Gabbie salariali e piccolo riformismo
Banner tratto da un sito vicino PDL
La politica economica del nuovo PD si tinge di nuovo. Dietro a parole vuote come flessibilità e produttività, si intravedono progetti di sostanza come quello della introduzione delle gabbie salariali (vedi dichiarazioni di Letta al convegno in compagnia di Tremonti) e di un paese semplice in cui il conflitto è assente (tranne quello tra pensionati e no, garantiti a 1.000€ e no, fannulloni e no).
Ora che di cose nuove si tratti lo possono pensare solo i gonzi. O quelli che sanno ma tacciono.Da un breve estratto della storia della CGIL ricordiamo questo, a futura memoria per capire con quale artificio dialettico caleranno le braghe.
"Nei primi anni 60 l'azione sindacale è intensa. A fine anni 60 i sindacati sollevano, in sede contrattuale, il problema delle gabbie salariali in una vertenza condotta unitariamente. Le differenze tra zona e zona sono consistenti, anche se ridotte da due accordi nel 1953 e nel 1961. L'obiettivo di eliminare del tutto le sperequazioni geografiche viene raggiunto in base ad un accordo concluso tra Fiom e Industriali. In quegli anni, a livello parlamentare, viene discusso e approvato lo ''Statuto dei lavoratori''."
Sulla questione delle relazioni sindacali, per un paese moderno e semplice, hanno forse in testa quello che fece il Duce (sempre lui) con la confindustria o cosa di diverso?:
"Nel 1922 i fasci creano la Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali. Nel 1923 la Confindustria stipula un patto ( detto di Palazzo Chigi) con le Corporazioni fasciste, in base al quale i due organismi si impegnano a collaborare per ridurre la conflittualità sociale. A gennaio 1925 viene annunciata la fine delle libertà costituzionali e con questo la fine delle libere associazioni e del sindacato."
Ora non è che vogliamo esagerare, abbiamo solo in mente che i processi storici, anche se per vie contorte, ripresentano situazioni che si caratterizzano per il modo in cui le equivalenze diventano sospette.
E' storia dell'umanità.E' storia del conflitto che è conflitto sociale e conflitto tra classi, anche se qualcuno conia parole nuove utilizzando vocabolari di altri.E' storia di trasformismo, anche Mussolini gettò all'ortica la falce ed il martello ed inventò la camicia nera.
Sempre in questa nostra dietrologia come non ripensare e rendere omaggio al contributo che dobbiamo ai riformisti/riformatori (a proposito, se i comunisti erano massimalisti loro si guadagnarono l'appellativo di minimalisti) per la nostra storia e per ciò di cui andiamo orgogliosi (diritti ed emancipazione delle classi subalterne), un po' indietro nel tempo (certo), ma vuoi mettere come i fatti spiegano meglio di tante parole?
"Lo sciopero generale nazionale del 1904 fece tramontare questa illusione. Il lavoro e il sindacato, ormai radicati nel tessuto sociale e produttivo, non erano forze transeunti utili solo per ridisegnare un equilibrio politico-parlamentare, ma una realtà ormai permanente con cui occorreva confrontarsi sistematicamente nel processo legislativo e decisionale, mettendo nel conto la necessità di modificare il profilo e l'ambito stesso della politica e della sua funzione, al di là del vecchio sistema oligarchico e censitario. Il Governo Giolitti continuò a sparare sui lavoratori (i famosi eccidi proletari) soprattutto nelle campagne e nel Meridione spingendo allora la Camera del Lavoro di Milano, nel settembre 1904, a rialzare la bandiera dei diritti del lavoro e a utilizzare lo sciopero generale contro il Governo liberale per chiedere che lo Stato non solo riconoscesse a parole la libertà sindacale ma che non impiegasse la forza delle istituzioni come strumento di repressione militare e di assassinio dei lavoratori.
Lo sciopero generale del settembre 1904, non a caso proclamato da Milano, infranse altresì l'illusione giolittiano-turatiana che si potesse avere per amico un Governo che, sul terreno economico e sociale, aveva dovuto rinunciare alla riforma tributaria, rivedere drasticamente il proprio riformismo economico e sociale e che si era venuto spostando sempre più a sostegno della riscossa della borghesia industriale e agraria che voleva annullare le conquiste salariali e contrattuali realizzate nei primi anni (1901-1902) del libero dispiegamento della dialettica rivendicativa e dell'azione sindacale.
Giolitti sanzionò la rottura dell'alleanza con Turati e volle contrapporre furbescamente la politica alla rappresentanza sociale: preferì sciogliere le Camere e indire elezioni politiche anticipate, sfruttando le paure dei diversi ceti borghesi e proprietari per ottenere un nuovo consenso al proprio ministero. Sconfisse Turati, che perse le elezioni, e sembrò vincitore al punto che la sua manovra divenne una sorta di archetipo del comportamento del Governo nei confronti dello sciopero generale. In realtà la sua stagione politica finì con quell'atto. Il destino del riformismo politico, liberale e socialista si bruciò nell'incomprensione del significato che l'azione e la presenza del sindacato ormai avevano non solo nella vicenda economica ma, direttamente, sul quadro politico e sulla qualificazione degli indirizzi programmatici del Governo e dei partiti. Quando nel 1906 si costituì la CGdL Turati era nel pieno della dissoluzione del riformismo politico e Giolitti aveva dovuto passare la mano a Sonnino. Egli non riuscì più ad invertire la deriva politica della classe dirigente ormai inclinata verso soluzioni illiberali, autoritarie, nazionaliste e fasciste, da Sonnino a Salandra a Mussolini."
Ora che di cose nuove si tratti lo possono pensare solo i gonzi. O quelli che sanno ma tacciono.Da un breve estratto della storia della CGIL ricordiamo questo, a futura memoria per capire con quale artificio dialettico caleranno le braghe.
"Nei primi anni 60 l'azione sindacale è intensa. A fine anni 60 i sindacati sollevano, in sede contrattuale, il problema delle gabbie salariali in una vertenza condotta unitariamente. Le differenze tra zona e zona sono consistenti, anche se ridotte da due accordi nel 1953 e nel 1961. L'obiettivo di eliminare del tutto le sperequazioni geografiche viene raggiunto in base ad un accordo concluso tra Fiom e Industriali. In quegli anni, a livello parlamentare, viene discusso e approvato lo ''Statuto dei lavoratori''."
Sulla questione delle relazioni sindacali, per un paese moderno e semplice, hanno forse in testa quello che fece il Duce (sempre lui) con la confindustria o cosa di diverso?:
"Nel 1922 i fasci creano la Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali. Nel 1923 la Confindustria stipula un patto ( detto di Palazzo Chigi) con le Corporazioni fasciste, in base al quale i due organismi si impegnano a collaborare per ridurre la conflittualità sociale. A gennaio 1925 viene annunciata la fine delle libertà costituzionali e con questo la fine delle libere associazioni e del sindacato."
Ora non è che vogliamo esagerare, abbiamo solo in mente che i processi storici, anche se per vie contorte, ripresentano situazioni che si caratterizzano per il modo in cui le equivalenze diventano sospette.
E' storia dell'umanità.E' storia del conflitto che è conflitto sociale e conflitto tra classi, anche se qualcuno conia parole nuove utilizzando vocabolari di altri.E' storia di trasformismo, anche Mussolini gettò all'ortica la falce ed il martello ed inventò la camicia nera.
Sempre in questa nostra dietrologia come non ripensare e rendere omaggio al contributo che dobbiamo ai riformisti/riformatori (a proposito, se i comunisti erano massimalisti loro si guadagnarono l'appellativo di minimalisti) per la nostra storia e per ciò di cui andiamo orgogliosi (diritti ed emancipazione delle classi subalterne), un po' indietro nel tempo (certo), ma vuoi mettere come i fatti spiegano meglio di tante parole?
"Lo sciopero generale nazionale del 1904 fece tramontare questa illusione. Il lavoro e il sindacato, ormai radicati nel tessuto sociale e produttivo, non erano forze transeunti utili solo per ridisegnare un equilibrio politico-parlamentare, ma una realtà ormai permanente con cui occorreva confrontarsi sistematicamente nel processo legislativo e decisionale, mettendo nel conto la necessità di modificare il profilo e l'ambito stesso della politica e della sua funzione, al di là del vecchio sistema oligarchico e censitario. Il Governo Giolitti continuò a sparare sui lavoratori (i famosi eccidi proletari) soprattutto nelle campagne e nel Meridione spingendo allora la Camera del Lavoro di Milano, nel settembre 1904, a rialzare la bandiera dei diritti del lavoro e a utilizzare lo sciopero generale contro il Governo liberale per chiedere che lo Stato non solo riconoscesse a parole la libertà sindacale ma che non impiegasse la forza delle istituzioni come strumento di repressione militare e di assassinio dei lavoratori.
Lo sciopero generale del settembre 1904, non a caso proclamato da Milano, infranse altresì l'illusione giolittiano-turatiana che si potesse avere per amico un Governo che, sul terreno economico e sociale, aveva dovuto rinunciare alla riforma tributaria, rivedere drasticamente il proprio riformismo economico e sociale e che si era venuto spostando sempre più a sostegno della riscossa della borghesia industriale e agraria che voleva annullare le conquiste salariali e contrattuali realizzate nei primi anni (1901-1902) del libero dispiegamento della dialettica rivendicativa e dell'azione sindacale.
Giolitti sanzionò la rottura dell'alleanza con Turati e volle contrapporre furbescamente la politica alla rappresentanza sociale: preferì sciogliere le Camere e indire elezioni politiche anticipate, sfruttando le paure dei diversi ceti borghesi e proprietari per ottenere un nuovo consenso al proprio ministero. Sconfisse Turati, che perse le elezioni, e sembrò vincitore al punto che la sua manovra divenne una sorta di archetipo del comportamento del Governo nei confronti dello sciopero generale. In realtà la sua stagione politica finì con quell'atto. Il destino del riformismo politico, liberale e socialista si bruciò nell'incomprensione del significato che l'azione e la presenza del sindacato ormai avevano non solo nella vicenda economica ma, direttamente, sul quadro politico e sulla qualificazione degli indirizzi programmatici del Governo e dei partiti. Quando nel 1906 si costituì la CGdL Turati era nel pieno della dissoluzione del riformismo politico e Giolitti aveva dovuto passare la mano a Sonnino. Egli non riuscì più ad invertire la deriva politica della classe dirigente ormai inclinata verso soluzioni illiberali, autoritarie, nazionaliste e fasciste, da Sonnino a Salandra a Mussolini."
Commenti
Se la ho colta, forse l'analogia relativa a Giolitti ed alla rottura con Turati non mi pare troppo calzante con il quadro attuale, ma il senso complessivo di questo brano certamente fa riflettere.
Non penso nemmeno che si possa dire che questo paese abbia mai avuto, per come intendo io il termine, dei veri "riformisti".
Sempre nello stesso spirito e con gli stessi risultati.