Il lavoro e la morte
Da La Repubblica
"Incidenti fotocopia a Caserta e a Teramo. Nella città campana la vittima aveva 39 anni ed era sposato con figli. In Abruzzo ucciso un romeno di 44 anni"
Questa è la contabilità di oggi.Mancano gli invalidi, quelli non contabilizzati perchè il cancro non fa fede, quelli che si sono suicidati perché a loro il lavoro manca ed altro ancora.
Qualche tempo fa, qui da noi a Torino, un operaio della Thyssen si è impiccato. Dicono che quando ti appendi ad un cappio ci metti un pò a morire. Ti pisci addosso e lo sfintere non tiene. Se sei fortunato ti si rompe l'osso del collo, altrimenti aspetti che l'ossigeno non arrivi più ai polmoni. Ti agiti e forse provi a liberarti. La questione è che ti manca la forza e la lucidità per cambiare corso a quella decisione.
La scorsa settimana in Sicilia un altro si è dato fuoco.
In qualche post dotto di qualche tempo fa, si parlava delle eredità negative del 68.Una di queste era la messa in discussione del"lavoro" come fonte di ricchezza, come elemento nobilitante della condizione umana.
Si contestava questa eredità, rimarcando come neanche Marx arrivasse a tanto nella sua critica ai meccanismi dell'economia liberale e borghese.
Era evidente la distorsione del pensiero, Marx in realtà ha sostenuto che "una volta realizzatesi determinate condizioni e trasformazioni oggettive e soggettive, il lavoro non sarebbe stato più un mezzo per guadagnarsi da vivere, ma il principale bisogno dell'uomo"
Quello che rimane del lavoro, per gran parte delle persone, è l'estraniazione che esso fornisce rispetto al suo risultato ultimo a chi è produttore di quel risultato.
Il lavoro è, per gli economisti, un fattore della produzione. Un costo e non una condizione di vita di un soggetto.
Se quello è il perimetro, l'essenza positiva del lavoro è dato per lo più (in una società come la nostra) dalle possibilità che il reddito che ne ricavi possa rendere "ricco" il tuo tempo di non lavoro.La misura è ciò che riesci a consumare in più rispetto a ciò che ti serve per sopravvivere.
Oggi per molte persone la soddisfazione è in quello.Non nel lavoro.
Se sei fortunato e ti gira bene (fai l'avvocato o lo scrittore ad esempio) nella natura stessa della tua attività puoi trovare qualcosa in più rispetto alla massa delle persone.
Al contrario non aspetti altro che il tempo scada per toglierti dalle balle e riprenderti un pò del tuo tempo.
Questa condizione qualcuno, nel 68 prima e nel 77 poi, l'ha evidenziata e portata in superficie.Ha contestato il lavoro perché contestava quella condizione dell'individuo.
Oggi quando sei stretto tra l'alienazione della tua condizione e la fatica di sopravvivere cosa ti rimane?Non ci sono più soggetti interessati a riorganizzare per trasformarla quella condizione.A darti una speranza. E allora ci tocca contare, insieme a chi cade da un'impalcatura, chi preferisce chiudere con una corda o una tanica di benzina il suo passaggio.
"Incidenti fotocopia a Caserta e a Teramo. Nella città campana la vittima aveva 39 anni ed era sposato con figli. In Abruzzo ucciso un romeno di 44 anni"
Questa è la contabilità di oggi.Mancano gli invalidi, quelli non contabilizzati perchè il cancro non fa fede, quelli che si sono suicidati perché a loro il lavoro manca ed altro ancora.
Qualche tempo fa, qui da noi a Torino, un operaio della Thyssen si è impiccato. Dicono che quando ti appendi ad un cappio ci metti un pò a morire. Ti pisci addosso e lo sfintere non tiene. Se sei fortunato ti si rompe l'osso del collo, altrimenti aspetti che l'ossigeno non arrivi più ai polmoni. Ti agiti e forse provi a liberarti. La questione è che ti manca la forza e la lucidità per cambiare corso a quella decisione.
La scorsa settimana in Sicilia un altro si è dato fuoco.
In qualche post dotto di qualche tempo fa, si parlava delle eredità negative del 68.Una di queste era la messa in discussione del"lavoro" come fonte di ricchezza, come elemento nobilitante della condizione umana.
Si contestava questa eredità, rimarcando come neanche Marx arrivasse a tanto nella sua critica ai meccanismi dell'economia liberale e borghese.
Era evidente la distorsione del pensiero, Marx in realtà ha sostenuto che "una volta realizzatesi determinate condizioni e trasformazioni oggettive e soggettive, il lavoro non sarebbe stato più un mezzo per guadagnarsi da vivere, ma il principale bisogno dell'uomo"
Quello che rimane del lavoro, per gran parte delle persone, è l'estraniazione che esso fornisce rispetto al suo risultato ultimo a chi è produttore di quel risultato.
Il lavoro è, per gli economisti, un fattore della produzione. Un costo e non una condizione di vita di un soggetto.
Se quello è il perimetro, l'essenza positiva del lavoro è dato per lo più (in una società come la nostra) dalle possibilità che il reddito che ne ricavi possa rendere "ricco" il tuo tempo di non lavoro.La misura è ciò che riesci a consumare in più rispetto a ciò che ti serve per sopravvivere.
Oggi per molte persone la soddisfazione è in quello.Non nel lavoro.
Se sei fortunato e ti gira bene (fai l'avvocato o lo scrittore ad esempio) nella natura stessa della tua attività puoi trovare qualcosa in più rispetto alla massa delle persone.
Al contrario non aspetti altro che il tempo scada per toglierti dalle balle e riprenderti un pò del tuo tempo.
Questa condizione qualcuno, nel 68 prima e nel 77 poi, l'ha evidenziata e portata in superficie.Ha contestato il lavoro perché contestava quella condizione dell'individuo.
Oggi quando sei stretto tra l'alienazione della tua condizione e la fatica di sopravvivere cosa ti rimane?Non ci sono più soggetti interessati a riorganizzare per trasformarla quella condizione.A darti una speranza. E allora ci tocca contare, insieme a chi cade da un'impalcatura, chi preferisce chiudere con una corda o una tanica di benzina il suo passaggio.
Commenti
Io questo disagio lo vivo sul mio corpo e sulla mia psiche.
Il corpo tira calci, è iperteso e divora l'impossibile
La psiche è una macchina sbagliata che fa errori e può aprire solo una finestra alla volta