Il convegno sulla legge 30 e quello che ci aspetta

Una delle "brillanti" conclusioni del convegno a difesa della legge 30 è stata: "in Italia il lavoro c'è, anche quello a tempo indeterminato. Basta cercare tra i servizi (pulizie) o tra alcune attività che oggi svolgono solo gli extracomunitari (saldatori etc.)."Una bella pietra tombale sulle ambizioni di tanti giovani e rampanti neo laureati.
Questa cosa detta insieme ad altre quali: "sono stati creati tre milioni di posti di lavoro dalla applicazione del pacchetto Treu e dalla legge 30", danno il senso delle approfondite analisi con cui una schiera di "nullafacenti", ben pagati, si è occupata della questione precariato.

Nel 1992 il totale dei lavoratori dipendenti (a termine + tempo indeterminato) era stimato, dall'Istat, in 14 milioni 961 mila unità. Nel 93 si scende a 14 milioni 631 mila. Nel 1994 si assesta a 14 milioni 417 mila unità. Da allora, e fino al 2005, il numero è salito a 16 milioni 719 mila unità. La crescita, in valore assoluto, rispetto al 94 è stata di 2 milioni 300 mila unità (circa), rispetto al 92 di 1 milione 758 mila unità.Verso il 94 il peso del lavoro a tempo determinato, contro quello a tempo indeterminato, è passato dal 10% al 13,5% (dato ultima rilevazione trimestrale Istat). Questi numeri non dicono tutto sul fenomeno precariato e si limitano a registrare quanto avviene con i contratti a termine.

Questa tendenza è una logica conseguenza di ciò che offre questo "sistema" economico . Pensare che si possa invertire questa tendenza solo con la fede in una politica che dia più diritti è pura illusione. La prospettiva per i giovani, e non solo per loro, è un destino fatto di precariato e di società che qualcuno descrive come "liquida". Il capitale ha la tendenza ad andare dove il costo del lavoro è più basso e scarica, in questo modo, mercati che dal suo punto di vista non sono più competitivi. A questo si accompagna una politica salariale che fa crescere le disparità retributive tra la punta della piramide e la sua base. Basta guardare a quello che accadde negli USA, ed a ciò che avviene da noi ed in Europa, per capire come certe tendenze non sono modificabili solo con politiche che intervengono sui "diritti" delle persone ma dovrebbero integrarsi ad un diverso modello economico e di coesione sociale, partendo da come si distribuisce la ricchezza prodotta dal paese.

Secondo l'economista Shankar i segnali spia (ultimi 25 anni di ciclo) che hanno portato, tra l'altro, ad una modificazione del mondo del lavoro nei paesi maggiormente industrializzati sono riassumibili in:
-calo drastico del PIL pro capite
-disoccupazione cronica crescente
-distribuzione diseguale del reddito e della ricchezza
In particolare il tasso medio di disoccupazione cronica che nel periodo 64/73 era del 3%, salì al 5% tra il 74 ed il 79, al 7,8% nel 93 per scendere al 6,5% nel 2001 e risalire al 7,1% nel 2003
In aggiunta a questo fenomeno, si è assistito ad una graduale mutazione del mondo del lavoro e della qualità del lavoro offerto dalle aziende.La tendenza alla precarizzazione non è più un "momento" del ciclo economico e dello sviluppo dei paesi ma un aspetto strutturale, di caduta, degli effetti della competizione del capitale a livello globale . Questo effetto si combina a quello che vede sostituito il lavoro perso con uno meno qualificato e peggio retribuito. Negli USA il reddito delle famiglie americane passò dai 18 mila dollari nel 1947 ai 36 mila 900 del 1973. Nei 20 anni successivi passò a "soli" 38 mila 400. Secondo Mishelle e Bernstein la crescita delle disuguaglianze reddituali fu dovuta al fatto che il 60% delle famiglie più "povere"vide una diminuzione del reddito contro una crescita del 63% per l'1% della fascia più ricca.Il peso maggiore della discesa dei salari reali fu messa sul conto di diplomati e sui lavoratori senza titolo di studio. A partire dal 1987 anche i ceti medi subirono una perdita dei salari reali.I dati riportano una perdita del 3,1% per i laureati (1987/1991),del 3,5% per le retribuzioni orarie degli uomini.A questo si associò il fenomeno della de qualificazione professionale.Le ristrutturazioni non riguardarono più solo la manodopera operaia ma anche il mondo dei colletti bianchi.Le imprese furono de localizzate ed i lavori in sostituzione le offrirono aziende di servizi a basso valore aggiunto.

La logica che guida il profitto è quella di vedere nel lavoro un "fattore di produzione". Quelli che sono i costi sociali, di questo "fattore", non lo riguardano. Da questo punto di vista si afferma la logica del "capitalismo" che regola e si autoregola in tutti i suoi elementi costitutivi. Qualsiasi rigidità del sistema viene superata cercando altrove le condizioni idonee per poter continuare la sua corsa. Questa miopia è uno degli elementi fondamentali della sua fragilità.Gli anticorpi che produce sono conflittuali e generano "rivendicazioni". Il rischio, per noi, è trovarci di fronte ad uno scenario in cui le "rivendicazioni" se non accompagnate da una visione e da una strategia conseguente sono destinate a non cogliere alcun obiettivo.

Se non viene ripensata una politica economica in cui, per gli interessi della maggior parte della popolazione, si riacquisiscano modalità e mezzi di produzione, asset strategici, si riformulino alleanze internazionali e si re distribuisca reddito, il destino è quello di un costante declino sociale accompagnato da una polarizzazione in termini di ricchezza tra due estremi. Se non c'è scelta bisogna prepararsi al domani organizzando le basi di una profonda e radicale contrapposizione a questo modo di sviluppare il paese, alle sue istituzioni ed ai suoi rappresentanti.Lo slogan dovrebbe essere quello di "alzare il tiro" e di puntare in alto. Il terreno lo stanno preparando loro, a noi il compito di costruire un'alternativa praticabile.

Commenti

Anonimo ha detto…
Tutto molto interessante e più o meno condivisibile. Apprezzo la considerazione secondo cui la colpa non sta solo nella disciplina giuslavoristica ma è parte di un problema assai più generale che investe l'organizzazione economica.

Ho qualche dubbio sul dato relativo al PIL pro-capite. Quello sul tasso di disoccupazione mi dice poco, mentre sarebbe più interessante vedere l'andamento del tasso di occupazione e la relativa incidenza dei contratti a tempo indeterminato. Se l'obiettivo delle riforme Treu-Maroni era la "piena e buona occupazione" possiamo concludere che ora l'occupazione sarà magari un po' più piena, ma è pessima. Il tasso di disoccupazione è diminuito, così come il numero di irregolari, ma è esplosa la quantità di precari (una vera e propria redistribuzione della sfiga). Le diseguaglianze territoriali, per età, per sesso, per livelli di tutela in alcuni casi si sono addirittura esacerbate. I giovani trovano lavoro più facilmente, ma al prezzo di restare intrappolati per oltre un decennio nei contratti a termine, precarizzando la loro vita.

Non so se tutto questo sia colpa delle leggi Treu-Maroni. Però se per raddrizzare la rotta fosse necessario metterci mano, non vedo dove stia il problema. Non erano i sedicenti "riformisti" a fare vanto del loro pragmatismo? Bene, lo mettano in pratica.

PS: condivido poco la nota polemica contro i nullafacenti benpagati. Possono essere tranquillamente dei gran lavoratori, ma questo non toglie che assomiglino sempre di più ai cinesi che giravano con il libretto rosso in mano.
mario ha detto…
@Titollo
questa parte
"calo drastico del PIL pro capite" è da correggere in "calo drastico del tasso di crescita del PIL e della produttività pro capite". la fonte sono alcuni dati OCSE che si trova nel testo citato a pag.107.
le leggi Treu e 30 non sono altro, dal mio punto di vista, che uno strumento che tende a dare una struttura "legale" e regolamentata a fasce di lavoro sottopagato che prima avevano, anche, nel lavoro nero uno sbocco.Quello che penso è che, in queste condizioni, non ci siano soluzioni per alternative, "realizzabili", se non cambia il modello economico. Non credo che su questo abbiamo la stessa visione, però sono abbastanza realista da considerare che, oggi in Italia,quello che c'è è dato da un tessuto economico che non produce attività a valore aggiunto e che se anche la producesse non ci sarebbero le condizioni per mutare le tendenze in atto (crescita del lavoro precario).la precarizzazione e la dequalificazione sono il destino per la maggiora parte dei lavoratori.Per quanto riguarda il resto : c'è un comune denominatore la tendenza a distribuire lavoro pagato progressivamente sempre meno.Magari aumenta il dato sull'occupazione, il riflesso sui redditi reali disponibili (e spendibili) segmentato per classi sociali fornisce un altro quadro.
Quindi se non si mette mano alla questione "distribuzione" del reddito, pur avendo un tasso di occupazione soddisfacente (da verificare il tasso di ore lavorate) c'è la possibilità che aumenti il rischio instabilità sociale.-)
p.s.
quando dico che non fanno un cazzo non è che generalizzo e penso che tutti quelli che siedono dietro una cattedra sono pari loro,faccio riferimento a qualche esperienza personale ed alla qualità di qualcuno di quei signori che ho avuto il piacere di incontrare nelle mie esperienze passate. però quella era un'altra vita.
Un saluto
Anonimo ha detto…
Con la precisazione sui dati, la cosa diventa più condivisibile.

Per natura non sono malfidente, quindi penso che le leggi Treu-Maroni siano il frutto di convinzioni errate, ovvero si pensava seriamente che avrebbero permesso di raggiungere certi obiettivi. Però ammetto di scadere spesso nell'ingenuità :-P

D'accordo con l'analisi sulla struttura produttiva (ne parlai pure io qui: http://titollo.ilcannocchiale.it/post/1618820.html). A differenza tua sono un po' più ottimista sugli effetti di questo potenziale upgrade del sistema produttivo.

D'accordo con te pure sulla redistribuzione. Partendo già da una situazione decisamente più sfavorevole rispetto al resto d'Europa, siamo riusciti a far perdere ai salari ulteriori quote nella distribuzione aggregata. Tuttavia non vedo questo punto e quello precedente come slegati.

Saluti :-)
Anonimo ha detto…
sei il classico esempio dell'imbecilliità senza limiti e confini,
sono quasi vent'anni che il muro di Berlino è crollato portando alla luce le nefandezze fatte in nome del proletariato comunista e tu sta ancora a rompere le palle con tutte ste stronzate tinte di rosso.
SVEGLIATI che è ora
Anonimo ha detto…
@anonimo: tu invece torna a dormire, che da sveglio sei un incubo peggiore.
mario ha detto…
E' talmente idiota Anonimo, oltre che ignorante, da non aver capito che il rispettabile economista da cui ho tratto alcune informazioni ed analisi non è un pericoloso comunista.Il contrario.
la mamma degli scemi è sempre incinta.
Grazie Korvo
Anonimo ha detto…
Letto e grossomodo condiviso.
;)
meinong ha detto…
Sulla questione dell'abbassamento dei salari e della precarizzazione sono leggermente più ottimista : la crisi dei sub-prime sta dimostrando che la stabilità della domanda è sempre importante e raggiungerla attraverso il ricorso al debito privato è quanto mai rischioso.

Pensatoio
mario ha detto…
L'abbassamento dei salari è la conseguenza di una politica che ha avuto dei riscontri empirici.
Che sia necessaria la stabilità della domanda è un fatto che oggi rischia di diventare un puro esercizio.
Con un "mercato" globale la domada ssume caratteristiche globali. 100 milioni di ricchi in Cina sono un mercato più appetibile di 60 milioni di Italiani per la maggior parte non "ricchi".
E' un fatto dimostrato anche statisticamente che la forbice dei redditi si allarga all'interno dei paesi e l'offerta si adegua.

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