Concentrazione , libero mercato e proprietà privata

L'approccio usato dal sottoscritto, per indagare e discutere di fenomeni di natura economica, è influenzato dal pensiero di Marx ed in particolare dai concetti che sono alla base del materialismo storico. Il metodo empirico d'indagine si avvale di "modelli teorici" che sebbene supportati da dall'osservazione empirica della realtà ne rappresentano un approssimativo esatto della stessa e non riescono ad andare oltre quella che Marxianamente possiamo definire come "la ricostruzione del pensiero di essa".
per andare oltre l'apparenza ci avvaliamo di un modello teorico e di un sistema di concetti sulla base dei quali ricostruiamo le leggi di movimento che regolano la natura del fenomeno.
Marx ci ha lasciato una esposizione della struttura e del funzionamento complessivo del "movimento reale dell'economia capitalista" , per questo non ci accontentiamo di indagare le forme particolari in forma di percezione spontanea del fenomeno, ma vogliamo descrivere il sistema di relazioni interne ed esterne che stanno alla base della sua genesi e del suo sviluppo.
I fenomeni dell'economia si presentano in forme storiche-congiunturali che ne modificano la forma ,senza per questo inficiare la validità delle leggi fondamentali che ne rappresentano la struttura portante.
Il paradosso del pensiero di Marx porta alla scoperta delle contraddizioni dello sviluppo del capitale, prima di dare qualche numero sui fenomeni oggetto del titolo del post ricordiamo cosa scrisse a proposito della proprietà privata:

"Ci si è rinfacciato, a noi comunisti, che vogliamo abolire la proprietà acquistata personalmente, frutto del lavoro diretto e personale; la proprietà che costituirebbe il fondamento di ogni libertà, attività e autonomia personale......Parlate della proprietà del minuto cittadino, del piccolo contadino che ha preceduto la proprietà borghese? Non c'è bisogno che l'aboliamo noi, l'ha abolita e la va abolendo di giorno in giorno lo sviluppo dell'industria"

Questo estratto ironizza su ciò che è movimento di un fenomeno nell'economia del capitale e su ciò che ideologicamente ne rappresenta una contraddizione. La polarizzazione della ricchezza e la concentrazione in poche mani dei mezzi di produzione, di per sé, oltre che elemento di diseguaglianza è fenomeno di esproprio di quel diritto che l'ideologia vorrebbe preservare.

In un paragrafo del suo libro "Come un'onda che sale e che scende", Volmann scrive (estratti):
"L'avvocato Clarence darrow credeva che le prigioni e i penitenziari di tutti i paesi del mondo fossero pieni fino a traboccare di uomini e donne accusati di reati contro la proprietà.
Stimava che le persone chiamate in giudizio con reati contro la proprietà fossero il 90%. L'FBI (quasi un secolo dopo) riconduceva alla questione della proprietà il 91,2% di tutti i crimini registrati (le statistiche relative alla Parigi del XVIII secolo sono pressoché identiche), e la cifra è quasi certamente sottostimata.

Nel 1910, in Inghilterra, il 10% della popolazione possedeva quasi il 50% della ricchezza; negli anni 50, malgrado le riforme, il rapporto restava invariato. (E' cambiato qualcosa da allora nella proporzione? mia nota)

Forse Licurgo, legislatore spartano, non aveva poi così torto quando proponeva di limitare e distribuire in modo omogeneo i beni disponibili."


Nello stesso modo in cui l'ideologia santifica il principio di libertà d'impresa, di concorrenza e di proprietà, l'economia reale ha strutturalmente la tendenza alla concentrazione in pochi soggetti dei mezzi di produzione e specularmente l'allargamento della forbice tra chi ha e chi non ha.

Vediamo qualche fenomeno in atto in alcuni settori dell'economia nazionale ed internazionale:

-industria farmaceutica
-agroalimentare

INDUSTRIA FARMACEUTICA
Ecco, nell’ordine, le più importanti case farmaceutiche al mondo nel 1980:
  1. Hoechst (Germania)
  2. Hoffmann La Roche (Svizzera)
  3. Merck (USA)
  4. Sandoz (Svizzera)
  5. Pfizer (Germania)
  6. Warner Lambert (USA)
  7. Rhone-Poulenc (Francia)
  8. Upjohn (USA)
  9. Bristol-Mayer (USA)
  10. Squibb (USA)
  11. Shering Plough (USA)
  12. Abbott (USA)
  13. Smith Kline (USA)
  14. Glaxo (Gran Bretagna)
Ed ecco l’elenco delle prime dieci industrie farmaceutiche al mondo vent’anni dopo, esattamente nel 2001:
  1. Pfizer (USA), con un fatturato di 25,5 miliardi di dollari e il 7,4% di quota di mercato.
  2. GlaxoSmithKline (USA-Gran Bretagna), che il 25 aprile 2003, in conseguenza della pressione politica e di cause pendenti negli Stati Uniti, ha annunciato di aver tagliato del 43% il prezzo del suo trattamento di punta Combivir per le persone infette dall’Aids nei Paesi poveri, portandolo a 90 centesimi di dollaro al giorno9.
  3. Merck & Co (USA)
  4. Astra-Zeneca (Svizzera-Gran Bretagna)
  5. Bristol-Myers Squibb (USA)
  6. Aventis (Germania-Francia)
  7. Johnson & Johnson (USA)
  8. Novartis (Svizzera)
  9. Pharmacia (Svizzera-USA)
  10. Eli Lilly (USA)
Che cosa si evince da questo secondo elenco? “La scalata delle aziende statunitensi a scapito di quelle europee, le fusioni transnazionali e la progressiva concentrazione del mercato nelle mani sostanzialmente di dieci aziende, che nel 2000 arrivano a gestire il 48,8% della quota di mercato, a confronto del 24,5% del 1980”, spiega ancora il Rapporto 2004 Salute e Globalizzazione. “Questi mega-gruppi esercitano un’influenza sempre maggiore nei confronti dei governi nazionali: ognuno di essi ha ormai un giro finanziario che è superiore al prodotto interno lordo di oltre la metà dei Paesi del pianeta”.Sul fronte dei brevetti farmaceutici, poi, le nazioni industrializzate detengono il 97% di quelli esistenti a livello mondiale, e più dell’80% di quelli concessi ai Paesi poveri sono di proprietà di singoli cittadini dei paesi industrializzati. Tuttavia, il WTO, World Trade Organization, viene spesso tirato in ballo oggi per impedire ai Paesi poveri di ripercorrere con successo la stessa strategia di sviluppo industriale che ha portato alla realizzazione di quei brevetti. Gli “accordi Trips”10, infatti, ribaltano la questione:mettono la parola fine al processo biologico-chimico-ingegneristico inverso che ha permesso a molti Paesi del Sud del mondo di arrivare a produrre qualsiasi tipo di farmaco. E nel fare questo si barricano dietro il Know-how che ha permesso la creazione di un’industria dei Paesi ricchi, e che lasciando le medesime opportunità ai Paesi poveri finirebbe per favorire l’invenzione di nuove terapie farmacologiche lontano dai centri di potere dei mega-gruppi farmaceutici. “Lo si è visto nel caso del pranzi-quantel”, precisa Nicoletta Dentico, “per il quale un produttore generico sudcoreano ha scoperto un processo di fabbricazione più efficiente di quello del detentore del brevetto, che è la Bayer”. I Paesi in via di sviluppo, in buona sostanza, dovranno pagare somme ingenti nei prossimi anni per i diritti sui brevetti:secondo la Banca Mondiale, circa 40 miliardi di dollari.

Agroalimentare Italia- estratto da Promotion obiettivi e strategie

Il comparto agroalimentare italiano è il secondo in termini di fatturato dopo il settore metalmeccanico con un valore della produzione che ammonta a 107 miliardi di Euro
ll settore agroalimentare è composto in massima parte da PMI anche se, a seguito dei fenomeni di concentrazione in atto da anni, oltre il 50% del fatturato è realizzato da un numero limitato di imprese multinazionali e grandi gruppi industriali italiani. Nonostante il processo di concentrazione le dimensioni medie delle aziende italiane non sono sufficienti ad assumere capacità operative adeguate a confrontarsi con il settore distributivo, dove, soprattutto a livello internazionale, la GDO sta assumendo un ruolo predominante, riducendo, quindi, notevolmente la forza contrattuale di aziende di piccole dimensioni.
Per quanto detto precedentemente, al fine di conseguire una maggiore capacità competitiva si rende necessario:
  • Aumentare la dimensione produttiva, o almeno concentrare l'offerta commerciale;
  • Rafforzare la politica nazionale di export promotion come supporto alla crescita aziendale e come fattore di riequilibrio della competitività internazionale, soprattutto per le imprese medio-piccole e meridionali.
  • Avviare i meccanismi per la progressiva strategia unitaria dell'intera filiera
Potremmo continuare all'infinito con settori "pesanti" come la metallurgia, o servizi come i trasporti e la logistica (i maggiori operatori, oggi, si contano sulle dita di una mano), potremmo sconfinare nel mondo dei media e della pubblicità così come in quella della telecomunicazione e del credito (banche).
La tendenza è quella. ed è una tendenza rispetto alla quale esistono delle spiegazioni legate alla logica dei numeri e della statistica industriale.

Riporto un estratto di Christian Garavaglia del 2006 :


La struttura di mercato(concentrazione) dipende
dalla entità deicostifissi(+) e dalla dimensione del
mercato(-)
2) La strutturadi mercato si mantiene concentrata
anche quandola dimensione(la domanda) cresce
indefinitamente
Esaminiamo i costi esogeni procedendo nei termini di un gioco composto di due stadi. Al primo stadio del gioco, l'impresa sostiene costi
fissi che sono associati all'acquisizione degli impianti per avviare l'attività(costi di setup). Questi costi fissi affrontati al primo stadio del
gioco sono considerati come costi irrecuperabili e non hanno alcun ruolo nella determinazione delle politiche di prezzo prese dall'azienda durante
la gestione ordinaria della sua attività. Nell'analizzare poi la competizione di prezzo al secondo stadio, si presume che tutte le imprese
operino allo stesso livello costante di costo marginale una volta fissati i propri prezzi. I prezzi fissati al secondo stadio dipendono dai costi di
setup solo indirettamente, vale a dire, solo per l'influenza che essi hanno sulle decisioni d'ingresso nel mercato al primo stadio. Ne segue che
ingressi eccessivi nel settore possono condurre al fallimento, perchè i prezzi fissati al secondo stadio possono non coprire totalmente i costi di
investimento iniziale.
I costi endogeni sono quelli su cui l'impresa ha potere decisionale, in quanto
vengono sostenuti a seguito di scelte discrezionali. Essi possono essere di diversa
natura: i costi pubblicitari ne sono l'esempio più evidente.
• Sono costi sopportati con lo scopo di modificare ed influenzare la volontà a
pagare dei consumatori (la domanda) e quindi sono scelte strategiche
dell’impresa!
• Supponiamo che, sostenendo maggiori spese promozionali al primo stadio del
gioco, un'impresa riesca a rispondere successivamente alla domanda per i suoi
prodotti. Ciò equivale a dire che, per ogni livello di prezzo fissato dalle
concorrenti, la curva di domanda dell'impresa aumenta. E' ovvio che le decisioni
prese al primo stadio possono portare ad una escalation di spese delle imprese, e
condurre così a costi non recuperabili più alti al livello di equilibrio. Inoltre,
quanto più grande è la dimensione del mercato (e quindi i profitti raggiungibili
allo stadio 2), maggiori saranno gli incentivi per le imprese ad investire in tali
costi fissi per potersi accaparrare parte della domanda di mercato.
Ciò che è emerso è che esiste, in condizioni generali, un limite inferiore al
livello di equilibrio della concentrazione del settore, indipendentemente
dalle dimensioni che può raggiungere il mercato. Il livello di questo limite
dipende da come la domanda affrontata dalla singola impresa risponde agli
aumenti delle sue spese fisse (nel nostro caso pubblicitarie) al primo stadio
del gioco. Maggiore è il grado di risposta della domanda, maggiore sarà il
limite inferiore dei livelli di concentrazione del settore.
A queste condizioni, aumenti nella dimensione del mercato non possono
portare ad una sua frammentazione; piuttosto, sarà prevedibile una
escalation competitiva delle spese all'inizio del gioco che farà elevare il
livello di equilibrio dei costi non recuperabili (e quindi i profitti totali che le
imprese potranno dividersi in equilibrio saranno minori...e quindi sarà
minore il numero delle imprese che possono sopravvivere in equilibrio)
sostenuti dalle imprese già presenti nel settore ogni qualvolta la dimensione
del mercato aumenterà, evitando perciò la tendenza alla frammentazione
(vedere esempio del mercato della Birra sul Cabral, pag. 302).

Cosa comportano questi fenomeni nella società, nelle relazioni tra individui,nelle conseguenze in cui organizziamo la società e le sue componenti in funzione degli interessi in gioco, nel significato vero che vogliamo dare alla nostra azione politica ed a ciò che di questa realtà vogliamo cambiare è ciò di cui voglio parlare. Partendo da un assunto: quello che è dato oggi non è immodificabile e non è frutto di fenomeni naturali, sono le scelte consapevoli degli uomini che possono determinare i cambiamenti necessari per rendere questo sistema più giusto. quali? Io partirei proprio da dove partì Marx : il possesso dei mezzi di produzione.

Commenti

Anonimo ha detto…
bel blog. ritornerò
pietro ha detto…
Ma una delle cose che favoriscono di piu la concentrazione e la dimensione delle imprese è la pianificazione economica da parte dello stato.
Se leggi Polanyi e Braudel dicono cose molto interessanti sull'argomento.
pietro ha detto…
«Soltanto una buona dose di scetticismo potrà lacerare i veli che ci nascondono la verità. Lacerati i quali, potremo cominciare a costruire una nuova morale, basata non sull’odio e sulla costrizione, ... ma sulla convinzione che gli altri esseri umani sono un aiuto e non un ostacolo. Questa non è una speranza utopistica: potrebbe realizzarsi domani,... se gli uomini imparassero a perseguire la propria felicità piuttosto che la rovina degli altri. Non è una morale intollerabilmente austera: eppure basterebbe osservarla, e la nostra terra diventerebbe un paradiso.»

Bertrand Russell
mario ha detto…
@
il punto che i sistemi economici e la filosofia che è dietro di loro (socialismo/comunismo vs. capitalismo) sono di tipo diverso. è il secondo che magnifica la bellezza del mercato e la competizione producendo strutturalmente il suo opposto.
meinong ha detto…
x Pietro
la concentrazione e la centralizzazione sono fenomeni che lo stato regola, ma non crea.
Fenomeni insiti nel funzionamento del mercato

Pensatoio
pietro ha detto…
Che strano, in Italia il 99% delle concentrazioni di potere sono frutto di monopoli statali passati in mano pubblica o di personaggi che debbono i loro privilegi ad interventi e aiuti politici ( vedi Berlusconi e Agnelli ).
In Italia non esiste nessun caso, e ce ne sono pochi anche nel mondo di concentrazioni nate senza appoggi politici.
mario ha detto…
Pietro cosa vuol dire monopoli statali passati in mano pubblica?
E poi non capisco il commento.
Bo?
p.s.
qual'è il tuo blog?
pietro ha detto…
Per quanto riguarda poi la proprietà dei mezzi di produzione per me è una cosa poco desiderabile, quando avevo 25 anni mio padre aveva una piccola attività artigianale, di fronte alla scelta se proseguire o meno ho fatto alcune considerazioni, se avessi preso questa attività, con un picolo prestito potevo ampliarla, asumere un paio di dipendenti, e forse fare qualche rinuncia in meno.
Ma questo significava un impegno, un rischio di perdere tutto, essere esposto alle pretese dei dipendenti ( che senza impegnarsi con i propri risparmi potevano pretendere di decidere come io dovevo utilizzare i miei ) a quel punto ho preferito la comoda tranquillita di un lavoro dipendente, ho venduto tutto e con quei soldi mi sono comprato casa e messo da parte qualcosa per la vecchiaia, conosco persone che hanno fatto una scelta diversa dalla mia e non li invidio assolutamente.
Io i mezzi di produzione li ho venduti al ferrovecchio, ed egoisticamente del fatto che potevo creare qualche posto di lavoro non mi importa assolutamente nulla, se voglio fare del bene preferisco aiutare Amnesty International, l'AVIS, l'AIDO e la Croce Rossa.
pietro ha detto…
Intendevo monopoli e concentrazioni che erano in mano pubblica ed ora gestiti da privati.
per esempio Banche telefoni e autostrade
L'esempio delle società farmaceutiche poi è tipico di imprese i cui profitti derivano in maggior parte da spesa pubblica.
pietro ha detto…
Al momento non ho un blog, non penso di avere abbastanza da dire per riempirlo.
pietro ha detto…
Il commento era che non è assolutamente evidente il legame tra concentrazioni e libero mercato, mentre quello tra concentrazioni e potere politico è abbastanza chiaro.
mario ha detto…
intendevo monopoli e concentrazioni che erano in mano pubblica ed ora gestiti da privati.

Bene un pò per volta arriviamo ad alcuni punti.
Che vantaggio ha avuto la collettività da questo trasferimento di risorse? Ed i consumatori?

L'esempio delle società farmaceutiche poi è tipico di imprese i cui profitti derivano in maggior parte da spesa pubblica.

Che significa? intanto questo non è vero a livello internazionale, basta vedere le polemiche sull'utilizzo di medicine coperte da brevetti (es,aids).Se ti riferisci all'assistenza pubblica quante medicine riesci ad avere gratis? Per fortuna una parte della gente, almeno in questo (da noi) è tutelata.
Secondo questa logica qualsiasi tipo di incentivo dello stato ai consumi (es.rottamazione auto, o frigoriferi o ristrutturazione case) è fare soldi con la spesa pubblica (o destinata ad altro impiego).Tecnicamente è vero, dimostra solo che il mercato è un mercato libero in parte.

non è assolutamente evidente il legame tra concentrazioni e libero mercato

Infatti non esiste un legame in quanto uno contraddice l'altro. Che mercato libero è uno in cui si concentrano nelle mani di pochi privati gli strumenti di produzione?
Questo Marx lo aveva capito molto chiaramente e ne parlava in termini di contraddizione di una tendenza di quel sistema.
pietro ha detto…
Infatti gli incentivi ai consumi sono speso incentivi allo spreco, persone che potrebbero tirare avanti tranquillamente con un auto ancora in buone condizioni la cambiano con un nuovo modello che dieci minuti dopo è gia superato trecnologcamente, se non è spreco consumistico questo....
Anonimo ha detto…
Non esiste UN mercato, ne esistono vari, che si differenziano per strutture dei costi, effetti di rete, costi all'ingresso, limitazioni giuridiche. Il mercato dei pomodori è un mercato di libera concorrenza, e così sarà nei secoli dei secoli a meno che non si intervenga dall'esterno (=politica) per cambiarne la struttura; e il mercato dei servizi telefonici su rete fissa è un mercato monopolistico finché non si interviene dall'esterno per cambiarne la struttura. A volte è il cambiamento tecnologico, più che la politica, che trasforma un mercato in un senso o nell'altro. La politica quindi ha un ruolo importante, ma non ne ha uno esclusivo. Anche se è vero che almeno un importantissimo tipo di monopoli nasce dall'intervento dello Stato (della legge dello Stato): i brevetti.

KK
mario ha detto…
Nel pezzo che cito di garavaglia mi sono risparmiato le funzioni che vengono illustrate per identificare il n° di imprese in equilibrio nel lungo periodo (modello di Cournot) in fz. della domanda ed in funzione del costo di entrata.E' un esercizio interessante che identifica alcuni elementi strutturali che condizionano la presenza del n° delle aziende a presidio dei vari mercati.nel post che ho scritto in precedenza identificavo nella necessità di concentrare gli investimenti nella parte hard e nella tecnologia da parte delle aziende, per aumentare l'efficienza del sistema, e produrre quelle economie di scala necessarie a recuperare margini di profitto.
Quindi, per come la vede un comunista come me (…-)) c'è una tendenza "logica" alla concentrazione nelle mani di pochi produttori la produzione.Anche in un mercato, mi riferisco al (produttore),"capitalista".
Dopo di che c'è lo stato e quello che questo può fare.
Gli interventi dipendono dalla forza delle lobby e dalla qualità della politica.Recentemente ho ascoltato un economista che parlava prorpio dei brevetti nel settore della ricerca farmaceutica.
Questa persona diceva che siamo arrivati all'assurdo che si sono brevettate le malattie (testuale)per cui se vuoi fare ricerca devi pagare al proprietario del brevetto.Il punto per me è, certamente si crea un monopolio (stato)il beneficiario è un privato. dal mio punto di vista questo non è corretto(per essere buoni).
Anonimo ha detto…
La tendenza alla concentrazione non è universale, né in senso geografico né in senso merceologico. Per un mercato che si va concentrando, ce ne sono altri che si deconcentrano ed altri che rimangono più o meno stabili. Generalizzare è sempre rischioso.

Cmq mi interessa molto sapere cosa dice un comunista come te delle leggi antitrust ;-))

Ciao.

KK
mario ha detto…
Sulle leggi antitrust penso che sia un modo per ritornare alla missione "pura" del capitale attraverso un intervento dello stato e del legislatore. sorvegliare proprio sul fatto che i fenomeni della concentrazione in poche mani distorcano la filosofia che è alla base della competizione: le migliori condizioni per il consumatore in funzione della molteplicità dei concorrenti.
se hanno avuto bisogno di questo marchingegno è perchè esistono correnti di pensiero che evidenziano i pericoli della concentrazione.
Che questo poi sia razionale e determini i risultati attesi è un altro discorso.
Se devo vcalutare le cose dal punto di vista della mia esperienza (logistica e trasporto), quel mercato è destinato a concentrare sempre di più il n° di competitor.per poter garantire un ritorno sugli investimenti e nello stesso tempo il servizio hai bisogno di sviluppare massa critica ed ottimizzare i mezzi di trasporto e consegna. la polverizzazione produce effetti distorsivi (inefficienza) che si ribaltano sul fronte dei costi (faccio proprio un discorso da business man ma è quello che ho sperimentato)per i consumatori.Esattamente l'opposto di quello che uno si dovrebbe aspettare da un maggior numero di concorrenti.Non è un caso che in paesi come Germania e francia la dimensione media delle aziende sia 30 volte quella italiana.
Cosa potrebbe fare l'antitrust in un settore del genere con un intervento? Forse solo guai.
Al di là delle buome intenzioni ci sono dati di fatto che costringono i vari soggetti a misurarsi con la realtà ed in quel caso i fenomeni di concentrazione sono più veloci e drastici di quanto uno possa immaginare.
meinong ha detto…
x Pietro
Il monopolio statale in Italia è stato un modo per facilitare la nascita del monopolio privato. Non è un caso che adesso i pèrivati stanno subentrando come la borghesia compradora.

Pensatoio

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