Numeri maliziosi sul fenomeno del precariato
Questa è la tabella di fonte istat che è servita al professor Ichino per smentire la tesi che l'introduzione della legge Biagi, abbia prodotto più precariato in Italia
Questa una parte degli argomenti che ha utilizzato:
"I dati Istat riportati qui sopra dicono due cose. La prima è che il forte aumento dell'occupazione complessiva in Italia ha avuto inizio nel 1998, ha raggiunto la sua punta massima del +2,6% nel 2001 ed è poi proseguito dal 2002 al 2005 in modo assai meno marcato; se bastasse (ma non basta) la coincidenza temporale per individuare gli effetti prodotti dalle leggi sull'occupazione, il merito di quell'aumento parrebbe dover essere attribuito al «pacchetto Treu» del 1997 più che alla legge Biagi del 2003. La seconda cosa che si trae da quei dati è che la quota dei contratti a termine rispetto al totale dell'occupazione è aumentata – dal 10 al 13% circa - nel corso degli anni '90, ma non nel corso dell'ultima legislatura: la riforma del 2001, varata in accordo con Cisl e Uil e respinta dalla Cgil, non ha prodotto per nulla gli effetti di liberalizzazione dei contratti a termine preconizzati allora dal governo Berlusconi e paventati dagli oppositori."
La parte che manca al ragionamento del professore è:
1- la correlazione dell'impatto dei dati sulla precarietà con il ciclo economico di questi anni.
2- l'individuazione dell'errore statistico che compare nel prospetto e che vizia un pò il suo ragionamento
Forse qualche osservazione più pertinente potrebbe essere fatta in funzione dell'utilizzo di contratti che concedono margini di flessibilità al sistema economico, l'andamento del pil nei vari anni e l'utilizzo del lavoro precario nei vari settori in relazione al loro trend ed andamento.
Come tutte le leggi che tendono a rendere meno rigido il sistema produttivo, queste vengono utilizzate in relazione a come i singoli business si muovono nell'anno.
Quello che possiamo constatare è un accentuato utilizzo dei contratti "Treu" dal 1997 al 2000 e il dispiegamento dei primi effetti della legge 30 a partire dal 2005 (lo 0,8 è un errore).
In modo malizioso possiamo constatare risultati altalenanti (sul fronte della crescita del lavoro precario) dal 2001 al 2004 , periodo questo che è stato critico per il nostro paese (PIL) ma non per il resto del mondo nella stessa misura.
Utilizzando un paradosso possiamo concludere che le leggi che precarizzano l'occupazione,da questo punto di vista, sono molto ben funzionali ai cicli economici ma non ai lavoratori. In sintesi si producono più precari che, in quanto tali, non è detto che vengano assunti a prescindere dall'economia reale.
Gli ultimi dati Istat sull'ultimo trimestre indicano che la tendenza a più precariato "attivo" si è consolidata ed è in crescita.
Questa una parte degli argomenti che ha utilizzato:
"I dati Istat riportati qui sopra dicono due cose. La prima è che il forte aumento dell'occupazione complessiva in Italia ha avuto inizio nel 1998, ha raggiunto la sua punta massima del +2,6% nel 2001 ed è poi proseguito dal 2002 al 2005 in modo assai meno marcato; se bastasse (ma non basta) la coincidenza temporale per individuare gli effetti prodotti dalle leggi sull'occupazione, il merito di quell'aumento parrebbe dover essere attribuito al «pacchetto Treu» del 1997 più che alla legge Biagi del 2003. La seconda cosa che si trae da quei dati è che la quota dei contratti a termine rispetto al totale dell'occupazione è aumentata – dal 10 al 13% circa - nel corso degli anni '90, ma non nel corso dell'ultima legislatura: la riforma del 2001, varata in accordo con Cisl e Uil e respinta dalla Cgil, non ha prodotto per nulla gli effetti di liberalizzazione dei contratti a termine preconizzati allora dal governo Berlusconi e paventati dagli oppositori."
La parte che manca al ragionamento del professore è:
1- la correlazione dell'impatto dei dati sulla precarietà con il ciclo economico di questi anni.
2- l'individuazione dell'errore statistico che compare nel prospetto e che vizia un pò il suo ragionamento
Forse qualche osservazione più pertinente potrebbe essere fatta in funzione dell'utilizzo di contratti che concedono margini di flessibilità al sistema economico, l'andamento del pil nei vari anni e l'utilizzo del lavoro precario nei vari settori in relazione al loro trend ed andamento.
Come tutte le leggi che tendono a rendere meno rigido il sistema produttivo, queste vengono utilizzate in relazione a come i singoli business si muovono nell'anno.
Quello che possiamo constatare è un accentuato utilizzo dei contratti "Treu" dal 1997 al 2000 e il dispiegamento dei primi effetti della legge 30 a partire dal 2005 (lo 0,8 è un errore).
In modo malizioso possiamo constatare risultati altalenanti (sul fronte della crescita del lavoro precario) dal 2001 al 2004 , periodo questo che è stato critico per il nostro paese (PIL) ma non per il resto del mondo nella stessa misura.
Utilizzando un paradosso possiamo concludere che le leggi che precarizzano l'occupazione,da questo punto di vista, sono molto ben funzionali ai cicli economici ma non ai lavoratori. In sintesi si producono più precari che, in quanto tali, non è detto che vengano assunti a prescindere dall'economia reale.
Gli ultimi dati Istat sull'ultimo trimestre indicano che la tendenza a più precariato "attivo" si è consolidata ed è in crescita.
Commenti
1) bisognerebbe spiegare ad Ichino che a noi fa schifo pure il pacchetto Treu e che la sua analisi non fa che confermarci che la legge Maroni non ha modificato nulla rispetto alla disciplina precedente.
2) la tabella contiene solo i dati sul lavoro dipendente, mentre lascia fuori i para-subordinati, conteggiati furbescamente fra gli autonomi. I para-subordinati, però, sono per la gran parte lavoratori dipendenti mascherati. Se conteggiamo pure loro, la percentuale dei precari sul totale sale a circa il 24-25%.
Saluti
Non esiste nessuna possibilità che una persona venga assunta a prescindere dal fatto che ci siano i soldi per pagarla, questa per me è l'economia reale.
Anche sperando nella spesa pubblica questa si sostiene sulle tasse e le tasse si possono far pagare solo se ci sono profitti, se l'economia reale va a puttane non ci sono soldi per nessuno.
sono d'accordo sul discorso del Pil, infatti è difficile statisticamente determinare la correlazione tra variabili partendo da due dati figuriamoci tirare conclusioni guardando agli anni spezzandoli in periodi in modo grossolano.
Credo che se uno vuole iniziare a darsi delle chiavi di lettura deve avere la capacità di scomporre il dato e scoprire le ralzioni significativo. Così come la definizione dell'area della precarietà è superficiale. mancano, all'appello, tutti quelli che aprono una partita iva etc. Ma questo ad Ichino non interessa.
@Pietro
ho scritto quella frase semplicemente per sottolineare che la precarietà è tale proprio perchè subuisci in modo molto più diretto e veloce quelli che sono i contraccolpi dell'economia reale.
Quindi è, secondo me, assurdo (e questo vale anche per la sinistra) guardare alla precarietà come quantità di posti di lavoro "creati" grazie ad una legge.
La precarietà è la somma di contratti a tempo determinato+co.co.co con partita iva+area della disoccupazione+contratti a chiamata etc.
Una legge serve come leva per collocare, in un momento specifico tra quelle aree , dei lavoratori.E' quindi solo uno strumento. Dopo di che uno, se non ci sono i soldi, torna tranquillamente a lavorare in nero o a fare il disoccupato.
PS: ma il terziario è compreso (soci di cooperative di assistenza etc.)?
Suerte.
ho raccolto un pò di materiale e proverò a mettere qualche numero più dettagliato.
Se ti leggi il post precedente trovi il n° di aziende divise per n° di addetti.E' un dato significativo.
Ho riletto la risposta che ho dato a Titollo e Pietro e non mi soddisfa.
In particolare voglio sottolineare che il buon Ichino poteva provare a fare qualche analisi un pò più raffinata sulle relazioni che esistono tra mercato del lavoro ed andamento del ciclo economico segmentato per anni/settori.
Ragionare solo sui grandi numeri grezzi non porta da nessuna parte.
Grazie
Pensatoio