La produttività
La materia è complessa; quando sento fior di ministri e di economisti occuparsene la mia curiosità "intellettuale" viene stimolata.
Mi chiedo: ma come faranno in un ambito così complicato come è quello dell'economia a migliorarla?
Ricordo che, per quanto mi riguardava, la variabile che immancabilmente frustrava tutte le simulazioni, ed i modelli che si studiavano, era quella della risposta del mercato(sia quello dei clienti per cui si curava la logistica che il nostro).
Il mercato delle merci che i "padroncini" distribuivano influenzava direttamente la loro produttività in funzione, ad esempio,delle quantità trasportate e del frazionamento sul percorso (oltre che per la natura della merce,trasportare e distribuire documenti è cosa diversa rispetto a trasportare vino) ed indirettamente in funzione della domanda di quei prodotti.
Su questo la capacità di organizzare le linee di distribuzione non poteva avere influenza. Se l'azienda cliente falliva la sua campagna di vendita, automaticamente il sistema diventava improduttivo perché le quantità da distribuire si limitavano di molto e l'incidenza dei costi lievitava.
Intervenire ristrutturando le linee accorpandole ( al posto di due furgoni solo uno)poteva mettere in crisi la qualità del servizio erogato.E questo a cascata poteva influenzare, in negativo, la vendita dei servizi dell'azienda di logistica (minori clienti=minori merci).Non parliamo poi dei fattori esterni come le condizioni climatiche, il traffico, gli incidenti lungo il percorso etc.
Ho semplificato per rendere l'idea.
Ho invidia, quindi, per tutti quelli che sulla materia hanno idee chiare e che a questo pensano di legare il reddito delle persone.
Ho dato un'occhiata a ciò che si pensa sull'argomento. Il primo che ho analizzato (sommariamente) è l'argomento del prof. Ichino. Secondo lui il sistema paese deve migliorare anche migliorando la produttività dell'amministrazione pubblica . In una sua intervista il luminare afferma:
Il problema cruciale è la valutazione dell’efficienza e produttività delle strutture e delle singole persone. Oggi il sistema degli incentivi e delle sanzioni non può funzionare perché non ci fidiamo della valutazione della dirigenza attuale. L’unico modo per uscirne è istituire in ciascun comparto dell’amministrazione pubblica un organo di valutazione indipendente (OIV), “terzo” tra la dirigenza e chi ne dipende. Poi, attivare un sistema efficace di incentivi economici. Per esempio, i prossimi aumenti contrattuali potrebbero essere distribuiti così: metà dell’intero importo al 25% più efficiente in ciascun comparto e in ciascuna categoria; l’altra metà al 50% intermedio; nulla al 25% meno efficiente. E questo ultimo 25% deve essere anche trasferibile più facilmente di quanto lo sia oggi.
- Ma il sindacato non accetterà mai di lasciare il 25% dei suoi rappresentati senza aumento contrattuale.
In tutti i comparti dell’amministrazione pubblica, a cominciare dalla dirigenza, c’è una vasta zona di inefficienza. Il sindacato deve decidere se privilegiare la difesa di questa parte dei dipendenti pubblici, o la difesa di quelli che sgobbano per due, che tirano la carretta, che tengono in piedi l’intera baracca. Oggi, di fatto, il 25% più efficiente è gravemente penalizzato dall’egualitarismo con cui vengono determinati i trattamenti.
- Come è possibile “misurare” la produttività di un dipendente pubblico, il cui lavoro non produce beni o servizi dotati di un prezzo di mercato, come avviene nel settore privato?
Per gli impiegati, non sempre “misurare” è possibile. Ma “valutare” sì; e anche ordinare i dipendenti in base alla maggiore efficienza e produttività, desunta da una serie di indici che vanno dalla mole di lavoro svolto alla regolarità e puntualità della presenza in ufficio, all’apprezzamento espresso dagli utenti. Questo dovrebbe essere il compito dell’OIV. Per i dirigenti il discorso è più semplice: la loro efficienza e produttività si identifica con quella della struttura di cui sono responsabili. Ancora più semplice, poi, è il discorso per l’individuazione dei nullafacenti totali volontari, come il prof. M. di cui ho parlato sul “Corriere”: quelli, tutti sanno chi sono e quando si esamina il loro caso li si riconoscono subito."
-mole del lavoro svolto
-puntualità
-valutazione degli utenti
A me viene da ridere se argomenti così seri vengono trattati in modo così banale.Intanto perché si parte da una constatazione (misurare non è sempre possibile) per reintrodurre il concetto di efficienza e produttività che se non ha come riferimento dei dati oggettivi e misurabili non ha alcun significato.
Poi perché propone:
1- il rispetto dell'orario (elemento formale e non di sostanza, posso essere puntuale e non fare un cazzo),
2- la mole del lavoro svolto (su cui dovrebbe calcolarsi l'incidenza della così detta curva d'esperienza del dipendente, della qualità informatica del sistema e del modo in cui si processano le attività, tutta roba che incide sulla prestazione ma che è governata al 90% da fattori esterni al lavoratore),
3-la valutazione degli utenti- customer satisfaction (ho l'impressione che chiunque faccia una coda dia una risposta negativa sulla qualità del servizio a prescindere dall'impiegato).
Quello che Ichino sa è che su questa materia incide in modo determinante il modo in cui si organizza un'attività a monte ed a valle , spaccandola ed analizzandola, al fine di individuare i "percorsi" logici, i tempi giusti e gli strumenti di supporto necessari.
Solo che il problema di Ichino è quello di fare solo "demagogia" e non fornire soluzioni operative (probabilmente anche perché non saprebbe come fare), fare una battaglia contro l'egualitarismo di stampo ideologico e parlare della necessità di abbassare i salari.E vendere libri.
L'altra questione riguarda la produttività e la necessità di migliorarla perché questa automaticamente significa maggiori risorse da distribuire. Intanto partiamo da come l' economista Giovanni Mazzetti la tratta rilevandone una incongruenza misurabile.
"Non viene compresa la funzione economica della produttività ?
Esatto E allora il problema è il costo del lavoro che deve essere contenuto. Già quando si dice che le pensioni devono essere « commisurate ai contributi » si accetta che il denaro è « misura adeguata » della disponibilità di risorse. Si torna a ragionare come nel 1920, prima di Keynes. Ad esempio, per misurare la produttività si prende il Pil e lo si divide per il numero delle ore lavorate ; però l’aumento della produttività determina anche una diminuzione del valore del prodotto. Un computer dieci anni fa costava il triplo di oggi, ma ora consente di fare molte più cose tutte insieme. Chi è fermo su quella definizione di produttività non vede che è aumentata perché il prezzo non la registra. Se prendi come misura il Pil, non puoi misurare la variazione di produttività, che pure crea ricchezza materiale. Se pensi che per creare ricchezza prima devi avere « i soldi », ecco che cadi nel circolo vizioso. Invece Keynes - e ancor prima Marx, che diceva che i « lavoratori devono appropriarsi del proprio plusprodotto » - ha in mente questo. Se quando si realizza un incremento di produttività non garantisci anche uno sbocco all’aumento di produzione, quel di più non verrà prodotto. E la società si incarta."
In questo punto si descrive un sistema che può migliorare la sua produttività senza peraltro registrarne benefici in modo sostanziale (rapporto tra PIL ed ore lavorate)
Nell'analizzare i tre modelli economici che sono la base della tesi della "deindustrializzazione negativa" di Rowthorn e Wells e dell'impatto di questa sulla disoccupazione cronica, ricorrono le relazioni tra crescita della produttività nel settore manifatturiero, contrattazione collettiva e disoccupazione .
Su questo punto la conclusione di Shankar Jha, alla fine della trattazione sui modelli teorici,dei due economisti citati, è dolente se relazionato a quello che può essere governato direttamente.
"alta disoccupazione non ciclica e alta produttività nel settore manifatturiero possono coesistere quando la crescita della produttività del manifatturiero non si produce nella crescita della produzione del manifatturiero. Il meccanismo che fa si che questo accada è la contrattazione collettiva".
Qui (nel caso specifico) l'autore individua nel trasferimento ai salari, di questa maggiore produttività, un problema poiché questi influenzano anche la contrattazione dei settori dove la produttività è più bassa.Le aziende più in difficoltà de-localizzano verso paesi in cui i costi del lavoro sono più bassi, se sostenute da una serie di infrastrutture locali in grado di gestirne l'efficienza della distribuzione.
"la crescita di produttività mette pressione sui profitti nei settori meno dinamici sotto il profilo tecnologico e abbassa il taso di rendimento del capitale. Per compensare ciò il capitale si sposta...Insomma in presenza di sindacati forti, più è rapida la crescita della produttività dell'industria, maggiore è lo spostamento della produzione industriale verso altri paesi..."
Noi viviamo in un paese caratterizzato, per la maggior parte, da un'industria con poche punte di eccellenza dal punto di vista tecnologico. Dove queste ci sono i mercati di riferimento sono maturi e con un alto tasso di competitività. I salari dei lavoratori italiani sono tra i più bassi d'Europa, la quantità del lavoro fatto tra i più alti ma la produttività che il paese misura tra le più basse.
Possiamo dire che abbiamo un tasso di sindacalizzazione medio con un potere negoziale scarso.Inconsistente il risultato relativo al trasferimento della maggiore produttività in salari anche in quei settori in cui la produttività è salita (comparto dell'automotive ad esempio).Come si fa in questo contesto a migliorare la produttività ed a legare a questa il reddito delle persone? A me sembra la tipica "mission impossible". In attesa di una riconversione gigantesca del settore produttivo, dell'aumento della produttività e dei salari reali, forse varrebbe dare un'occhiata a quello che c'è già in termini di ricchezza disponibile ed usarla e distribuirla in un altro modo?
Commenti
1) la produttività dei servizi pubblici può crescere tranquillamente per molto tempo prima di averne in eccesso rispetto alle necessità della gran parte della popolazione.
2 ) Una significativa crescita della produttività nel 99% dei casi reali si ripercuote sui prezzi dei prodotti facendoli diminuire e anche questo sopratutto su beni di prima necessità non mi sembra un gran male.
Non nego che ci siano anche molti aspetti su cui si può essere pesantemente critici, ma nel mondo attuale chi ha cercato concretamente una via diversa dall'imperfetta economia capitalista mi sembra abbia fatto solo danni peggiori.
Insomma se il marxismo è cosi buono , perchè finora dopo 150 anni non si è ancora vista una società marxista decente?
cosa vuol dire?
punto 2
qui non si parla del fatto chee sia un male la diminuzione dei prezzi, solo che il rapporto tra pil ed ore lavorate non registrerebbe risultati "logici"
punto 3
perchè esiste un sistema economico capitalista decente? se così fosse non ci sarebbe tutta questa necessità di correggerlo costantemente negli effetti che produce.
E poi cosa sono 150 anni rispetto a secoli di storia?
Tra il capitalismo reale e il socialismo reale ci sono pochi dubbi, come diceva Moni Ovadia parlando di Brecht che era scappato in California e non nella patria del socialismo realizzato ( la Russia ) "comunista si ma mica scemo!"
Così come si pontifica sugli strumenti da utilizzare per misurare la produttività nella pubblica amministrazione banalizzando i concetti e dimostrando, alla fine, di non sapere di cosa si parla.
per quanto riguarda il buon capitalismo , a me sembra che di gente che fugge ne abbiamo una cifra.Anche da paesi in cui si realizza un capitalismo perfetto nella sua ispirazione ideologica liberista in materia economica ma molto meno per quanto riguarda i diritti delle persone. Forse varrebbe la pena ricordare da dove fuggiva Brecht.Gli Usa si adeguarono in fretta, in ogni caso, visto che (in seguito) se eri comunista ti veniva impedito di entrare nel paese più libero del mondo.
fammi un esempio di come lo applicheresti ad un ufficio postale o ad un commissariato di P.S.