente, l'egoismo è diventato un fatto generazionale e deve essere sconfitto nel nome del bene della nazione.
cosa è oggi il mondo del lavoro?che tipo di occupazione si produce? l'obiettivo è quello di azzerare conquiste costate sangue e sacrifici o quello di fare crescere la coscienza di chi oggi è sfruttato e debole?chi sono i veri nemici?
nel 2006,l'occupazione, rispetto al 2005 è cresciuta del 1,9%.
se viene disaggregato questo numero mostra la sua reale composizione.
tra i dipendenti, i lavoratori a tempo parziale sono cresciuti del 5,3%, quelli a tempo pieno dello 0,7%.nei contratti a termine la crescita è stata del 9,7%, con maggiore crescita dei contatti part time (10,8% contro il 9,4%).
questi sono i dati di fonte istat per il 2006.in pratica cresce il mondo del lavoro precario e mal retribuito.
il metodo di rilevazione è abbastanza curioso.anche per arrivare a questi numeri, quello che viene misurato è un campione di 77 mila famiglie pari a circa 175 mila individui.per occupati si intendono tutti coloro i quali nella settimana a cui si riferisce l'intervista hanno svolto almeno un'ora di lavoro retribuito.non esistono statistiche su quanti il lavoro hanno smesso di cercarlo. cosi' come si può immaginare cosa significhi in termini di reddito spendibile un'articolazione del tipo misurata della forza lavoro, si può avere un'idea della qualità dei lavori che le aziende offrono a schiere di diplomati e laureati disoccupati.
una ricerca di emiliano mandrone ed enrico massarelli indica in 3 milioni 575 mila il mondo del precariato in Italia.di questi 948 mila risultavano non più occupati.
la guerra è tra chi ha poco oggi e chi non avrà nulla domani.
secondo il pensiero prevalente questo non dipende da fattori dominanti quali il modo in cui le risorse vengono distribuite, dipende dall'egoismo di chi vuole conservare quel poco che è rimasto dopo una vita di lavoro.
il nemico oggi è diventato un povero straccione di pensionato che non vuole rinunciare ai suoi 1.000€ di pensione, che si ostina a pensare di avere diritto ad una qualità di vita diversa dopo 35 anni di lavoro.contro questo straccione devono lottare i milioni d'individui precari.perchè questa è la nuova frontiera della lotta di classe.non più proletari contro padroni ma precari e co.co.co. contro pensionati della fiat.
questa differenza parte da un'idea di società completamente diversa, in cui l'individuo , per noi, è parte integrante di una comunità e che a questa deve rendere conto limitando, se necessario, i suoi interessi se questi vanno contro l'interesse generale.
si parte dai rapporti di produzione, da come viene creata la ricchezza e come questa viene distribuita.si guarda ai fatti materiali e li si scompone al netto da qualsiasi enfasi "morale".li si guarda e li si analizza per quello che questi rapporti rappresentano.in questa visione e lettura sono chiari i confini tra le varie componenti sociali e tra le classi in cui i loro interessi si consolidano.
la missione della sinistra dovrebbe essere quella di eliminare le differenze, rendere fruibile una vita che non dia possibilità solo in funzione di quello che accumuli nel tempo.dovrebbe essere quella di alimentare la solidarietà tra chi più paga a questo sistema invece di dividere.dovrebbe dare temi ed una visione della società diversa e non banalmente uguale a quella che si riproduce ogni giorno.
questo bagaglio ideologico lo vogliono cancellare.non esistono le classi, i rapporti di produzione sono un fatto meccanico che sembrano non produrre diseguaglianza e discriminazione ma solo opportunità che devono essere colte.l'egoismo non è fatto addebitabile ad una classe d'individui privilegiati economicamente, l'egoismo è diventato un fatto generazionale e deve essere sconfitto nel nome del bene della nazione.
cosa è oggi il mondo del lavoro?che tipo di occupazione si produce? l'obiettivo è quello di azzerare conquiste costate sangue e sacrifici o quello di fare crescere la coscienza di chi oggi è sfruttato e debole?chi sono i veri nemici?
nel 2006,l'occupazione, rispetto al 2005 è cresciuta del 1,9%.
se viene disaggregato questo numero mostra la sua reale composizione.
tra i dipendenti, i lavoratori a tempo parziale sono cresciuti del 5,3%, quelli a tempo pieno dello 0,7%.nei contratti a termine la crescita è stata del 9,7%, con maggiore crescita dei contatti part time (10,8% contro il 9,4%).
questi sono i dati di fonte istat per il 2006.in pratica cresce il mondo del lavoro precario e mal retribuito.
il metodo di rilevazione è abbastanza curioso.anche per arrivare a questi numeri, quello che viene misurato è un campione di 77 mila famiglie pari a circa 175 mila individui.per occupati si intendono tutti coloro i quali nella settimana a cui si riferisce l'intervista hanno svolto almeno un'ora di lavoro retribuito.non esistono statistiche su quanti il lavoro hanno smesso di cercarlo. cosi' come si può immaginare cosa significhi in termini di reddito spendibile un'articolazione del tipo misurata della forza lavoro, si può avere un'idea della qualità dei lavori che le aziende offrono a schiere di diplomati e laureati disoccupati.
una ricerca di emiliano mandrone ed enrico massarelli indica in 3 milioni 575 mila il mondo del precariato in Italia.di questi 948 mila risultavano non più occupati.
la guerra è tra chi ha poco oggi e chi non avrà nulla domani.
secondo il pensiero prevalente questo non dipende da fattori dominanti quali il modo in cui le risorse vengono distribuite, dipende dall'egoismo di chi vuole conservare quel poco che è rimasto dopo una vita di lavoro.
il nemico oggi è diventato un povero straccione di pensionato che non vuole rinunciare ai suoi 1.000€ di pensione, che si ostina a pensare di avere diritto ad una qualità di vita diversa dopo 35 anni di lavoro.contro questo straccione devono lottare i milioni d'individui precari.perchè questa è la nuova frontiera della lotta di classe.non più proletari contro padroni ma precari e co.co.co. contro pensionati della fiat.
Commenti
1. il dato sul precariato non mi sembra verosimile (contano anche gli stage curricolari o gli studenti che nei weekend vanno a fare i commessi? contano due volte una persona se ha avuto due lavori in un anno?): erano 800.000 a novembre 2006. naturale che partendo da un numero base così basso l'incremento percentuale sia maggiore che quello dei posti a tempo indeterminato, ma se vedessimo in valori assoluti la realtà sarebbe un'altra: e cioè che dall'approvazione dello sciagurato pacchetto treu (che comunque può e deve essere migliorato) i posti a tempo indeteminato sono aumentati (in valori assoluti) molto più di quelli precari. un milione e mezzo a mezzo milione facendo due conti con l'accetta...
2. le pensioni sono basse: è vero. i giovani versano pochi contributi e prenderanno una pensione ancora più bassa: è altrettanto vero. ma il problema dell'insostenibilità contabile del sistema pensionistico non c'entra che pochissimo con il precariato (si son fatte riforme draconiane sulle pensioni anche prima della legge treu!), semmai il precariato rende il sistema SOCIALMENTE insostenibile (cioè i giovani prenderanno pensioni miserrime). il punto è che la vita media si è allungata e l'età media di pensionamento invece è scesa: per questo le pensioni sono misere. l'unica soluzione possibile è lavorare più a lungo tutti, sennò i soldi li puoi anche girare da qui a lì ma rimane una lotta tra poveri. in tutto questo i pensionati che c'entrano??? sono quelli che lavorano e le future generazioni che pagheranno la correzione.
per quanto riguarda il dettaglio ed i valori assoluti
L'occupazione nel 2006 media dell'anno (fonte istat)
Totale occupati 22.988 +1,9%
di cui a tempo pieno 19934 +1,4
a tempo parziale 3054 +5,4
Dipendenti permanenti
a tempo pieno 12693 +0,7
a tempo parziale 1815 +5,3
a termine 2.222 +9,7
Indipendenti 6.073 +0,7
Per quanto riguarda il precariato l'indagine del 2005 è Dell'Isfol Plus.
anche qui i dati disaggregati danno la seguente situazione
dipendenti a termine
1979000
Co.co.co
394000
collaboratori occasionali
71000
partite iva pari co,co.co
365000
totale 2809000
a questi si sommano 948000 non più occupati.
Abbiamo due visioni completamente opposte della questione, se non ci sono risorse per chi lavora è difficile che si possa pensare ad un futuro che garantisca qualcosa a loro.
la legge Biagi oltre che vituperata è una legge che dovrebbe essere tolta di mezzo.
Che sia insostenibile il sistema è da dimostrare.
ti riporto un recente articoletto
fonte la Repubblica
Sono i pensionati che finanziano il bilancio pubblico, e non viceversa. L’affermazione, decisamente controcorrente, è contenuta nel “Rapporto sullo Stato sociale 2007”, presentato oggi, 27 giugno, all’università di Roma La Sapienza. La tesi è sostanziata da una tabella a pagina 231 del Rapporto. Il saldo tra spesa e prestazioni è negativo per circa 50 miliardi di euro, ma 30 di questi sono dovuti a prestazioni assistenziali (quelle a fronte delle quali non ci sono contributi versati e dovrebbero dunque essere poste a carico della fiscalità generale); rimarrebbe un deficit di 20 miliardi, ma lo Stato ne incassa quasi 28 dalla normale tassazione sul reddito dei pensionati. Alla fine, dunque, il saldo risulta attivo per il bilancio pubblico, per quasi 7.300 miliardi.
Il Rapporto, curato come ogni anno dall’economista Felice Roberto Pizzuti e promosso dal Dipartimento di economia pubblica della Sapienza e dal Criss (Centro di ricerca interuniversitario sullo Stato sociale, presieduto da Maurizio Franzini), contesta a suon di cifre una serie di affermazioni considerate scontate nel dibattito economico-politico. Sul costo dell’abolizione dello “scalone” previdenziale, per esempio: negli attuali conteggi, osserva il Rapporto, non si considera che la prospettiva dello “scalone” ha già modificato i comportamenti, accelerando la “fuga” dal lavoro di chi ha potuto permetterselo, mentre molti sono comunque obbligati a rimanere il più possibile – a prescindere da qualsiasi norma – per procrastinare la riduzione del reddito che avranno andando in pensione. Se si rifanno i conti tenendo conto di questi fattori, il costo dell’abolizione – o della trasformazione dello scalone di tre anni in tre scalini da un anno – risulta assai ridotto.
Quanto alla famosa “gobba”, cioè l’aumento della spesa per pensioni previsto intorno al 2030, era stata calcolata stimando l’ingresso di 150.000 lavoratori stranieri l’anno, ma la media degli ultimi anni è stata un numero più che doppio: tutti lavoratori che verseranno contributi che non erano stati considerati, facendo così sparire la “gobba”.
Credo che ci sia un'informazione molto interessata sulla materia.
quando uno mi scrive:
"il saldo tra spesa e prestazioni è negativo per circa 50 miliardi di euro, ma 30 di questi sono dovuti a prestazioni assistenziali (quelle a fronte delle quali non ci sono contributi versati e dovrebbero dunque essere poste a carico della fiscalità generale); rimarrebbe un deficit di 20 miliardi, ma lo Stato ne incassa quasi 28 dalla normale tassazione sul reddito dei pensionati. Alla fine, dunque, il saldo risulta attivo per il bilancio pubblico, per quasi 7.300 miliardi."
è IN MALAFEDE. come si può mettere insieme contributi previdenziali con la tassazione sul reddito? staimo parlando di sistema pensionistico o bilancio statale? il fatto che confonda volutamente le acque è confermato dal fatto che poi parla di gobba pensionistica (nell'articolo di repubblica) ma nessuno dice che la gobba è il problema... sono i conti dell'inps il problema. comunque, per tornare alla confusione tra contributi e tasse, allora, se proprio vogliamo fare i conti della serva, perchè non mettiamo quanto costano gli anziani in sanità, servizi sociali...? visto che mette in insieme contributi e tasse (cioè conti INPS e bilancio statale) allora tanto vale mettere anche la parte di spesa del bilancio statale e non solo le entrate. qui non si tratta di teorie economiche o cutrriculum, si tratta di confondere le acque: sono dati addomesticati per sostenere determinate posizioni politiche.
(senza contare che se si scorpora la parte di assistenza, cosa in sè cindivisibilissima, si deve anche dire dove si pescano i soldi per pagare l'assistenza. dalla tassazione generale, dal reddito, cioè ancora su giovani e pensionati... è una partita a giro!).
avrei anche ulteriori critiche all'articoletto, ma te le risparmio.
sulle pensioni ho anche scritto questo, lo troverai interessante perchè ci hi messo un mucchio di dati:
http://www.bloggoverno.net/2007/06/20/pensioni-una-riforma-complessa/
l'argomentazione che usi riguarda il sistema produttivo, e sono d'accordo. però ignori completamente il fatto che l'età in pensione si è allungata parecchio negli ultimi quarant'anni: vai a vedere nel post che linko e capisci il perchè del buco nei conti INPS. il mio non è solo un capriccio contabile, ma una questione di insostenibilità sociale ed equità intergenerazionale.
in quanto alla legge biagi ti devo smentire: è un passo avanti, nonstante la campagna ideologica della sinistra radicale. o meglio: SAREBBE un passo avanti se venisse fatta applicare, perchè riconosce dei diritti ed individua degli abusi.
Per quanto rigurda i dai li leggerò cosi' come ti consiglio di leggere il documento citato da Repubblica.
Per quanto riguarda la malafede ed i bilanci, quello dell'inps è un accrocchio che mette assieme pensioni ed assistenza. Questo è un fatto. E come sai l'assistenza (per intenderci anche i costi di mobilità) di solito si mettono a carico della fiscalità generale.
Biagi e la sua legge non sono un punto di partenza per parlare di diritti di chi lavora.
sulla biagi: non sono un giuslavorista, ma mi sono fatto spiegare da loud che sta appunto studiando diritto del lavoro, le novità della biagi: secondo lui la legge biagi ha migliorato il quadro normativo ma non quello reale perchè è rimasta inapplicata. guardando i numeri l'interpretazione regge, perchè non si riscontrano inversioni di trend prima e dopo la biagi. e se non bastasse ti ricordo che i decreti attuativi della biagi sono solo del 2004! tutto quanto è siccesso prima in termini occupazione/precarietà è merito e colpa della treu.
Per quanto riguarda la legge Biagi, hai ragione.Per semplificare questo discorso tutti ricordiamo lui dimenticandoci di Treu .
La questione, per quello che penso io, è prendere risorse dove ci sono.
Le dinamiche del mercato del lavoro vedono aumentare l'area della precarietà.Questa si porta dietro salari e condizioni generali (compresi contributi e risorse spendibili per il futuro)che vedono aumentare la forbice tra chi ha e chi ha poco o nulla.
La media del salario di un italiano è tra le più basse d'europa.in compenso la quantità di tempo dedicato al lavoro e tra i più alti (ultimi dati ocse).Con tutto questo riusciamo ad avere un sistema produttivo inefficiente e per nulla innovativo.
In questo paese c'è una questione sociale (reddito delle famiglie) che diventa ogni giorno più allarmante. la prospettiva e le politiche sul versante del diritto del lavoro e sui salari vanno nella direzione di impoverire, nel suo complesso, la società.
E' questo che vogliamo?
sul resto, ancora una volta, condivido la tua impostazione. abbiamo degli evidenti problemi di insostenibilità sociale del sistema pensionistico, scarsa emancipazione dei giovani, famiglie a rischio povertà e una rete sociale che garantisce solo i dipendenti della grande industria, ma dimentica i disoccupati, i precari e i dipendenti delle piccole aziende. senza contare che competere sui costi, tenendo bassi i salari e puntando su prodotti a basso valore aggiunto, per il nostro paese è una mossa suicida: se abbiamo un sistema produttivo asfittico è proprio perchè si è sempre puntato sul costo e non sull'innovazione e sulla qualità. ma con un valore aggiunto basso, come nel tessile, all'industriale conviene delocalizzare nei paesi in via di sviluppo.
il governo fa qualcosa: aggiunge qualche percetuale ai contributi dei precari, aumenta le regolarizzazioni, aumenta i controlli... ma la verità è che servirebbero un mucchio di soldi per delle politiche industriali e sociali nuove, e col debito che abbiamo i soldi scarseggiano. perdipiù quei pochi che ci sono vengono dilapidati in mille rivoli per accontentare ora l'uno e ora l'altro signorotto.
tutti provvedimenti sul lato delle entrate, in un paese dove la pressione fiscale è già considerevole. e sul lato delle uscite?
qualche mese fa in un articolo uscito sulla Stampa si parlava di 75 enti che duplicavano, nel Lazio, attività già svolte dall'amministrazione pubblica.
un costo tra consulenze, gettoni di presenza ed emolumenti per gli amministratori di circa 2 miliardi di euro all'anno.
nessuno ha smentito quell'articolo.
per due anni e mezzo ho fornito consulenza ad una società a partecipazione pubblica (Musinet engineering, partecipata Sitaf).
il presidente di quella società è un politico cosi' come il direttore generale.
la società che l'ha prodotta (esternalizzando alcune attività) ha un presidente (ex politico ed onorevole) che viaggia su macchina blu ed è pagato circa 300.00€ all'anno.
il presidente dell'autoporto di orbassano è un brillante signore che di logistica capisce come me di ostrogoto, eppure è lì con lauto compenso.questa non è certamente una colpa però a me fa incazzare.
nei consigli d'amministrazione di quelle società siedono persone che potrebbero svolgere lavori socialmente utili (come pulire i giardinetti)e forse si risparmierebbero un pò di soldi.
per rimanere ai privilegi, perchè alla chiesa è concesso di non pagare l'ici? possiedono il 20% del patrimonio immobiliare e non tutto ha come destinazione d'uso un ospedale o una mensa per poveri.
sempre sul versante tagli:perchè non ristrutturano l'esercito che a fronte di circa 80.000 soldati semplici ha 80.000 tra marescialli, sergenti ed ufficiali?
in quanto all'esercito, credo che sia la pubblica amministrazione più efficiente del paese: negli ultimi quindici anni ha quasi dimezzato gli effettivi, compresi ufficiali e sottufficiali.
sono d'accordo sull'ici agli edifici commerciali della chiesa, provvedimento clientelare del precedente governo.
Ha ragione Mario, si parla tanto di lotta agli sprechi, di revisioni di enti, comunità montane, società partecipate. Parte del risparmio può essere investita in una riorganizzazione del sistema pensionistico.
http://www.bloggoverno.net/2006/10/29/i-benefici-dellarmonizzazione-della-tassazione-sul-risparmio/
sul sistema pensionistico: forse non si è capita una cosa e cioè che lo stato sussidia pesantemente il sistema pensionistico. se riorganizzazione dev'essere deve portare risparmi non ulteriori spese e investire altrove (ammortizzatori sociali, istruzione, ricerca...). la soluzione è semplice e lineare: aumentare l'età pensionabile.
tanto quando ci arriverò io in pensione sarà di sicuro almeno 65 anni... :-P
a proposito di questo, visto che la tesi mia è quella di prendere risorse dove ci sono, e cioè presso quella classe d'individui che può dare,non ho capito perchè il tfr viene tassato al 23% per chi lo tiene in azienda con un recupero (eventuale) sulla media dell'aliquota degli ultimi 5 anni.un qualsiasi pronto contro termine è tassato al 12,5%.in pratica sui soldi dei lavoratori lo stato può esigere il 233%, sulle rendite finanziarie no!
per il resto,anche se condividiamo alcuni punti (mi devi però spiegare la storia dell'esercito perchè, nella mia esperienza, non ho mai visto organizzazioni in cui ci sono più comandanti rispetto a chi opera sul campo. e lì il rapporto è quasi di 1:1).rimaniamo molto distanti sul resto.non è un caso che, forse, io penso che il problema è la sperquazione in termini di ricchezza e risorse distribuite.
a margine, l'incidenza di quanto lo stato spende per la spesa sociale (pensioni + ammortizzatori di vario genere)è tra le più basse in Europa.gente come brunetta pensa che quel poco deve essere riequilibrato a favore degli ammortizzatori.in pratica un cazzo per tutti.
p.s.
auguri per la tua pensione.
io so solo che l'esercito ha già passato una fase di profonda riorganizzazione e tagli, anche per via del passaggio dalla leva all'esercito professionista. so che l'italia è paese occidentale che spende meno (in termini di PIL) in difesa, e molto meno, di altri paesi. non so come funzionano le gerarchie militari però, quindi non so spiegarti perchè ci sono così tanti sottufficiali ed ufficiali e se sarebbe bene tagliarne il numero (penso però che i sottufficiali siano operativi sul campo...).
sul resto: guarda, non ho la bacchetta magica ma penso che allo stato attuale la proposta migliore (anche se probabilmente un po' rivoluzionaria ed utopica) sia quello di giavazzi: ovvero flexsecurity alla danese, con ammortizzatori sociali pagati dalle imprese (una tassa sul licenziamento in modo che internalizzino i costi sociali delle loro "ristrutturazioni"). in tal modo si eliminerebbe il dualismo sul mercato del lavoro, si troverebbero le risorse per gli ammortizzatori, si risolverebbe la disparità di trattamento tra dipendenti delle grandi e delle piccole imprese. questo però al prezzo di una maggior flessibilità. il modello danese nei fatti funziona in termini di occupazione, soddisfazione, opportunità, aggiornamento... resta da vedere se e come potrebbe essere applicato nel nostro paese.
di seguito la tabella
Residenti Non Res.
Austria 25% No
Belgio 15% No
Danimarca No No
Finlandia No sui c/c bancari;
28% negli altri casi No
Francia 25% No su depositi bancari e obbligazioni;
15% negli altri casi
Germania 30% No
Grecia 7,5% - 20% 7,5% - 15%
Irlanda 10% - 24% No
Italia 12,5% su titoli pubblici e obbligazioni;
27% negli altri casi No su titoli pubblici e depositi bancari;
dal 12,5% al 27% negli altri casi
Lussemburgo No No
Olanda No No
Portogallo 15% - 20% 20%
Regno Unito 20% No
Spagna 25% No su titoli pubblici e depositi bancari;
25% negli altri casi
Svezia 30% No
Con un sistema europeo che prevede, in molti stati, una non tassazione per i non residenti, la questione del trasferimento di capitali all'estero indipendentemente dall'aliquota) è una roba che ha che fare con la lotta all'evasione fiscale e prevedere, di converso, una punizione dal punto di vista penale che sia uno degli strumenti di contrasto.
Dai, dimmi che stai scherzando...
KK
Che dici, ne vale la pena?
KK
Il fatto che i soldi siano o meno stati guadagnati lecitamente, e se siano stati tassati preventivamente, è un altro discorso. Nel momento in cui sono investiti, all'estero sono soggetti alla stessa imposizione cui sarebbero soggetti in Italia, solo con una aliquota diversa.
KK
se il signor x incassa soldi dal signor y (in nero) e poi se li porta in qualche paese in cui, come non residente, acquista azioni o titoli obbligazionari secondo te non commette un illecito? e per perseguire questo c'è bisogno di chiudere le frontiere oppure permettere che circoli l'informazione che consenta di colpire questa forma di "furto"?
anche nella ipotesi che decida di risiedere in quei posti e trasferisca soldi su cui non ha pagato le tasse (o chi per lui in Italia),per quanto mi riguarda, dovrebbe essere sanzionato penalmente.
Lo scambio di informazioni già esiste (sia pure con dei limiti), per quello non c'è certo bisogno di chiudere le frontiere.
Quest'ultima misura (meglio: l'uscita dalla UE) sarebbe necessraia se si volesse evramente fare quel che suggerivi nel post di sopra.
KK
Quindi oltre che punire l'azione quei soldi dovrebbero tornare a "casa".
continuo a non capire il nesso tra il chiudere le frontiere e l'azione penale nei confronti di chi ha quel comportamento.
Mario, non so come altro dirtelo: non c'è NESSUN nesso tra "chiudere le frontiere" e "l'azione penale", né mi sono mai sognato di scrivere il contrario (e di fatto non l'ho scritto).
Io ho detto una cosa completamente diversa: che, se vuoi evitare che i soldi vengano trasferiti altrove, l'unica cosa che puoi fare è chiudere le frontiere (e uscire dall'UE), perché attualmente trasferirli non è affatto vietato.
KK
solo quello.
Ho solo detto che si tratta di due cose differenti.
KK