Moralizzatori, controllori, popolo bue e mare di merda
Il quadro che ne esce è desolante. Nel 1° troviamo il sunto della relazione della corte dei conti e del giudizio che esprime sulla "moralità" e la corruzione che ormai sono parte del sistema.
Nel 2° un altro articolo ci racconta qualcosa in più proprio sulla corte dei conti, su qualche aspetto pratico che questi moralizzatori saranno "sicuramente" in grado di correggere al più presto. Sembra di essere all'interno di uno di quei proverbi popolari in cui il bue dice cornuto all'asino.
Il terzo ci racconta quanto hanno guadagnato i commissari incaricati di porre rimedio allo sfacelo della Campania.
Nel 4° qualche dettaglio sul sistema di potere lombardo (è un articolo del 2006, non credo che le cose siano cambiate ).
Ci siamo risparmiati il caso Calabria, la questione Veneta, il modo in cui Cacciari per togliersi uno sfizio ha fatto costruire un ponte a Venezia che dovrà essere sorvegliato 24 ore al giorno per evitare che crolli.
Dettagli di un paese in cui una classe dirigente trasversale combina danni inenarrabili. Tutti inossidabili e tutti pronti a chiedere legittimità e potere.
In questo contesto si parla di legge elettorale. Io credo che ci vorrebbe un coprifuoco contro le istituzioni. Impedire a loro di circolare e produrre azioni per nome e per conto del popolo bue.
Siamo ad un punto in cui parlare di massimi sistemi non ha più senso. bisognerebbe darsi la priorità di ricostruire un tessuto sociale sano.
Anni di fatica dura.
Chiedere conto a prescindere dall'appartenenza.
Storace ed i danni della sanità nel Lazio, Bassolino che non si dimette e che nessuno accompagna in galera, D'Alema che frequenta palazzinari pensando che quella sia l'economia reale.Assessori che trattano la sanità come una vacca da mungere. A dispetto di noi.Leggeri nel loro cambio di casacca.
Di cosa parliamo?
Abbiamo ucciso le ideologie, i valori, la tensione e la dialettica sana per lasciare spazio a a questa marea di merda?
E' come dopo la guerra, ci sono macerie e serve gente di buona volontà che si metta con la pala a spalare le macerie. Dopo possiamo ricominciare a parlare di cosa è meglio. Ma non con loro.
NON VOTATELI.
Repubblica
Qualcuno va in galera o rimborsa il maltolto, e probabilmente l’azione di verifica condotta dalla Corte dei Conti almeno un po’ contribuisce a disincentivare i molti furbi che «giocano» con i soldi pubblici. Ma il quardo, spiega il presidente della Corte dei Conti Tullio Lazzaro, è sconfortante: se nel complesso la «Repubblica vive in un momento di malessere e incertezza», la corruzione è «quanto mai diffusa»; e anzi, in settori come sanità e lavori pubblici è una realtà consolidata. Ci si potrà interrogare se i metodi oggi adottati dalla Corte dei Conti siano veramente efficaci ; o se la stessa «produttività» della Corte sia paragonabile a quanto fanno analoghi organismi europei. Resta il fatto che a fronte alla gravità del fenomeno, i risultati ottenuti sembrano irrisori. Come ha affermato il procuratore generale, Furio Pasqualucci, nella sua relazione sui risultati dell’attività giurisdizionale del 2007, permangono «profili di patologia» quando si tratta di depredare l’Erario: si va «dal ripetersi di fattispecie di mancata o incompleta realizzazione di opere» alla mancata utilizzazione di progetti, dalla revisione illecita dei prezzi a indebite e costose sospensioni dei lavori, da ritardati pagamenti ad acquisti o locazioni a prezzi maggiorati. Poi, c’è la corruzione in senso stretto, e continua il doloroso elenco di Pasqualucci: «artifici e irregolarità», «quali la dolosa alterazione di procedure contrattuali, i trattamenti preferenziali negli appalti, la collusione con le ditte fornitrici, la illecita aggiudicazione, la irregolare esecuzione e l’intenzionale alterazione della regolare esecuzione di applati di opere, forniture e servizi».
Ciliegina: «il pagamento di prezzi di gran lunga superiori a quelli di mercato o addirittura il pagamento di corrispettivi per prestazioni mai rese». E la melma scende giù verso il basso: comportamenti illeciti si riscontrano anche nella gestione del personale, per retribuzioni non dovute, falsi riconoscimenti di invalidità, illecito conferimento di incarichi esterni, assenze ingiustificate dal servizio. Qualcosa la Corte dei Conti fa per frenare questo sconcio. Nel 2001-2006 sono state emesse sentenze definitive di condanna per comportamenti illeciti per un importo «intascabile» di quasi 490 milioni, e circa 70 milioni sono stati recuperati come «riparazioni spontanee» durante i processi. E nel solo 2007 circa 200 sentenze di condanna in primo grado emesse dalle sezioni regionali della Corte riguardavano la corruzione. Tra i casi più eclatanti le condanna da 2,4 milioni di euro per i danni materiali e «morali» all’Enipower, oppure i 5 milioni di euro inflitti agli amministratori e dipendenti del Coni e della Fgci per «Calciopoli». Ma sono obiettivamente «spiccioli». Insomma, anche se il Presidente Lazzaro parla di una «serena coscienza che ogni possibile energia è stata profusa dalla Corte», pare che si stia tentando di vuotare un oceano con un secchio. Un secchio crivellato di fori, che opera con procedure e ritmi ottocenteschi.
Considerazioni deprimenti che volavano nere su di una platea che appariva già depressa per suo conto. Il Presidente Giorgio Napolitano e il ministro Tommaso Padoa-Schioppa erano rigidi e tesi, e molte sedie vuote testimoniavano che i Palazzi della Politica erano in altre faccende affaccendati. Per il resto, nelle parole di Lazzaro qualche apprezzamento per uno stato dei conti pubblici «in netto miglioramento», anche se va valutato l’andamento della spesa previdenziale alla luce della riforma. effetti delle scelte operate nel settore previdenziale», e preoccupa il taglio esagerato degli investimenti pubblici. Detto dell’allarme lanciato sul proliferare di precari e consulenze, la Corte prende come caso esemplare di cattiva gestione delle risorse l’emergenza rifiuti in Campania.
Repubblica
ACCOUNTABILITY. In italiano si potrebbe tradurre come "resa del conto". E' un istituto che negli Stati Uniti ha una sua previsione funzionale e un proprio organico: esiste infatti il Gao (Government accountability office) che è il luogo dove la burocrazia deve dar conto dei suoi atti. L'ufficio dove la politica rende al singolo cittadino il suo conto: cosa ho fatto, perché l'ho fatto. Dei conti, in senso molto lato, in Italia invece si occupa una magistratura speciale: la Corte dei conti. I giudici contabili dovrebbero sorvegliare, controllare e, in casi in verità sempre più rari, persino punire i pubblici ufficiali che hanno speso male i soldi dell'erario chiedendo loro con la forza di un titolo esecutivo di risarcire alla collettività il danno procurato ed accertato.
Dovrebbero. La legge non aiuta a controllare e il controllore poi ha piccole debolezze che custodisce con assoluta discrezione. I magistrati della Corte dei conti sono sulla carta 615. Un numero non spropositato, poiché il difetto genetico della cattiva spesa risiede nell'assenza quasi totale di controlli con efficacia cogente. E già qui bisogna mettere un punto. I Procuratori della Corte indagano e inquisiscono, gli altri magistrati - riuniti nelle varie sezioni di controllo - devono controllare. Ma piano. Controllare, ma con gentilezza. Il Parlamento ha infatti voluto che il loro controllo sia "collaborativo": possono bacchettare ma non punire, esortare ma non intervenire. Dei seicento e passa solo quattrocento circa sono però i magistrati effettivamente all'opera. E qui viene il bello, anzi il brutto. Perché parecchi di essi, già stremati dalle carte e dai conti che non tornano, trovano il tempo di dedicarsi a un dopolavoretto.
Nel 2006 il 30,8 per cento dei magistrati contabili si è preso una boccata d'aria, mezz'ora di libertà. A volte un pomeriggio. O anche giornate intere: uno studio, o una serie di seminari universitari. Una consulenza, o più consulenze. Retribuite con poche migliaia di euro o molte migliaia di euro. Per il 2006 sono ventitrè le pagine fitte di nomi di magistrati che hanno avuto conferito un incarico extra. O che sono stati autorizzati all'extra. La differenza non è di poco conto. La Corte ha l'obbligo di prestare (conferire, appunto) ad altre amministrazioni dello Stato i propri dipendenti per l'esercizio di funzioni di garanzia o di controllo. A questi si aggiungono coloro che richiedono l'autorizzazione per un impegno esterno: piccino e gratuito, o grande e a pagamento.
Nel 2007, ma riferita solo al primo semestre, la percentuale si attesta al 15,2 per cento. In linea, quando si tireranno le somme, con il totale dei cumulanti registrato l'anno precedente. I nomi, le pagine, i lavori, i soldi extra sono riportati, e bisogna ricordare che fu l'ex ministro della Giustizia Roberto Castelli a rendere obbligatoria questa pubblicità, nel sito della Corte (www. corteconti. it).
Poi ci sono i magistrati fuori ruolo. Sono giudici che ricevono lo stipendio di giudice senza fare il giudice. Fanno altro: incarico presso Amministrazioni o Autorità dello Stato. E aggiungono un secondo stipendio al primo. I magistrati collocati fuori ruolo fino a qualche mese fa erano nove. Dei nove, secondo una nota dell'ufficio stampa della Corte, "due sono collocati in aspettativa senza assegno". Due. E gli altri sette?
E così i controllori, già pochi, hanno spesso le ore contate, gli impegni a cascata, l'agenda fitta. I controlli sulla massa degli enti che spendono e sprecano sono realizzati a campione. Pochissimi gli sventurati che non la fanno franca. E per gli amministratori scalognati, chiamati a rendere conto e pagare il danno, è giunto in soccorso un condono, l'ultimo nato della grande famiglia dei condoni berlusconiani: se il fatto contestato è antecedente al 1 gennaio 2006 lo Stato accetta di chiudere la controversia in appello in cambio del pagamento del 30% del valore del danno accertato nel giudizio di primo grado.
Pochi controlli e tanta cortesia
Corriere della sera
NAPOLI — L'emergenza rifiuti è stata l'occasione per far guadagnare cifre «inimmaginabili » a chi lavorava negli anni scorsi al commissariato straordinario, dove durante la gestione Bassolino i subcommissari hanno ricevuto compensi pari anche a novantacinquemila euro al mese e non c'era quindi alcun interesse a risolvere la situazione. È questo uno dei punti centrali della requisitoria dei pm Noviello e Forleo durante l'udienza preliminare per il rinvio a giudizio del governatore della Campania Bassolino, dei vertici di Impregilo e di alcuni ex rappresentanti del commissariato.
I pm hanno citato i casi più eclatanti: il subcommissario Vanoli percepiva un milione e cinquantamila euro all'anno, i subcommissari Paolucci e Facchi, compensi tra gli ottocento e i novecentomila euro. La stessa situazione si sarebbe verificata anche quando commissario era il prefetto Corrado Catenacci, che in una intercettazione telefonica allegata agli atti del procedimento e citata dai pm, si lamentava con l'interlocutore, perché il suo stipendio era di cinquemila euro mensili, mentre due tecnici della struttura commissariale intascavano cifre pari a un miliardo di lire all'anno.
Con compensi così alti, sostiene la Procura, è chiaro che «più durava l'emergenza più si guadagnava», e quindi la gestione commissariale non avrebbe avuto affatto interesse a superare la crisi. Di qui le molte inadempienze che oggi sono contestate agli imputati — soprattutto non aver messo a norma gli impianti cdr che producono un materiale inutilizzabile come combustibile nel futuro inceneritore di Acerra e in qualunque altro inceneritore — e di cui, secondo i pm, Bassolino era a conoscenza perché il suo ruolo di commissario era un ruolo «amministrativo e non politico» e aveva quindi «giuridicamente l'obbligo di controllare».
L'emergenza che oggi affligge la Campania nasce, sostiene la Procura, anche da quella cattiva gestione commissariale che consentì all'Impregilo di far finire in discarica non il 14 per cento dei rifiuti prodotti, così come prevedeva il piano, ma il 49 per cento, intasando gli impianti e creando quella che i pm chiamano «fame di discariche» con la quale deve fare i conti oggi il commissario De Gennaro mentre cerca di portare la regione fuori dalla crisi.
Una crisi che rischia di costare all'Italia pesanti sanzioni dall'Ue (appena avviata una nuova procedura di infrazione per le troppe discariche abusive in tutto il Paese) e che potrebbe ulteriormente acuirsi a causa del blocco dell'impianto di cdr di Giugliano, che ha i depositi pieni e ieri ha dovuto sospendere la lavorazione dei rifiuti.
Fulvio Bufi
06 febbraio 2008
non solo cuffaro: la corruzione a milano tra gli amici di formigoni
Inviato da gagarin | |
Monday 17 April 2006 | |
Da Luther Blisset La mafia del nord è diversa e magari meno cruenta di quella siciliana ma ha elevatissimi costi per la collettività, che vive una realtà sociale davvero assurda Roberto Formigoni - l’uomo che aspira a diventare il successore di Silvio Berlusconi, per portare a compimento la democristianizzazione di Forza Italia - è stato rieletto presidente della Regione Lombardia alle scorse regionali del 16 aprile 2000 con il 62,4 per cento dei voti. Un trionfo. Ha funzionato bene la grande macchina acchiappavoti di Comunione e liberazione-Compagnia delle opere e ha dato buoni risultati il patto stretto tra Berlusconi e Umberto Bossi. I leghisti, che fino a qualche mese prima delle elezioni erano i più duri oppositori del potere formigoniano e non perdevano occasione per convocare conferenze stampa per denunciarne i presunti "abusi", hanno dimenticato in un attimo i loro attacchi e si sono stretti attorno all’ex avversario. In cambio, hanno ottenuto un Formigoni "governatore" regionale, fautore dell’autonomia lombarda, che si fa fotografare in mezzo agli altri due "governatori" del Nord, il veneto Giancarlo Galan e il piemontese Enzo Ghigo, con i quali (pur con significative resistenze di Ghigo) ha avviato la riscossa delle regioni nordiste (e poliste) contro lo Stato centralista, romano (e ulivista). Dopo la rielezione, in un giorno dalle reminiscenze patriottiche, il 24 maggio - ironia della sorte - Formigoni ha chiesto alla sua squadra di pronunciare un "solenne giuramento", rivolto "alla Lombardia e al suo popolo". Questa volta il Piave non ha mormorato, in compenso hanno gioito i leghisti, appena conquistati alla maggioranza. Quel giuramento è un atto simbolico quasi secessionista, ha protestato qualcuno. Ma il "governatore" è andato avanti, senza curarsi troppo del galateo istituzionale. Non erano passati neppure quattro mesi dall’inedito giuramento, e sulla nuova giunta del "governatore" si è abbattuto il primo scandalo: il 22 settembre 2000 viene arrestato Gianluca Massimo Guarischi, coordinatore provinciale di Forza Italia e presidente della commissione Bilancio della Regione. Finisce in carcere insieme ad altre otto persone, alti funzionari (come Mario Catania, vicecommissario per l’Emergenza) o imprenditori. Tre mesi dopo, il 13 dicembre 2000, è arrestata anche Milena Bertani, del Ccd, assessore prima ai Lavori pubblici e poi al Bilancio, privata della libertà insieme a Mario Giovanni Sfondrini, direttore generale del settore Opere pubbliche della Regione Lombardia. Bertani - diploma da geometra, ex segretaria della andreottiana Ombretta Fumagalli Carulli e poi esponente di rilievo del Ccd di Pierferdinando Casini - era stata scelta per il delicatissimo ruolo di assessore ai Lavori pubblici direttamente da Formigoni. Quanto a Guarischi, Formigoni da anni lo andava sostenendo, anche a dispetto della sua fama. Per esempio, lo aveva imposto come commissario straordinario dell’Ipab (un ricco ente assistenziale milanese) anche quando Guarischi era stato vistosamente messo da parte dal sindaco di Milano, Gabriele Albertini, ed escluso dalla gestione degli enti pubblici. Aveva dovuto sopportare non poche ironie, il povero Guarischi, raccontato dai giornali come un ragazzetto con la faccia da soap-opera, messo in politica dal padre (un costruttore a suo tempo arrestato per corruzione) per garantire continuità, dopo Mani pulite, alle aziende di famiglia. Il bel Massimo era noto al pubblico più che altro per aver condotto un programma in una tv di Berlusconi e per essere stato fidanzato della modella Celeste. Ma alla fine ha dimostrato di avere la stoffa del politico di razza e del manager di successo: ha infatti saputo costruire e mantenere, dopo i guai tangentizi paterni, un nuovo comitato d’affari, un sistema di corruzione complesso e articolato. Secondo la ricostruzione dell’accusa (coordinata dai sostituti procuratori Fabio Napoleone e Claudio Gittardi, i più attivi e silenziosi dei magistrati alle prese con la nuova Tangentopoli lombarda), Guarischi, con la complicità di Bertani, faceva i miliardi sui disastri (degli altri): frane, alluvioni, smottamenti. Il suo sistema di relazioni e di procedure imponeva che a vincere gli appalti regionali per la ricostruzione fossero le aziende di famiglia: Guarischi politico affidava i lavori a Guarischi imprenditore. Poi truffava sui materiali: piazzava tiranti più corti del dovuto, impiantava nel terreno meno pali e di diametro più piccolo ("Sui pali abbiamo fregato un trenta per cento", dice uno dei complici, intercettato dai magistrati ). Tutta la compagnia - politici, funzionari, amministratori, imprenditori - è accusata "di aver ridotto la Regione a una specie di mercatino", sintetizzano a Palazzo di giustizia. Le imputazioni ufficiali sono corruzione, frode allo Stato, associazione a delinquere: il gruppo, secondo l’accusa, aveva messo in piedi un sistema per truccare tutte le gare e controllare tutti gli appalti pubblici dei lavori regionali, dalla costruzione degli argini del torrente Seveso al ripristino delle sponde del Naviglio, dalla sistemazione delle frane in Valbondione al ristrutturazione dei torrenti in Val Tidone, fino al consolidamento dell’Adda. Guarischi nega tutto. Dichiara che tra gli imprenditori c’era soltanto un "gentlemen agreement". In realtà, l’intervento illecito di pubblici funzionari per ottenere vantaggi era diventato per Guarischi un metodo consolidato, una consuetudine assodata. Tanto che la sua famiglia vi ricorreva, scrive il giudice per le indagini preliminari Alessandro Rossato, "anche per le più banali necessità". Come l’iscrizione della moglie di Guarischi, Stefania Luraschi, all’Albo degli architetti: "Si può affermare", scrive Rossato, "che il segretario della Bertani, Paolini, sia intervenuto per favorire la moglie del Guarischi, affinché questa superasse l’esame d’iscrizione all’albo. l’episodio delinea la personalità di Guarischi, sempre teso a cercare ogni tipo di favore, in questo caso per la moglie, che recentemente, anche grazie al titolo professionale conseguito in modo illecito, è stata assunta presso la Regione Lombardia". Formigoni non si era accorto di niente? Perché proteggeva Guarischi, perfino contro il sindaco Albertini? Appena scoppiato lo scandalo, si è dichiarato "addolorato". E non per la corruzione che covava nei suoi uffici, ma "per un arresto che va assolutamente al di là di quanto la legge prescrive". Quando poi è arrivata l’alluvione che in ottobre ha battuto la Lombardia, il "governatore" perde un’occasione per stare zitto: "Avete visto? Le opere sotto inchiesta hanno resistito, dunque sono fatte a regola d’arte". Il giorno dopo, una delle opere incautamente evocate da Formigoni (l’argine di Crotta d’Adda) crolla. Alla seconda tornata dello scandalo, nel dicembre 2000, quando sono tratti in arresto Milena Bertani e Giovanni Sfondrini, Formigoni reagisce rincarando le dosi contro i magistrati: "E’ un atto d’intimidazione. Sproporzionato, anzi del tutto ingiustificato in base alla legge vigente". Formigoni porta dunque tutta intera la responsabilità politica di aver scelto e sostenuto Bertani e Guarischi. Quanto a dirette responsabilità penali, il suo nome, a quanto è dato sapere finora, è entrato nelle carte dell’inchiesta soltanto per una citazione che Guarischi ha fatto al telefono (intercettato), parlando con il superfunzionario Sfondrini: è necessario spartire la torta di un appalto con un terzo commensale, l’ex deputato dc Antonio Cancian, perché "è amico di Formigoni", ordina Guarischi. "Dagli una roba da poco: accontendando il professore, io e te con Formigoni siamo a posto" |
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Pensatoio