Storie di irriducibili- 2








Di Maurizio Ferrari, uno dei Brigatisti storici, si occupò l'Espresso con un articolo nel 2004.
Dopo di allora è uscito dal carcere nel maggio del 2005.
Di lui raccontano l'infanzia passata in orfanotrofio ed il fatto che si fece catturare per rivedere la fidanzata.


I


Il brigatista del nucleo storico detenuto dal 27 maggio 1974

Nessuno va a visitarlo, non è mai uscito dal carcere
Ferrari, l'ultimo degli irriducibili
30 anni in cella senza permessi
Condannato per il sequestro Sossi, non per fatti di sangue

Mario Sossi
durante
il sequestro


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ROMA - Trent'anni di carcere senza un permesso, una visita di un parente o un amico, un giorno di semilibertà, senza nemmeno un avvocato. Da 10 mila 950 giorni Paolo Maurizio Ferrari è sepolto vivo dietro le sbarre di un carcere: pochi si ricordano del primo brigatista arrestato il 27 maggio del 1974 dalla polizia del governo di Mariano Rumor, talmente pochi che di quell'irriducibile è difficile pure sapere in quale carcere è rinchiuso.

Ferrari era uno dei fondatori delle Brigate Rosse, del gruppo dei Curcio, dei Franceschini, di Mara Cagol. Il brigatismo degli albori che sequestrava i "capetti" delle fabbriche e che compì come azione più clamorosa il sequestro del giudice Sossi. Un brigatismo che, quando Ferrari varcò il portone di un carcere, ancora non aveva ucciso nessuno. Ed infatti all'ex operaio modenese non vengono imputati fatti di sangue ma la partecipazione al sequestro Sossi.

Quando è entrato in carcere l'Italia era un'altra; c'era l'austerità, il referendum sul divorzio, le bombe sui treni. La Democrazia Cristiana governava incontrastata e il Pci aveva da poco eletto Enrico Berlinguer alla segreteria mentre Craxi era ancora un oscuro funzionario del Psi. Un'Italia che Ferrari aveva scelto di combattere armi in pugno e che, da quando lesse il famoso proclama dalle sbarre dei detenuti al processo di Torino, non conosce più. L'Italia di oggi non l'ha mai vista e nessuno gliel'ha neppure raccontata, dato che in questi 30 anni da 'sepolto vivo' non ha ricevuto neanche una visita di parenti e amici che non ha.

Quest'anno scade la sua pena e Ferrari potrebbe tornare in libertà. Forse, ma ancora è certo. Nel suo caso l'unica certezza è quella della pena: è stato il primo brigatista ad entrare in carcere e l'ultimo che ne uscirà senza avere mai passato anche un solo giorno fuori, pur non avendo commesso alcun reato di sangue.

Il primo ad essere arrestato quando le Br erano ancora alle origini e forse l'unico detenuto in Italia che abbia scontato 30 anni di carcere senza esserne mai uscito neppure una volta, né beneficiando del lavoro esterno, né in semilibertà. Mai, così almeno risulta al presidente dell'associazione "A Buon Diritto" Luigi Manconi, che nel '99 presentò un'interrogazione al ministro Diliberto per un presunto pestaggio nel carcere di Novara del brigatista modenese. Da allora sulla sorte di Ferrari è calato il silenzio.

Oggi ha 58 anni, ha passato l'infanzia in comunità senza aver conosciuto i genitori. Operaio a Torino nel '69, poi fondatore e membro del nucleo storico delle Br, da allora Ferrari è rimasto un "irriducibile" ignorato dal mondo e prigioniero anche della propria ostinata coerenza di "rivoluzionario" che lo ha spinto a non "scendere a patti con lo Stato" e a rifiutare perfino l'avvocato d'ufficio.

Senza famiglia e dimenticato dietro le sbarre da tutti, per lui quest'anno potrebbero finalmente spalancarsi le porte del carcere. Ma quale? Dopo aver peregrinato da un supercarcere all'altro fra rivolte e proteste carcerarie, non si sa con certezza se sia ancora a Novara o in qualche altro penitenziario. E a sentire Alberto Franceschini, sulla libertà del suo vecchio compagno non è neppure detta l'ultima parola: "Proprio perché non ha un avvocato non ha mai fatto domanda per il cumulo della pena e quindi non ha diritto a sconti, affidamenti o altri benefici di legge. Potrebbe sommare 80 anni di carcere senza che nessuno intervenga. Quindi non è detto che esca".




Però fa ancora paura e di lui non si scordano i giudici.

Lettera aperta ai compagni, alle compagne

Un giudice, stavolta di sorveglianza, mi ha cercato, trovato e infine consegnato tramite la polizia una sua "ordinanza", che, come vedete segue questa lettera. L' "ordinanza" rende esecutiva una "misura di sicurezza della libertà vigilata per anni uno" decreta 25 anni fa. Una condanna, la chiamo io, in quanto è una restrizione della libertà prima ancora di essere una "vigilanza"; una pena che non è in relazione ad alcun "reato", ma esclusivamente a quello che sei, per questo, pur se è mostruoso e ridicolo, può essere decretata in anticipo, anche di un quarto di secolo. E quello che sei non viene chiamato nel codice penale con nomi quali, ad esempio, "sovversivo", "eversore" ecc., ma con il generico "socialmente pericoloso". Una categoria che per definirsi non ha bisogno di fatti, le basta comporre supposizione, congetture sulle letture, le frequentazione, non so le espressioni del viso. Nazi-fascismo in pieno, ecco di che si tratta. Ed è una condanna usata ampissimamente con disinvoltura. Ma che cosa è accaduto? Il tribunale di sorveglianza di Vercelli (competente nel mio caso poiché sotto la sua cappella di trova anche il carcere di Biella da cui sono uscito) ha "disposto" di "imporre" a me, la "liberà vigilata per anni uno di cui alla sentenza Corte Assise Appello di Firenze del 19.11.1980". Il giudice di sorveglianza che ha reso esecutiva la condanna poteva dire: nel 1980 tu sei stato condannato ad un anno di liberà vigilata ed io nel 2005 la rendo esecutiva in quanto tu, comunque, eri e sei nemico dello stato. Chiuso. Invece ha voluto farsene una ragione ed è franato nella meschinità. Scrive il giudice: "...il soggetto (uno dei tanti nomi che mi affibbia)...convoca dal Centro Servizio Sociale di Firenze...non si è mai presentato...il Centro Servizio Sociale di Milano...non è riuscito a contattarlo"... Nessun servizio sociale mi ha mai "convocato", o , "cercato". Per verificarlo il giudice poteva rivolgersi anche alle persone che mi hanno ospitato, le cui abitazioni conosceva, come scrive nella sua "ordinanza", anche per avermi recapitato, sempre attraverso la polizia, altri atti nei mesi precedenti. Non lo ha fatto, si è limitato, scrive, a sentire i servizi sociali i quali avranno risposto con il rituale "tutto a posto dottore" - tanto nessuno può provare il contrario e il posto di lavoro non ne viene minacciato. Questo dico anche a difesa delle persone che mi hanno ospitato, dato lavoro, che l'arroganza del giudice cerca deve essere troncata la consegna dei libri, al punto da impedire ogni loro attività intellettuale. Nemmeno quel sadico di Cardullo nel suo apogeo era sceso a tanto; voi di oggi siete vicini a Goebbels più di lui. Fuori sto scoprendo che la condizione della gran parte di chi lavora è discesa nella schiavitù. Nei cantieri, presso i corrieri, ma anche nella scuole e nei call center, si lavora per 5-6 euro l'ora e in una situazione di assoluta indeterminatezza. Quel misero salario è succhiato per il 60-70 percento dall'affitto per la casa, sarebbe più vicino al vero chiamarla, in generale, posto-letto + punto-cucina. Chi ha trasformato i contratti di lavoro in un vero Bengodi per i padroni, ma in una disgrazia micidiale per la classe operaia, per chiunque sia alla ricerca di un posto; chi ha consegnato le case al mercato capitalistico, alle agenzie e al traffico borsistico, chi ha condotto la soddisfazione del bisogno dell'abitazione a divenire un incubo per la gran parte della popolazione; chi, come lei signor giudice, impone con le relative leggi questo immiserimento non solo materiale, voi siete "socialmente pericolosi", non c'è dubbio. Contro di voi e il vostro stato con il quale ora tormentate e saccheggiate anche il popolo irakeno, la lotta c'è e io sono li. Milano, 26 Marzo 2005

Maurizio


Maurizio adesso si occupa di carcere e gente in galera attraverso il sito: http://www.autprol.org/olga.
E' uno dei padri cattivi a cui, probabilmente, si riferì Cofferati in una sua intervista un pò di tempo fa.
Noi lo pensiamo a come era cristallizzato in quell'immagine con il pugno chiuso, con un mondo di gente che gli è scorsa attorno.Con i ricordi ed i giorni spesi da solo.Con quella compagna da rivedere, con un debito pagato senza un solo lamento.
A pugno chiuso, Maurizio.

Commenti

Anonimo ha detto…
Che storia
Ecco come trattano chi non balla come l'orso in catene.


Pensatoio

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