Ammazzateli sono italiani

Quella che segue è la cronaca di una strage di nostri connazionali che avvenne in Francia circa 1 secolo fa.
Gli ingredienti e le motivazioni, così come il clima creato ad arte,sono le stesse di quanto ci offrono le cronache in questi giorni.
Scaricare le frustrazioni e le difficoltà del vivere sull'anello più debole della società non richiede molto sforzo.Quello che lascia allibiti è il cosciente e disinvolto uso che ne viene fatto da media e politici.In questo, devo confessare, mi sarei aspettato una reazione di qualche tipo da parte di quel signore che si chiama Veltroni, che vorrebbe andare in Africa,e dei suoi parlamentari da operetta.Eppure nulla.Neanche il tentativo di far sentire la propria voce.
Mi chiedo con quale faccia si celebrino la shoah , si evochino diritti e superiorità della civiltà con cui ci copriamo le spalle,e puliamo l'ano a tre quarti dell'umanità, senza sentire un minimo d'imbarazzo nell'osservare ciò che succede.






Fonte:Enzo Barnabà

Morte agli Italiani.
Questo volume era stato anticipato dallo stesso autore nel 1990 con un più breve saggio contenuto nell'opera collettanea Gli italiani all'estero, Autres passages, edito dal Circe parigino a cura di Jean Charles Vegliante (si veda la recensione su Altreitalie, 6, 1991),
Gli scontri di Aigues-Mortes sono solo uno dei tanti episodi di rivalità etnica e di lavoro nella difficile congiuntura di fine secolo. Essi sono diventati tristemente celebri non solo per la gravità dell'epilogo ma perché suscitarono subito un'accesa reazione dell'opinione pubblica francese e italiana ed ebbero anche un'ampia ripercussione diplomatica nelle già difficili alleanze internazionali dell'epoca.
Aigues-Mortes era una delle tante mete del lavoro stagionale degli immigrati italiani in Francia: l'esodo verso il Sud-est francese interessava per lo più i piemontesi delle aree meridionali della regione per i quali i percorsi nel Midi si iscrivevano nell'ambito di una mobilità territoriale diretta verso quei lavori agricoli, edili e minerari che permettevano un'integrazione dei redditi familiari al proprio paese senza ricorrere a un esodo definitivo. Tanto è vero che sul macabro bilancio dei morti durante i massacri - nove, tra liguri, toscani e piemontesi - ben cinque operai erano appunto piemontesi. I lavoratori italiani coinvolti nel massacro del 17 agosto erano occupati presso le saline della Fangouse e svolgevano il faticoso e dequalificato lavoro del trasporto del sale. Nei lavori erano occupali anche operai francesi con i quali scoppiarono i contrasti che portarono al massacro degli italiani.
Gli avvenimenti di Aigues-Mortes sono inquadrati dall'autore nella crisi economica francese di quegli anni e in quella specifica del Midi, che si vedeva sempre più subordinato alle scelte del governo di Parigi proprio quando la filossera e la crisi di alcuni settori della produzione agricola colpivano gravemente la viticoltura locale. In mezzo a queste difficoltà economiche si aggravarono i rapporti tra gli operai italiani immigrati e i nativi: rapporti già difficili non solo perché gli immigrati contribuivano ad abbassare i livelli salariali ma erano spesso crumiri che mettevano in discussione gli esiti delle rivendicazioni. Inoltre il sistema di lavoro esistente era un altro motivo di tensione costante; il cottimo - praticato dai capisquadra italiani imponeva infatti indesiderati e pesanti ritmi di lavoro anche ai nativi.
Su entrambi i fronti i protagonisti degli scontri furono le frange più dequalificate della manodopera, gli addetti ai lavori delle saline reclutati sia tra la manovalanza immigrata sia tra i trimards, ossia tra quegli operai francesi che con l'industrializzazione avevano assistito alla fine della propria autonomia e al crollo del tradizionale sistema del compagnonnage. In tale contesto non esisteva ancora una forza organizzativa e politica dei partiti operai, dei socialisti in particolare; gli organismi internazionali erano solo dei progetti, mentre l'organizzazione sindacale dei lavoratori immigrati era ancora una meta da raggiungere. Non esisteva dunque una coscienza soggettiva né un'organizzazione internazionale che fosse in grado di tutelare i diritti di tutti i lavoratori.
A questi fattori economico-sociali si accompagnarono inoltre le responsabilità politiche francesi. Con le incitazioni, indirette o esplicite, alla caccia allo straniero le autorità locali si fecero portavoci di quel clima di revanchismo politico stimolato dalle sconfitte militari della Francia, dalla gara colonialista e dal connesso razzismo, fomentato anche dalle frizioni franco-italiane provocate dall'occupazione francese della Tunisia e dalla guerra doganale. Durante gli scontri l'odio verso gli stranieri fu incoraggiato dai sentimenti xenofobi diffusi dalla stampa nazionalista e fu legittimato dalle stesse autorità mediante comunicati che chiedevano l'espulsione degli italiani e inneggiavano all'amore di patria. Basti ricordare - a dimostrazione della capillare diffusione dei sentimenti antitaliani nella società civile francese e della forza coercitiva della xenofobia espressa dai giornali - che gli italiani feriti durante gli scontri furono rifiutati a lungo dall'ospedale locale mentre ai colpevoli fu consentito di fuggire dal dipartimento e - nel dicembre dello stesso anno, quando l'attenzione interna, internazionale e anche quella italiana, era ormai diminuita - di essere anche assolti al processo che li vide imputati,dell’eccidio.
Per comprendere fino in fondo gli avvenimenti occorre sottolineare un altro elemento, che l'autore non trascura: la crisi economica, la conflittualità operaia, l'assenza delle organizzazioni, il nazionalismo e la xenofobia francesi furono accompagnati, sul fronte italiano, dall'uso strumentale degli avvenimenti da parte delle autorità diplomatiche. In ossequio infatti alla politica estera antifrancese i rappresentanti diplomatici italiani ebbero all'inizio reazioni assai vivaci, assecondando anche le manifestazioni di piazza che scoppiarono nel nostro paese; esse seppero tuttavia rimuovere l'evento quando fu necessario far rispettare le mediazioni che si imposero nel nuovo clima politico internazionale.
L'autore fornisce una documentata cronaca dell'evento e, del clima economico, politico e sociale che favorì il massacro. La sua ricostruzione dei fatti di Aigues-Mortes si basa su un ampio materiale documentario tratto in gran parte dagli archivi del dipartimento del Gard - entro cui si trova Aigues-Moites - e dalla stampa francese e italiana, nonché dai resoconti consolari. L'uso privilegiato di questi documenti - soprattutto dei rapporti di polizia e dei verbali del processo - risponde a una precisa scelta di metodo; nella sua analisi l'autore privilegia infatti la cronaca degli avvenimenti e le testimonianze dirette dei protagonisti. Tale procedimento ha l'esplicito obiettivo di seguire le sequenze spazio-temporali dei movimenti, delle posizioni assunte in essi dai vari attori sociali e delle manipolazioni di opinione che a essi si intrecciarono; una scelta che va apprezzata proprio per le caratteristiche dell'argomentò affrontato; essa consente infatti all'autore di ricostruire con la dovuta attenzione un episodio così controverso, pieno di lati oscuri e sul quale pesano tuttora le interpretazioni dell'epoca. L'uso delle testimonianze ha anche un'efficacia narrativa: richiamando le scene dell'accaduto - apprezzabile tentativo di opporsi al trionfo attuale dell'immagine - l'autore rimanda di fatto alla sequenza visiva dei vari episodi di violenza. La scelta di ricostruire la cronaca incalzante degli avvenimenti ha così la funzione di mostrare i vari passaggi dell'episodio e di leggere anche, attraverso di essi, l'insensatezza della violenza xenofoba.
Proprio quest'ultima, assieme alle strumentalizzazioni politiche che di essa furono fatte, rende attuale il contenuto del volume; l'analisi minuta della conflittualità tra i lavoratori italiani e francesi sposta continuamente la prospettiva del lettore dal passato al presente e lo aiuta così non solo a risalire a un episodio del passato opportunisticamente «rimosso» da molti, ma ad affrontare anche i problemi di quella che è stata ridefinita recentemente come la «grande migrazione» di oggi. Di fronte alle nuove ostilità, che mostrano il moltiplicarsi dei sentimenti xenofobi nella realtà odierna, aggravati in molte società contemporanee proprio da quegli aspetti che si possono leggere nei fatti di Aigues-Mortes — la crisi economica, la disoccupazione, la conflittualità, il conservatorismo e la le­gittimazione della violenza xenofoba da parte di governi, gruppi di opinione e media — è importante richiamare la memoria di quanto è già accaduto nella lunga storia delle mi­grazioni di lavoro; la memoria di uno scomodo passato che il breve saggio di Barnabà aiuta appunto a richiamare.

Commenti

Anonimo ha detto…
in autunno ho postato articoli simili, memore del fatto che anche mio padre emigrò negli anni Sessanta nel sud della Francia; purtroppo le tecniche di controllo del potere sulle masse, invece di affievolirsi, si affinano, e non è solo una questione di mass media che manipolano; dimenticati comunque Veltroni D'Alema e soci, non sono mai stati dei "nostri", e tu che vieni dal 77 dovresti saperlo benissimo (idem per quella cacca di Napolitano) ciao
mario ha detto…
Lo so, ed anche molto bene.E' solo "retorica" la mia.
Un saluto
Anonimo ha detto…
Guarda che hai sul sito un qualche script che tenta di installare malware sui computer dei lettori. Il sito di provenienza del malware è www.charting.ws
Probabilmente è colpa di uno dei contatori.
Anonimo ha detto…
E pensare che ad Annozero uno dei rappresentanti degli immigrati si è permesso di offendere Castelli.
Ma guarda un po'...questi negri...
La Tela di Penelope ha detto…
grazie per il pezzo, molto interessante.
faustpatrone ha detto…
scusa Mario ma.... il pezzo non è poi troppo a favore della tua tesi.

leggo: "In mezzo a queste difficoltà economiche si aggravarono i rapporti tra gli operai italiani immigrati e i nativi: rapporti già difficili non solo perché gli immigrati contribuivano ad abbassare i livelli salariali ma erano spesso crumiri che mettevano in discussione gli esiti delle rivendicazioni. Inoltre il sistema di lavoro esistente era un altro motivo di tensione costante; il cottimo - praticato dai capisquadra italiani imponeva infatti indesiderati e pesanti ritmi di lavoro anche ai nativi."

se ne deduce che gli italiani di Aigues Mortes erano crumiri, abbattevano il costo del lavoro accettando di essere meno che sottopagati, si comportavano in modo tale da rovinare quel minimo di diritti che all'epoca i francesi avevano strappato ai padroni.

e cosa pensavano di meritarsi: un bacino e tanta simpatia dai locali? e che dovevano fare i Francesi? accoglierli con rose e fiori? e dirgli: grazie di averci sputtanato il lavoro.....

anzi, sono stati pure troppo gentili!

scusa, ma trovo più razzista prendere le difese di Italiani crumiri e furfanti solo perché italiani. i francesi in quel caso hanno solo difeso sé stessi da una concorrenza infame e sleale.
mario ha detto…
Furio,
la mia tesi è che certe questioni vengono strumentalizzate ad arte mettendo gli uni contro gli altri l'ultimo anello della catena.
Quello che avviene in Sud Africa è un esempio più attuale di come certi meccanismi siano sempre attuali.Il corto circuito che funziona sempre ha come punti di riferimento sempre le solite cose, territorio e nazionalismo,identità etc.con uso dei media fatto ad arte.
D'altra parte cosa avvenne dopo quell'esplosione di violenza?Lo stato si propose come "autorità" e non distinse tra crumiri ed altri.Applicò l'ordine e le sue leggi stroncando movimenti come quello anarchico.
Io non credo che esista la pena di morte contro i crumiri e la violenza, quando è necessaria, è utile in primo luogo applicarla contro i padroni.Quegli stessi operai che ammazzarono 9 italiani cosa facevano e cosa fecero contro chi usava la miseria come arma di ricatto?
faustpatrone ha detto…
io credo invece che peggio di qualunque padrone sia il crumiro. perché il primo è quello che è: appartiene a una classe diversa (in termini marxisti).

il padrone, per quanto infame è coerente con la sua classe.

il crumiro non solo colalbora allo sfruttamento, ma lo fa tradendo i suoi simili per servire un padrone e quindi dovrebbe essere punito peggio di qualunque padrone e sfruttatore.

niente e nessuno è peggio di un traditore.

quegli operai francesei difendevano il loro pane e i loro figli e del resto se qualcosa avevano ottenuto vuol dire che avevano anche lottato a casa loro contro i loro padroni.

che poi le classi alte sfruttino i disordini per far pestare solo i poveracci fra di loro per loro tornaconto è evidente.

ma questo non delegittima la giustizia e la ritorsione interclasse contro traditori e canaglie.

il punto è che chi fa il crumiro e si vende al padrone è peggio del peggior padrone possibile.

la solidarietà interclasse deve venire prima di ogni considerazione. infatti aveva senso unirsi anche all'epoca contro gli sfruttatori.

ma quando una parte del popolo si fa strumento e serva di essi deve essere combattuta con maggior foga.

il nemico interno è sempre quello più pericoloso. il cospiratore e il traditore è la prima causa del fallimento di ogni rivoluzione.
mario ha detto…
Il punto è che in quella situazione non si era dentro, durante o in procinto di una rivoluzione.
Lì si è ucciso della gente prendendo come pretesto un episodio che era quello di una banale lite tra un francese ed un italiano.
Non c'era niente delle cose a cui fai riferimento, era solo gente incazzata ed incattivita da una propaganda e da giornali che raccontavano di come gli italiani rubassero il lavoro.
Una volta dato sfogo a quella roba quella stessa gente non ha mosso un dito per conquistare alcun che.
Non c'era coscienza di classe ma solo xenofobia.Certo se fai sciopero o difendi gli spazi che ti sei conquistato oppure stai mettendo in discussione l'ordine costituito quelli che stanno dall'altra parte della barricata vanno trattati come tali.Insieme a chi li sfrutta.Né più e né meno.
E ti assicuro che sappiamo distinguere.
Un saluto, vivace ma non male tra gente ruvida come noi.O no?
faustpatrone ha detto…
certo che si. un saluto. ci mancherebbe. se leggerai qualche mio commento sul blog di Cloro vedrai che non sono tenero neppure verso gli italiani, di "elevata classe sociale", non nomadi, non "zingari", ex-onorevoli di detsra-centroi-sinistra TROMBATI che se ne vanno con TFR milionari alla faccia dei cittadini che loro stessi costringono a decenni di lavoro per pensioni da fame.

e sul mio blog parlo di una ministra che definire inutile è dir poco. non nomade, non ROM, ma italianissima. ma non per questo meno indesiderabile.

come vedi il razzismo c'entra poco. ma l'incazzatura, si.

ciao.
Enzo ha detto…
Sono contento che il mio saggio sulla strage di Aigues-Mortes (che sarà presto ripubblicato dall'editore romano l'Infinito)abbia suscitato il dibattito che ho sotto gli occhi.
Non c'è dubbio che l'immigrazione italiana nella Francia di fine Ottocento potesse in alcuni casi svolgere una funzione negativa sui livelli salariali, ma da qui alla sadica violenza di quei giorni ne corre. Io credo che quella follia omicida sia da far risalire alla xenofobia. In particolare a. alla convinzione che il lavoro spettasse prioritariamente agli autoctoni, b. al bisogno del frustrato di elevarsi salendo su un piedistallo fatto di gente che viene collocata ancora più in basso nella piramide sociale.
Molto cordialmente,
Enzo Barnabà
www.enzobarnaba.it
mario ha detto…
@Enzo
Grazie per il tuo contributo e la precisazione.Che è anche la mia tesi.
Spero di esserti stato utile per far conoscer un tuo lavoro molto interessante.
Mario

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