Statistiche-produttività, salari e classe dirigente
Questa è la sintesi dell'analisi che la CGIL ha fatto per indicare di quanto hanno perso, in termini di potere di acquisto i salari, dei lavoratori dipendenti, dal 2002 al 2007.
Manca (nella tabella) la parte relativa alle imposte, e della loro crescita, e di quanto queste hanno contribuito ad un'altra eventuale perdita del potere di acquisto (allocazione di una parte del reddito per pagare più tasse), così come manca un'analisi che evidenzi come il dato medio dell'inflazione si comporta in modo diverso in funzione dei diversi panieri di acquisto tra operai, pensionati al minimo e no,quadri, dirigenti, professionisti, politici ed altre classi di reddito.
Nello stesso tempo ci informano che la produttività del paese non cresce (qui, qui, qui), questo è quello che si diceva nel 2000
Questo è un estratto del documento IRES che compara i dati della produttività tra lavoro e capitale
In questo scenario si inseriscono due interventi, il primo di Montezemolo il secondo di Andrea Riello. Monti dice che va pagato chi produce di più e Riello che bisogna lavorare di più.
Monti, in modo retorico, racconta che " fa danni molto gravi chi vuol contrapporre l'interesse dell'impresa a quella dei lavoratori"
Parole in libertà. Se quella che manca è la produttività del capitale(vedi anche le considerazioni di Andrea Agostino su produttività ed uso delle nuove tecnologie) vuol dire che quello che manca (per stare dentro la logica efficentista del capitalismo) è un manico (classe dirigente) adeguato alle nuove sfide, e non soltanto predatore. Anche perché, nella redistribuzione della ricchezza, quelli che non hanno sofferto sono proprio i dirigenti delle aziende (in prima fila top manager), i profitti e le rendite in genere.
Tornando ad un approccio più di sistema consiglio la lettura delle tesi sulla crescita lenta e della deindustrializzazione di Rowthorn e Wells con due domande:
1) " non è che il tasso di produttività collide con l'abbassamento del tasso di disoccupazione"?"
2)"le delocalizzazioni di attività manifatturiere, ed il contestuale mutare del mix tra peso dei servizi e produzione manifatturiera, quanto contribuiscono al declino del paese?"
Rimangono due questioni:
1- il contributo dato dal sindacato a questi risultati
2-la mancanza di una analisi, da parte della sinistra alternativa, che prenda come punto di partenza la irriversibilità del "declino" e ne faccia uso per proposte politiche adeguate.
Per quanto riguarda la prima questione, il ruolo del sindacato è sempre più quello di un gestore delle trasformazioni in atto. Le analisi sono fatte in modo partecipativo rispetto alle logiche del capitale. In questo trovano la prima contraddizione. Se la logica è quella, la razionalità che vince in quei processi è il liberismo senza se senza ma ed a quello tocca adeguarsi.Portando fino in fondo i processi di trasformazione in atto. Qualsiasi tentativo residuo di provare a distribuire briciole non fa altro che diminuire l'efficienza del sistema.
Il suo contrario è una prospettiva di conflitto radicale. Partendo dalla questione del salario e del modo in cui la ricchezza si accumula e viene distribuita, fino ad arrivare ai mezzi di produzione.
Per quanto riguarda la seconda, la debolezza dell'analisi è nel non vedere come cambia il contenitore all'interno del quale il capitale si muove. La sua dimensione sovranazionale ed i confini che, per quanto lo riguardano, non esistono più.
Manca (nella tabella) la parte relativa alle imposte, e della loro crescita, e di quanto queste hanno contribuito ad un'altra eventuale perdita del potere di acquisto (allocazione di una parte del reddito per pagare più tasse), così come manca un'analisi che evidenzi come il dato medio dell'inflazione si comporta in modo diverso in funzione dei diversi panieri di acquisto tra operai, pensionati al minimo e no,quadri, dirigenti, professionisti, politici ed altre classi di reddito.
Nello stesso tempo ci informano che la produttività del paese non cresce (qui, qui, qui), questo è quello che si diceva nel 2000
Questo è un estratto del documento IRES che compara i dati della produttività tra lavoro e capitale
"Come si vede dalla Tabella 6 , la produttivita nel business sector nel nostro paese é aumentata
dal ’98 al 2007 di poco meno del 3% rispetto all’8,5% della Germania, al 20% del Regno Unito e, addirittura, al 25% degli Usa: la ragione fondamentale di questa mancata crescita della produttivita deriva non dalla produttività del lavoro ma da quella del capitale.
Ora, se si esamina la quota del valore aggiunto che va al lavoro dipendente (che è determinata,
appunto, dal rapporto tra crescita delle retribuzioni e della produttività), si vede che essa è rimasta, in ciascun paese, sostanzialmente costante (o ha registrato oscillazioni limitate) nell’intero periodo.
Questo significa, che il tasso di crescita delle retribuzioni e della produttività nominali sono state in ciascun paese sostanzialmente allineati.
Nel periodo 1993-2006 su 16,7 punti percentuali di crescita di produttività, in termini reali, al lavoro ne sono andati solo 2,2:
Lavoro
2,2 punti
Imprese 14,5 punti
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat (Contabilità nazionale).
Nei primi anni 2000, in Italia abbiamo addirittura assistito ad un declino della produttività
(mentre negli altri paesi, nonostante la stagnazione dell’economia europea, ha continuato a
crescere), fortunatamente superata dalla ripresa che si é avviata nel 2006.
In questo scenario non si può non rilevare come negli ultimi due anni – grazie ad una
riconquistata competitività internazionale – i profitti delle imprese medio grandi siano tornati a crescere mentre le retribuzioni sono rimaste sostanzialmente al palo. Le medie e grandi imprese del campione Medio Banca (Industria in senso stretto più Commercio), circa mille imprese per circa un milione di lavoratori, hanno registrato una crescita dei profitti netti in particolare nel periodo 2004- 2006. "
dal ’98 al 2007 di poco meno del 3% rispetto all’8,5% della Germania, al 20% del Regno Unito e, addirittura, al 25% degli Usa: la ragione fondamentale di questa mancata crescita della produttivita deriva non dalla produttività del lavoro ma da quella del capitale.
Ora, se si esamina la quota del valore aggiunto che va al lavoro dipendente (che è determinata,
appunto, dal rapporto tra crescita delle retribuzioni e della produttività), si vede che essa è rimasta, in ciascun paese, sostanzialmente costante (o ha registrato oscillazioni limitate) nell’intero periodo.
Questo significa, che il tasso di crescita delle retribuzioni e della produttività nominali sono state in ciascun paese sostanzialmente allineati.
Nel periodo 1993-2006 su 16,7 punti percentuali di crescita di produttività, in termini reali, al lavoro ne sono andati solo 2,2:
Lavoro
2,2 punti
Imprese 14,5 punti
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat (Contabilità nazionale).
Nei primi anni 2000, in Italia abbiamo addirittura assistito ad un declino della produttività
(mentre negli altri paesi, nonostante la stagnazione dell’economia europea, ha continuato a
crescere), fortunatamente superata dalla ripresa che si é avviata nel 2006.
In questo scenario non si può non rilevare come negli ultimi due anni – grazie ad una
riconquistata competitività internazionale – i profitti delle imprese medio grandi siano tornati a crescere mentre le retribuzioni sono rimaste sostanzialmente al palo. Le medie e grandi imprese del campione Medio Banca (Industria in senso stretto più Commercio), circa mille imprese per circa un milione di lavoratori, hanno registrato una crescita dei profitti netti in particolare nel periodo 2004- 2006. "
In questo scenario si inseriscono due interventi, il primo di Montezemolo il secondo di Andrea Riello. Monti dice che va pagato chi produce di più e Riello che bisogna lavorare di più.
Monti, in modo retorico, racconta che " fa danni molto gravi chi vuol contrapporre l'interesse dell'impresa a quella dei lavoratori"
Parole in libertà. Se quella che manca è la produttività del capitale(vedi anche le considerazioni di Andrea Agostino su produttività ed uso delle nuove tecnologie) vuol dire che quello che manca (per stare dentro la logica efficentista del capitalismo) è un manico (classe dirigente) adeguato alle nuove sfide, e non soltanto predatore. Anche perché, nella redistribuzione della ricchezza, quelli che non hanno sofferto sono proprio i dirigenti delle aziende (in prima fila top manager), i profitti e le rendite in genere.
Tornando ad un approccio più di sistema consiglio la lettura delle tesi sulla crescita lenta e della deindustrializzazione di Rowthorn e Wells con due domande:
1) " non è che il tasso di produttività collide con l'abbassamento del tasso di disoccupazione"?"
2)"le delocalizzazioni di attività manifatturiere, ed il contestuale mutare del mix tra peso dei servizi e produzione manifatturiera, quanto contribuiscono al declino del paese?"
Rimangono due questioni:
1- il contributo dato dal sindacato a questi risultati
2-la mancanza di una analisi, da parte della sinistra alternativa, che prenda come punto di partenza la irriversibilità del "declino" e ne faccia uso per proposte politiche adeguate.
Per quanto riguarda la prima questione, il ruolo del sindacato è sempre più quello di un gestore delle trasformazioni in atto. Le analisi sono fatte in modo partecipativo rispetto alle logiche del capitale. In questo trovano la prima contraddizione. Se la logica è quella, la razionalità che vince in quei processi è il liberismo senza se senza ma ed a quello tocca adeguarsi.Portando fino in fondo i processi di trasformazione in atto. Qualsiasi tentativo residuo di provare a distribuire briciole non fa altro che diminuire l'efficienza del sistema.
Il suo contrario è una prospettiva di conflitto radicale. Partendo dalla questione del salario e del modo in cui la ricchezza si accumula e viene distribuita, fino ad arrivare ai mezzi di produzione.
Per quanto riguarda la seconda, la debolezza dell'analisi è nel non vedere come cambia il contenitore all'interno del quale il capitale si muove. La sua dimensione sovranazionale ed i confini che, per quanto lo riguardano, non esistono più.
Commenti
E in ogni caso, è colpa di Berlusconi. Anche per gli anni 2006 e 2007.
In ogni caso...questi son problemi secondari.
Salari? Ma dai.
La vera emergenza del paese è la legge elettorale e, in secondo luogo, che simbolo avrà la "csoa rossa".