Il pentimento e l'uso dei pentiti

Dopo 24 ore di permanenza nelle patrie galere il sig. Marco Barbone decise di vuotare il sacco.Lui, l'assassino di Walter Tobagi, denunciò quelli che fino a due giorni prima erano state le persone con cui aveva condiviso tutto.
Marco Barbone è figlio benestante di una famiglia tranquilla e borghese.Gli anni a ridosso del 77 gli hanno bruciato l'anima, creato (forse) disagio per quella sua condizione di privilegiato in mezzo a tanta gente incazzata e, come tanti figli della borghesia del tempo, ha pensato di rimettere un po' di quella "colpa" di classe imbracciando il fucile.
Di lui parla un recente libro di Fabrizio Calvi, "ragazzi di buona famiglia".
Quello che qui voglio ricordare, è il diverso destino di chi in un modo o nell'altro ritornò pentito tra le braccia di quella classe che, per un momento di follia, aveva abbandonato.
Quello che queste persone non smettono di fare è dare lezioni e consigli agli altri.
Nella sua nuova attività il Barbone ha, tra le altre cose, recensito un libro di Jannuzzi sul caso Andreotti e sull'uso dei pentiti.Tra le parole scritte meritano una certa sottolineatura le seguenti
"…Jannuzzi vi guiderà nell’intricato svolgimento di quella che chiama ‘Opera dei pupi’, il dipanarsi dei pentimenti grandi e piccoli, e del loro utilizzo…”, finendo con l’affermare “…non potete non leggere questo libro che proponiamo come testo obbligatorio di educazione civica”.

Ora, noi non siamo tra quelli che non riconoscono al pentimento una forza "morale" che fornisce all'individuo il motivo per andare avanti e non voltarsi indietro.
Siamo però contrari all'uso che poi un pentito fa di questa sua questione di coscienza.
Sarà un caso, ma un simile personaggio è finito tra le braccia di quelli che osteggiava con la pistola nel pugno.
Precedente, a quanto citato, fece un certo scalpore un suo intervento su Tempi

I terroristi? Figli che “giocano” nel cortile di casa ex-post-neo comunista. Lo dice Bossi? No, un ex “giocatore”

Ci scusiamo con i due grandi del cinema italiano per l’utilizzo del titolo del loro nuovo film. Vorremmo scrivervi qualche considerazione sull’omicidio del Prof. Biagi e il titolo più appropriato ci sembra quello scelto da Salvatores ed Abatantuomo che peraltro hanno ricevuto 500 milioni l’uno e 700 l’altro per le loro fatiche. Non male per due estremisti di sinistra (area Rifondazione) considerando che questa montagna di quattrini si assomma ad altre già percepite grazie ai favori di Silvio Berlusconi. Ma tant’è... Dicevamo delle amnesie: quella sicuramente più drammatica, è l’amnesia del ministero dell’interno che non ha scortato la povera vittima; evidentemente il fatto che le Br abbiano sanguinosamente attaccato il ministero del Lavoro negli ultimi anni, non ha significato nulla (e come vedremo, l’attenzione al ministero del Lavoro ha una sua specifica spiegazione, un significato politico). Questi pensieri ci vengono ricordando le dimissioni dell’allora ministro degli Interni Francesco Cossiga allorché venne rinvenuto il cadavere di Aldo Moro: un gesto di moralità politica che in questa occasione è mancato; e questo non fa onore al governo che pure è parte lesa in questo omicidio. Forse sono passati troppi anni dalla fine degli anni ’80, dalla fine dei grandi processi per terrorismo, per questo siamo ancora lì a titolare: “la pistola è la stessa”. E allora? Che interesse ha questo dettaglio? Nessuno, l’omicidio del Prof. Biagi non è un delitto comune, è un tragico gesto politico e come tale va analizzato.

Girotondini peggio della Cgil

La discussione più interessante si è snodata sulla questione dei girotondini, del loro livore politico, capace secondo la vulgata di centrodestra, di generare violenza politica e altro. Ha reagito vivacemente anche la Cgil dichiarandosi non disposta a rinunciare ai propri princìpi, alla lotta contro la modifica dell’articolo 18, anche e soprattutto dopo l’omicidio Biagi. (Potremmo chiosare informandovi che l’art. 18 in Italia non può essere invocato in caso di licenziamento da parte dei sindacati! Proprio così, sia che siate un dirigente sindacale sia un semplice addetto amministrativo, per voi non c’è la possibilità di reintegro perchè i sindacati sono esentati dall’art. 18. Altro poco limpido esempio di moralità politica). Ma tornando alla questione centrale, cioè se i toni debbano restare accesi o riportarsi verso un clima consociativo per evitare la deriva terrorista, come ha sostenuto fra gli altri Gad Lerner in una trasmissione su La 7, devo dire che penso che abbia ragione Sergio Cofferati, che la lotta politica non debba essere condizionata nei suoi tempi e nei suoi temi dall’iniziativa della lotta armata. Negli anni ‘70 la lotta armata ebbe una forte diffusione anche perché in realtà era divenuta l’unica forma di opposizione nel momento in cui si andava verso l’unità nazionale con il governo Andreotti, sostenuto dal Pci, che poi finì con l’omicidio Moro.

Peggio l’odio di Sciuscià di chi alza la voce

La passione politica, l’estremismo non sono di per sè motivi scatenanti della violenza politica, anzi possono esserne una causa ri-tardante. Questo anche quando l’esagerazione è feroce, come quando si vede a Sciuscià un vignettista di grido scriversi col pennarello un numero sul braccio e con lo sguardo pieno di odio aggredire verbalmente un ministro israeliano rinfacciandogli quel gesto: nel caso di specie l’amnesia è verso la Shoah, verso i kamikaze palestinesi che fanno strage di israeliani di qualunque età solo per il fatto di essere al mondo, perpetuando il genocidio nazista da una comoda poltrona mediatica e di sinistra. Fa impressione vedere una vecchia gloria dell’Autonomia operaia (Franco “Bifo” Berardi) usare argomenti come “a chi giova” o “sedicenti Br” o “regolamento di conti interno al governo”, che francamente non si sentivano più dai tempi del sequestro Sossi (1974) quando insomma per il Pci le Br erano definite sedicenti e si diceva che il terrorismo era solo fascista.

Le Br non sono marziani

Ma la vera questione ci pare essere l’appartenenza ideale ed ideologica delle Br alla sinistra italiana. Rossana Rossanda qualche anno fa parlò di album di famiglia; i brigatisti nei loro libri testimonianza, hanno sempre sottolineato la loro militanza nella sinistra storica italiana, perfino nel sindacato. Il punto è che leggendo la rivendicazione delle Br e le loro prolisse risoluzioni strategiche, si riscontra sì un tono da Terza Internazionale e c’è una forte attenzione sui temi sindacali e del lavoro, ma questi non sono marziani, definirli killer seriali non aiuta; le Br sono la deriva violenta dell’iniziativa politica superideologica che sostituisce le piazze al voto democratico, che considera il proprio avversario un nemico, soprattutto un simbolo da colpire. Il linguaggio dei brigatisti è perfettamente omologo a quello delle frange operaiste del sindacato.

Il “milieu” del terrorismo

I girotondini costituiscono, che gli piaccia o no, il milieu culturale al cui interno una scelta sciagurata come la lotta armata trova appoggio, silenzio, conformismo omertoso di stampo mafioso. Avete mai fatto caso all’atteggiamento verso i pentiti di mafia, anche i più squalificati? Ebbene costoro hanno sempre goduto nell’intellighentsia di sinistra di un trattamento di buona considerazione soprattutto quando si facevano strumento di lotta politica accusando qualche Dc di connivenza mafiosa. Ma qual è stato, invece, l’atteggiamento degli stessi intellettuali verso i pentiti del terrorismo? Tacciati di infamia e tradimento, isolamento civile e sociale (e questo lo sappiamo bene). Il peccato era ammettere le responsabilità dirette nella lotta armata di chi aveva militato nella sinistra, discutere seriamente sul fatto che l’estremismo sociale e sindacale (l’operaio sociale che oggi Negri ha mandato in pensione) era parte integrante della sinistra e aveva fatto scelte di violenza e di morte.

È la lotta di classe che genera mostri

Ma si dirà che a contraddire tutto ciò c’è l’evidente silenzio verso i G-ottini, i no global: amnesia, vi diciamo per l’ennesima volta. Le Br sono sempre state un gruppo a forte vocazione operaista, non hanno mai fatto reclutamenti di massa e hanno avuto una profonda distanza se non vero e proprio conflitto politico verso i movimenti spontaneisti, verso quella che un tempo era l’area dell’autonomia. Insomma vogliamo ricordare che in un gruppo di licenziati dalla Fiat nei primi anni Ottanta (i famosi 61, per chi non soffre di amnesia) c’erano delegati sindacali che poi si rivelarono brigatisti regolari a tutti gli effetti; era, ed è tuttora, quella dell’estremismo sindacale l’area di reclutamento brigatista. In definitiva l’amnesia è grave e a tutto tondo perchè da allora sono passati pochi mesi, perchè tutto è stato detto e scritto e i delitti politici non sono tragici gialli su cui accanirsi morbosamente, come nel caso della tragedia di Cogne. Se l’ideologia politica, il sonno della ragione genera mostri, è la lotta di classe che genera il terrorismo rosso e dall’altra parte l’amnesia ci impedisce di confrontarci con la tragica realtà che in Italia, all’interno della sinistra di classe, c’è ancora oggi chi fa una scelta di violenza politica e agisce nella clandestinità di un movimento politico, le Br, che nessuno, ricordate, ha mai ufficialmente dichiarato sciolto.


di Barbone Marco



Impressionante, vero?
Ora, chi scrive ha avuto la "fortuna" di prendere un'altra strada all'epoca.Sarà questo che mi porta a scavare ancora dentro un periodo così di merda? Forse, come si dice, non me ne sono fatto una ragione e non ho finito di elaborare il lutto.Però quando rivedo o leggo le parole di certa gente non posso non pensare che ha più dignità, per me, chi ha finito di scontare con la galera la sua "colpa" o che al massimo ha usato la dissociazione per riflettere "politicamente" su quel periodo e su quanto di devastante si produsse tra di noi. Ad una condizione per questi ultimi, che facciano della dissociazione la loro barca di Caronte e spariscano nell'oblio. Che tacciano e non si ergano a professori del loro fallimento umano. Ameremmo discutere di altro tipo di insurgentes, e custodirne la memoria. Nel rispetto di chi questa opziione non l'ha avuta e o ha pagato con la morte, o ha scontato fino in fondo la galera. Che è quanto lo stato può offrire a chi si ribella.
Perché è devastante pensare ad uno che recluta "terroristi" quando ha probabilmente elaborato l'inutilità di quella cosa.E lo è ancor di più vederlo mentre uccide Tobagi sapendo quanto, in realtà, sia pronto a fare mercimonio di quel suo gesto.

Rimane la questione del periodo e delle sue ricostruzioni.Noi ci siamo ancora dentro, con il dolore, a quell'epoca per poter pensare di avere il sufficiente distacco nel produrre giudizi.
Guardiamo però alla ricostruzione e rimarchiamo la nostra distanza dai "moralisti" che si pentirono e che, per questo, mandarono in galera gente la cui sola colpa fu la partecipazione ad una riunione.
A futura memoria un vecchio articolo di Wu Ming 1
da Giap n.5, quinta serie, "Sinfonie forcaiole e dissonanze di libertà", 29 marzo 2004
Sarà in distribuzione dal 31 marzo il libro Il caso Battisti. L'emergenza infinita e i fantasmi del passato, a cura della redazione di Carmilla, con interventi di Valerio Evangelisti, Giuseppe Genna, Wu Ming 1, Serge Quadruppani, Mauro Bulgarelli, Girolamo De Michele, Pierre Vidal-Naquet, Enki Bilal, Bernard Henri-Levy, Daniel Pennac e altri.
L'editore è NdA Press, costa 8 euro. Chi non lo trovasse in libreria può ordinarlo direttamente sul sito dell'editore.
Nell'attesa, consigliamo vivamente di leggere l'articolo che Valerio Evangelisti sta pubblicando a puntate su www.carmillaonline.com, "E Frankenstein fabbricò la sua creatura. L'orrore della stampa e dei media italiani rivelato dal caso Battisti". Evangelisti smonta una per una le bubbole sulla vicenda giudiziaria, umana e professionale di Cesare Battisti propinate senza vergogna dall'informazione nostrana.
Nel frattempo, anche l'opinione pubblica francese è soggetta a incredibili pressioni da parte di italiani (VIP e carneadi uniti nella guerra sucia), i quali inondano web e stampa d'Oltralpe delle stesse frottole che noi continuiamo a smontare documenti alla mano pur sapendo che Lorsignori le ripeteranno facendo finta di niente.
Lorsignori sono arrivati a negare che in Italia vi siano mai state leggi d'eccezione per combattere il terrorismo. Bizzarro, dal momento che la faccenda è consegnata nero su bianco alla storia e fu riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale nel 1982. Magistrati, giuristi e storici del diritto criticarono aspramente quelle leggi, i primi nomi che vengono alla mente sono Romano Canosa, Italo Mereu, Luigi Ferrajoli e Giovanni Palombarini.
Lorsignori sono arrivati a negare che le condanne a Battisti si basassero prevalentemente sulle voci sentite da un "pentito" a distanza di qualche anno dai fatti (Pietro Mutti).
Lorsignori sono arrivati a dire che "il terrorismo e il colore del terrorismo non c'entrano" perché Battisti sarebbe un criminale comune.
In Francia gruppi di destra hanno divulgato l'indirizzo di Battisti incitando all'aggressione. Per fortuna si trattava di un vecchio recapito.
E tutti a controbattere all'affermazione - fatta da alcune persone, non rappresentative dello spettro di posizioni nella campagna pro-Battisti - che nell'Italia degli anni '70 vi sarebbe stata la guerra civile. civilwar.jpg
Tutti a dire: "non fu guerra civile", "non fu guerra civile", "non fu guerra civile". Per quel che ci riguarda, non l'abbiamo mai affermato. Il finto dibattito sulla guerra civile, a cui i nostri quotidiani hanno dedicato intere spaginate, è un diversivo per non discutere delle gravi storture giuridiche (e restrizioni delle libertà civili) introdotte dall'emergenza, e della pessima memoria pubblica su quelle vicende.
Anzi, si tratta proprio di una strategia per perpetuarla, questa cattiva memoria, continuando a mistificare le lotte degli anni Settanta (errori e impazzimenti compresi).
Chiunque abbia un po' di lucidità residua si renderà conto che un dibattito sulla "guerra civile" è oggi prematuro, se si pensa che a sinistra il carattere di guerra civile della Resistenza è stato riconosciuto senza titubanze da poco più di dieci anni, grazie alla monumentale opera di Claudio Pavone Una guerra civile. 1943-1945, saggio storico sulla moralità nella Resistenza (Bollati Boringhieri, 1991).
Tornando a Battisti: una simile campagna bipartisan e transnazionale di demonizzazione mediatica non si vedeva da parecchio tempo. Hanno calpestato la verità in ogni possibile modo, e sepolto nel silenzio ogni voce critica. Chi è riuscito a trovare uno spiraglio per sfidare il conformismo è stato lapidato (ne sa qualcosa Erri De Luca).
Abbiamo notizia di diverse persone che, qui in Italia, hanno contestato le ricostruzioni a mezzo stampa, mandando e-mail a giornali e trasmissioni televisive, o telefonando a talk show radiofonici. Le loro opinioni sono state censurate e/o ignorate.
La consegna è: sbattere il mostro in prima pagina e nei titoli dei TG della sera. Premere premere premere finché il mostro non finirà in galera per il resto dei suoi anni.
A tal fine, qualunque argomento va bene, anche tirare in ballo vittime che non c'entrano niente con questo caso, come Guido Rossa o Walter Tobagi.
In particolare Walter Tobagi viene menzionato senza dire che il suo assassino Marco Barbone fu protetto e premiato dallo Stato, perché si "pentì" e con le sue rivelazioni patteggiate coinvolse mezzo elenco telefonico di Milano, e non solo.
L'orrore del "pentitismo" fu proprio questo: pluriomicidi a piede libero perché si erano venduti gente molto meno "colpevole" di loro, gente che aveva consegnato un volantino o ospitato la persona sbagliata la notte sbagliata o aveva fatto quattro ciacole al bar con un latitante.
Un tempo, non troppo tempo fa, queste cose le diceva anche Giorgio Bocca. Oggi non le dice più. Sic transit gloria mundi.
Oggi Marco Barbone firma articoli su "Tempi", la rivista del quotidiano "Il giornale", articoli contenenti perle come questa:
"I girotondi costituiscono, che gli piaccia o no, il milieu culturale al cui interno una scelta sciagurata come la lotta armata trova appoggio, silenzio, conformismo omertoso di stampo mafioso".
aznar.jpg"Il giornale" è sempre il primo organo di stampa a esprimere sdegno per la campagna pro-Battisti e a trasformare in argomento politico e legale il dolore dei parenti delle vittime.
Come mai una parte di questo fervore civile non lo spendono per ricordare i parenti delle vittime dei "pentiti"?
Le elezioni spagnole dimostrano che, in materia di gestione dell'allarme-terrorismo, non sempre paga tirare troppo la corda e cercare capri espiatori. Il problema è che qui in Italia, anche a "sinistra", sono tutti dei piccoli Aznar.
Contrastare alla pari quest'offensiva è impossibile. Al momento, quel che si può fare è emettere qualche nota dissonante, rovinare almeno un po' l'esecuzione della sinfonia forcaiola.
Note dissonanti, stridenti, come quelle emesse da Massimo Carlotto nel suo ultimo romanzo L'oscura immensita' della morte, che affronta proprio la strumentalizzazione statale e mediatica dei parenti delle vittime.
Leggetelo, scendete in strada e unitevi alla sgangherata orchestrina della libertà.

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