Gli scontri di Corso Traiano,per una disobbedienza consapevole
Mi è venuto in mente un volantino, leggendo l'ottimo post di Pensatoio sull'alienazione e sul lavoro (mi perdonerà la semplificazione).Parla degli scontri di Corso Traiano a Torino nel 1969.
Insieme a quel ricordo colgo l'analogia, di alcune delle rivendicazioni citate dal volantino, con quella che è la fase attuale in cui si muove la logica di rivendicazione sindacale.Immutabile nel tempo.
Un tempo si lottava contro lo straordinario affinché il lavoro fosse una opportunità per più persone. Una cosa da condividere in quanto fonte di reddito e di sopravvivenza. Oggi lo si detassa affinché costi di meno al padrone, facendolo diventare più conveniente del lavoro ordinario.Un incentivo all'egoismo sociale.Una roba da sinistra insomma.
La gerarchia in fabbrica e nei luoghi di lavoro veniva vista come elemento di divisione tra sfruttati, la richiesta di salario era uguale per tutti con l'abolizione della differenza tra impiegati ed operai.Si lottava contro differenze di status e di salario buone solo da rivendere sull'altare del conformismo piccolo-borghese.Appena sufficienti per una fettina in più di salame dal salumiere, con dentro l'illusione di dare un senso alla tua vita e di scalare il cielo degli eletti.
Oggi ti dicono che la professionalità deve essere salvaguardata, tendono a parcellizzare e rendere individuale il tuo rapporto di negoziazione con la contro parte, rendendo più forte chi già lo è di suo, in questo scambio godi dell'open space e della maglietta griffata al posto della tuta (ma la fettina di salame è rimasta sempre quella) e sei sempre più indifferente alla sorte di chi ti è affianco.
Leggendo il volantino si ha però una fotografia di cosa è conservazione e cosa il suo opposto. Se quelle persone si battevano così contro quello stato di cose era per avanzare in tutti i sensi, la lotta rappresentava il modo di dare forma e sostanza ad istanze di progresso sociale. Oggi ci vogliono convincere che precario e flessibile è moderno, che più ore di lavoro e maggiore intensità nei ritmi corrispondano ad un modo consapevole di competere. Vogliono che noi, povera carne da macello, si diventi complice del nostro omicidio politico.
Per provare a resistere è necessario scardinare questo sistema di relazioni. Non riconoscerle disobbedendo.Sporcarsi le mani standone fuori. Essere autonomi e consapevoli che la strada passa da lì ,dalla sedimentazione di quella energia che non ha bisogno di "convenevoli" istituzionali.
Insieme a quel ricordo colgo l'analogia, di alcune delle rivendicazioni citate dal volantino, con quella che è la fase attuale in cui si muove la logica di rivendicazione sindacale.Immutabile nel tempo.
Un tempo si lottava contro lo straordinario affinché il lavoro fosse una opportunità per più persone. Una cosa da condividere in quanto fonte di reddito e di sopravvivenza. Oggi lo si detassa affinché costi di meno al padrone, facendolo diventare più conveniente del lavoro ordinario.Un incentivo all'egoismo sociale.Una roba da sinistra insomma.
La gerarchia in fabbrica e nei luoghi di lavoro veniva vista come elemento di divisione tra sfruttati, la richiesta di salario era uguale per tutti con l'abolizione della differenza tra impiegati ed operai.Si lottava contro differenze di status e di salario buone solo da rivendere sull'altare del conformismo piccolo-borghese.Appena sufficienti per una fettina in più di salame dal salumiere, con dentro l'illusione di dare un senso alla tua vita e di scalare il cielo degli eletti.
Oggi ti dicono che la professionalità deve essere salvaguardata, tendono a parcellizzare e rendere individuale il tuo rapporto di negoziazione con la contro parte, rendendo più forte chi già lo è di suo, in questo scambio godi dell'open space e della maglietta griffata al posto della tuta (ma la fettina di salame è rimasta sempre quella) e sei sempre più indifferente alla sorte di chi ti è affianco.
Leggendo il volantino si ha però una fotografia di cosa è conservazione e cosa il suo opposto. Se quelle persone si battevano così contro quello stato di cose era per avanzare in tutti i sensi, la lotta rappresentava il modo di dare forma e sostanza ad istanze di progresso sociale. Oggi ci vogliono convincere che precario e flessibile è moderno, che più ore di lavoro e maggiore intensità nei ritmi corrispondano ad un modo consapevole di competere. Vogliono che noi, povera carne da macello, si diventi complice del nostro omicidio politico.
Per provare a resistere è necessario scardinare questo sistema di relazioni. Non riconoscerle disobbedendo.Sporcarsi le mani standone fuori. Essere autonomi e consapevoli che la strada passa da lì ,dalla sedimentazione di quella energia che non ha bisogno di "convenevoli" istituzionali.
Era sciopero ieri a Torino. Uno sciopero simbolico nelle intenzioni dei sindacati: un comizio qua, una raccolta di firme là, e basta. Ma per gli operai era una giornata di lotta vera, un'occasione per portare la lotta anche fuori dalla fabbrica, per unire l'esperienza dei cinquanta giorni di lotta a Mirafiori a quella degli altri operai, della popolazione dei quartieri, degli studenti.
E' di questa lotta, della sua capacità di continuare e di rafforzarsi, che Agnelli e il suo governo hanno paura.
Alle tre di pomeriggio migliaia di operai e studenti si uniscono davanti A Mirafiori per partire in corteo. Poliziotti e carabinieri - schierati a migliaia fin dalle cinque di mattina - vengono scatenati contro di loro, senza preavviso e senza motivo. Manganelli, calci di fucile, bombe lacrimogene, arresti: non manca niente. Gli operai reagiscono. Il corteo si forma di nuovo e parte. In Corso Traiano nuove cariche della polizia, ancora più violente. Si pesta alla cieca, dagli scioperanti agli abitanti del posto, ai ragazzini. Ma la violenza bestiale dei padroni non fa paura: la risposta è la violenza sacrosanta degli sfruttati. Ai fucili, ai manganelli, ai lacrimogeni e ai caroselli si risponde con le barricate, con il fuoco e con le pietre. Sono gli operai, i giovani e i ragazzi del quartiere, le donne e gli studenti. Sanno che è ora di mandare al diavolo i padroni e chi li difende, e sanno di averne la forza. Poliziotti e carabinieri, questi eroi capaci di picchiare a sangue un ragazzino solo - com'è successo ieri - scappano. Lividi dalla paura.
Arrestano vigliaccamente gente isolata, come al solito. Ne porteranno in questura più di 150, nella stragrande maggioranza giovani operai.
In Corso Traiano e nelle strade vicine la lotta dura per sei ore. E intanto scoppia in altri punti della città con la stessa forza: in Piazza Bengasi, a Nichelino, in Corso Moncalieri.
E' la prova dell'unità e della solidarietà operaia: ed è la prova della maturità che la lotta ha raggiunto a Torino, rovesciandosi dalla fabbrica su tutta la città.
Uno a uno gli strumenti con cui i padroni ci controllano vanno a farsi fottere. In fabbrica è finito il tempo di ricatti di guardioni e capi, e degli imbrogli dei sindacati. Fuori è finito il tempo della paura della polizia, o delle menzogne dei giornali e della radio (oggi abbiamo visto tutte le menzogne dei giornali, dalla "Stampa" a "L'Unità"). La nostra lotta si rafforza, si organizza, si estende, a Torino come in tutta Italia. E' questo che mette in crisi il governo dei padroni, e li costringe a fare i duri. Ma dietro quel ghigno duro c'è una smorfia di paura, come sulle facce dei poliziotti di ieri. Noi ieri abbiamo imparato una cosa importante: che la forza è dalla nostra parte e che possiamo vincere. Non da un giorno all'altro certo, ma con una lotta lunga e continua. La giornata di ieri ha segnato in questa lotta una tappa fondamentale. Ora andiamo avanti:
1- Intensificando la lotta all'interno della fabbrica, iniziandola dove ancora non si è aperta. Contro le truppe dei sindacati e padroni, per le nostre richieste:
* rilascio degli arrestati, ritiro dei licenziamenti;
* aumenti salariali forti e uguali per tutti e abolizione delle categorie;
* siamo e vogliamo essere uguali;
* lotta contro i ritmi bestiali e gli straordinari.
2- Collegandoci con i compagni delle altre fabbriche e con la popolazione dei quartieri proletari, quella stessa che già ieri ha saputo unirsi per rispondere all'aggressione poliziesca.
LA LOTTA CONTINUA
In fabbrica ci siamo noi e non i poliziotti, e magari li mandassero dentro a provare cosa vuol dire lavorare alle linee. Ci siamo noi, con le nostre armi, dallo sciopero, all'assemblea, al corteo.
RENDIAMO PIU' DURA E GENERALE, SUBITO, LA LOTTA IN FABBRICA IN TUTTE LE FORME POSSIBILI.
RIUNIAMOCI TUTTI, PIU' NUMEROSI CHE MAI, NELLA GRANDE ASSEMBLEA OPERAI E STUDENTI DEL SABATO POMERIGGIO, ALLE 16.00 A PALAZZO NUOVO DELL'UNIVERSITA' (VIA SANT'OTTAVIO 8, ULTIMA TRAVERSA A SINISTRA DI VIA PO, PRIMA DI PIAZZA VITTORIO). L'ASSEMBLEA SETTIMANALE E' LO STRUMENTO PIU' IMPORTANTE DELLA NUOVA ORGANIZZAZIONE PROLETARIA CRESCIUTA NELLE GRANDI LOTTE DI QUESTI MESI, GLI OPERAI DELLE DIVERSE FABBRICHE, GLI STUDENTI, GLI ABITANTI DEI QUARTIERI POPOLARI, SOPRATTUTTO I GIOVANI, DEVONO PARTECIPARE TUTTI.
cicl. in proprio 4 luglio 1969
operai e studenti
Commenti
Sicuramente difetti, corruzione,assenza di consapevolezza nella soggettività sindacale ce sono e ce ne saranno.
Sicuramente alla spicciolata tutti ce ne andremo dal sindacato, se non lo riusciamo a cambiare. Ma comunque ancora adesso il sindacato è una casamatta logorata, ma che può ancora servire, a macchia di leopardo sempre più rada, ma può ancora servire