Primo capitalismo, forme di dominio attuali e socialdemocrazia

Con la prima organizzazione dell'agricoltura in lotti di produzione, con la recinzione dei campi e la loro privatizzazione (XVII E XVIII secolo), inizia l'invasione delle città, in Inghilterra, da parte di una massa di persone in cerca di nuova occupazione.Quando non la trovano si arrangiano.Nascono nuovi mestieri ai limiti della legalità (giochi di prestigio , giochi d'azzardo e suonatori di organetti) e molte palesemente illegali. All'epoca mancavano le automobili e, quindi, il fenomeno dei lavavetri era di là da venire.Aumentò il disagio sociale e crebbe la microcriminalità. Anche in quel caso la reazione dell'autorità costituita fu quella della repressione violenta . Anche reati marginali (come il furto di un portafoglio) furono puniti con l'impiccagione.La società aveva bisogno del gesto esemplare per provare a gestire nuovi fenomeni a cui non era preparata.- A.Koestler- Reflections on Hanging 1956

Questa forma di reazione era conseguente al consolidamento del primo capitalismo. Seguirono altre stagioni e una massa organizzata di operai e persone costrinse, questo magmatico flusso di energie e di situazioni esplosive e contraddittorie,a trovare punti di mediazione nel riconoscimento di forme di assistenza che garantissero le persone, imbrigliassero gli effetti negativi del "capitalismo libero da vincoli", distribuendo un pò di quanto l'accumulazione del capitale aveva prodotto in termini di ricchezza disponibile.
Quelle cose sono costate faticose lotte,sangue e morti.
Ora siamo di nuovo davanti al profilarsi di quel periodo in cui, un capitalismo sempre più aggressivo, non è disponibile a riconoscere parte del suo profitto alla società ed alla sua parte più debole .

I socialdemocratici sono, nei fatti, convertiti ad un pensiero unico che necessita di pochi vincoli nella gestione delle risorse e dei fattori di produzione.La cultura del welfare viene descritta come elemento negativo, buono soltanto ad imbrigliare la creatività e la naturale inclinazione degli individui a rischiare. Negli USA uno dei progetti dell'amministrazione Clinton fu quello di far uscire dall'assistenza milioni di persone per trovare loro una collocazione nel mondo del lavoro. Questo obiettivo fu raggiunto al costo di una flessione totale dei salari di quanti facevano parte dei settori in cui queste persone furono distribuite (facchinaggio, pulizie,ristorazione etc.).L'esercito di riserva (quello dei disoccupati) aveva in questo modo assolto una delle sue funzioni. Abbassare i salari reali, aumentare la competizione tra poveri e la flessibilità ed aumentare il profitto.

I costi, di coesione sociale del liberismo, vengono espressi dalle statistiche che guardano ai comportamenti delle persone ed ai loro orientamenti.
Nel libro di Robert Putnam (Capitale sociale ed individualismo), l'autore analizza gli effetti dell'atomizzazione della società americana. I dati che analizza sono i più diversi ed eterogenei:
-adesioni alle associazioni di volontariato
-numero di volte in cui si invitano gli amici a cena
-andamento delle elezioni e partecipazione
Insieme a molti altri indici, questi declinano, inesorabilmente, verso il basso e danno l'immagine di un tessuto sociale in cui si afferma sicuramente l'individuo, ma l'individuo solo e privo di rapporti (sociali) solidi.

Altri fattori come la crescita della criminalità, dei divorzi, delle nascite fuori dal matrimonio sono cresciuti a dismisura dopo la metà degli anni ottanta, al contrario del tasso di fertilità che, inesorabilmente, misura la tendenza a non fare figli ed all'invecchiamento della popolazione.
Questi dati, complessi, sono abbastanza omogenei nel mondo occidentale, Europa e Stai Uniti.

Quella che si forma, in prospettiva, è una struttura di capitalismo globale che ha superato i confini di stati e nazioni e che ridisegna rapporti sociali e distribuzione delle risorse secondo le sue logiche e le sue esigenze.
La mediazione dei partiti politici tradizionali e dei sindacati sempre più guarda a questi fenommeni in modo ineluttabile e, cogliendo l'occasione, offre uno scambio di rendita creando i presupposti "legali" affinché ciò avvenga.
Questa è la sconfitta strategica della socialdemocrazia, non riuscire più a trovare punti di mediazione perché il contenitore all'interno del quale questo avveniva viene superato da nuove istituzioni e da nuovi rapporti.
Se l'esperienza dei paesi socialisti si è consumata nel mancare le occasioni storiche degli anni 20, quella della socialdemocrazia spirerà per consunzione.

Rimane un modo "antagonista" e radicale di costruire il tessuto di lotte e di consenso. Ripartendo proprio da quelle letture che descrivevano il primo capitalismo. Queste non sono superate e sono le uniche che sanno proiettare fino ad oggi una struttura di pensiero coerente, dei fenomeni che venivano descritti e studiati, con quanto avviene.
Rimane la questione di come costruire questo fronte e renderlo solido e visibile.Toni Negri guarda alla moltitudine ed alla figura del militante che così descrive" Un prototipo di questa figura rivoluzionaria è il militante agitatore degli industrial Workers of the World. I Wobbly diedero vita ad associazioni di lavoratori costruite dal basso attraverso continue agitazioni e, con questa forma di organizzazione, costituirono un pensiero utopico ed una conoscenza rivoluzionaria"

Commenti

Anonimo ha detto…
Concordo quando dici che la socialdemocrazia negli ultimi 30 anni ha incontrato delle difficoltà nel portare avanti ciò che era il suo obiettivo (il controllo sociale del capitale e della produzione), in quanto gli strumenti tradizionalmente utilizzati (nazionalizzazioni, modelli compartecipativi, ...) sono impotenti in un mondo globalizzato in cui i fattori produttivi sono sono più "nazionali".

Mi resta da capire come questo problema possa venire by-passato da ciò che dici in fondo al post. Ho letto con interesse tutti i libri di Negri, ma fatico a comprendere come sia possibile sviluppare questa fase rivoluzionaria in un mondo che, pur globalizzato, attraversa fasi di sviluppo totalmente diverse, facendo convivere zone in cui la coscienza di classe è pressochè scomparsa, zone in cui deve ancora sorgere e zone in cui sta raggiungendo il suo picco (si tratta di una situazione che, amaramente, è stata evidenziata pure da numerosi studiosi marxisti). E sviluppare la fase rivoluzionaria in un solo posto, finirebbe per andare incontro agli stessi limiti della socialdemocrazia (faccio la rivoluzione qui, e il capitale scappa da un'altra parte).

Un saluto
Anonimo ha detto…
Interessante, e mi riprometto di "studiarmi" i contributi precedenti in materia.

Condivido l'apprezzamento circa l'analisi, e pure la perplessità circa la proposta. Per certi versi, è possibile guardare all'Italia, per scorgere l'accalcarsi di coscienze politiche differenti: dai lavoratori che giungono dal Terzo Mondo e che non tengono conto di una coscienza di classe nella stipula degli accordi contrattuali - e la loro debolezza è la premessa per cui i datori di lavoro possono mantenere un fondamentale "scollamento" tra i lavoratori - ai lavoratori "precari" che finiscono per non avere più una categoria lavorativa di riferimento, tra le altre cause che concorrono all'indebolimento di forme di coscienza collettiva (l'analisi circa le occasioni di incontro e l'incremento di divorzi et similia è, in tal senso, terribilmente efficace).

Qualcuno sostiene che sia necessario superare il "mito della classe rivoluzionaria". Insomma, per certi versi, il "mito del soggetto" tout court. Da qui, poi, partirebbe il ripensamento.
Pace su di voi.
mario ha detto…
Infatti la questione è che, rispetto ad una logica globalizzante, non esistono ricette "nazionali".Almeno al momento, e che, quando queste ci sono , di solito hanno l'aspetto della conservazione dell'identità nazionale in un contesto reazionario che elude (perchè non ha interesse di classe) la questione dell'organizzazione del capitale.
Se hai letto tutti i libri di negri sai che, lui, ipotizza un nerwork "internazionale" che cresce sulla base di lotte "locali" che hanno l'obiettivo ci costruire, attraverso queste, un modello ed una risposta partecipata e "globale".
Come tutti i movimenti politici il tempo ci dirà quale è la probabilità che questo abbia successo. Non è un caso che lui interagisca con paesi le istituzioni dell'america latina alla ricerca ed alla definizione di comuni denominatori.
L'alternativa è rassegnarsi al caos ed all'immagine di una società in cui i ricchi vivono sulla collina ed i poveri in pianura.
Io ho passato un pò del mio tempo nel Salvador durante la guerra civile e dopo. Lì l'1% della popolazione possedeva il 90% della ricchezza. Ho constatato come, quando sei in condizione estreme, si materializzano forme e modi di resistenza che alla fine impediscono a tutti di vivere.
Chi ha qualità intellettuali e possibilità di condizionare le opinioni di chi conta, forse, dovrebbe ricominciare a ragionare in modo strategico. A quelli come me non rimane altro, nel tempo che rimane, che ricordarvelo accendendo qualche miccia.
Un saluto
Anonimo ha detto…
Interessante post...che meriterebbe lo leggessi ad un'orario più decente.
;)
interessante anche il commento di Titollo.
meinong ha detto…
L'analisi è giusta, la proposta inevitabilmente un po' generica (ma tu lo dici esplicitamente perchè). Io credo che bisogna combattere a diversi livelli e quello nazionale non è l'ultimo e che la difesa e la rielaborazione del welfare (non nel senso del blairismo,ma nel senso del reddito di cittadinanza) vadano tentati e perseguiti, anche perchè si guadagni tempo affinchè la teoria si adegui, il network si sviluppi, le classi dei paesi in via di sviluppo si organizzino.
Speriamo che nel frattempo non si verifichino altre catastrofi.
mario ha detto…
Italo,
d'accordo. La questione è come e con chi.Intanto da qualche altra parte le cose sono andate avanti e quelle esperienze sono un buon segnale.

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