Sergio Segio sull'articolo di Sofri


Fonte:http://www.micciacorta.it/

Tutti contro Sofri. Un intervento di Sergio Segio

 di Sergio Segio

Tutti contro Sofri. O quasi. Basterebbe questo per esprimere vicinanza all’ex leader di Lotta Continua. Se non altro per sottrarsi alla consueta ressa di chi corre in soccorso del vincitore.

La mia − presumo scomoda − solidarietà oltre che da antica amicizia e stima è motivata anche da una ragione personale. Infatti anch’io, sapete, non sono mai stato un terrorista. Omicida politico e militante della lotta armata sì, ma non terrorista. La definizione che di questa “categoria” fornisce Sofri non mi convince, poiché credo che il carattere di indiscriminatezza che appunto caratterizza il terrorismo comporti il fatto che esso non si rivolga verso “parti nemiche” e non ricerchi consensi: l’incertezza dell’attribuzione, o talvolta, il sapiente mascheramento fanno parte della strategia del terrore, che si indirizza indistintamente verso chiunque. Come appunto anche la strage di piazza Fontana ha dimostrato. Semmai sono le guerriglie o le lotte armate che si rivolgono contro le parti considerate nemiche e operano cercando di allargare il consenso in quelle reputate amiche. Normalmente, le lotte armate rivendicano le proprie azioni, mentre il terrorismo mistifica e nasconde le paternità degli attacchi; i quali sono quasi sempre stragi non singoli e mirati obiettivi.

Mi ritrovo semmai in una considerazione espressa da Francesco Cossiga riguardo gli “anni di piombo”: «Piano con i “terroristi”. Rileggendoli ora, quei dati, e considerando che sono state sei o settemila le persone finite in carcere per periodi più o meno lunghi, va ricordato che aveva ragione Moro: ci trovavamo davanti a un grosso scoppio di eversione. Non di terrorismo. Il terrorismo ha una matrice anarchica che punta sul valore dimostrativo di un attentato o di una strage. L’eversione di sinistra non ha mai fatto stragi. Ci trovavamo davanti a una sovversione. A un fenomeno politico. A un capitolo della storia politica del Paese» (articolo a firma Gian Antonio Stella, in “Sette”, magazine del “Corriere della Sera”, 7 febbraio 2002).

Ma evidentemente non si tratta di questione terminologica o scolastica. Davanti e sopra le definizioni stanno i morti, le famiglie, le sofferenze e i lutti.

La puntigliosità nominalistica − epperò fondata nella qualificazione giuridica del reato contestato e nella sentenza che lo ha condannato − su cui Sofri insiste ancora oggi sul “Corriere della Sera” non deve impedire di cogliere un punto centrale da lui sollevato: riconoscere anche Pinelli (aggiungerei: i tanti Pinelli, gli Zibecchi, i Roberto Franceschi, i Franco Serantini…) come vittima. Scrive Sofri: «Penso a Pinelli come a una vittima del terrorismo di stato, l’ultima vittima della strage di Piazza Fontana». Io direi invece che come Pinelli è stata la diciasettesima vittima della strage, Calabresi ne è stata la diciottesima. E poi ne sono venute altre, inanellate in una tragica sequenza di morti solo in apparenza scollegate e distinte: Giangiacomo Feltrinelli, Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi, Giuseppe Ciotta, Emilio Alessandrini. E tanti, troppi, ancora.

Del libro degli anni Settanta in tutta evidenza non è ancora stata voltata l’ultima pagina. Anche perché i diversi capitoli mostrano parecchi buchi. Vi sono pagine strappate che vanno ricomposte, pagine nascoste che vanno scoperte e inserite per poter leggere il libro per intero, e poterlo alfine archiviare, assieme a quel Novecento di cui è stato parte.

Quella storia va letta sino all’ultima riga. Ma partendo dall’inizio.

Ad esempio, quando il direttore di Repubblica, intervenendo a una trasmissione televisiva per presentare il libro di Mario Calabresi, dice testualmente: «La questione del terrorismo in Italia è chiarissima: è qualcosa che è impazzito nella metà del campo della sinistra, nella metà del campo del comunismo, ibridato con alcune istanze radicali», dice una verità parziale e anzi fuorviante.

La storia, infatti, ha un carattere processuale dal quale non si può seriamente prescindere. Non si può fare a meno, dunque, di ricordare − e di informare chi non c’era − come è cominciatal’intera vicenda della degenerazione armata e della strategia della tensione. Invece, negli ultimi anni, è stato espunto dal dibattito pubblico ogni riferimento su cosa è venuto prima di quell’impazzimento di cui ha parlato Ezio Mauro.

Vale a dire le stragi, le compromissioni con esse di pezzi dello stato, le degenerazioni istituzionali, i tentativi di golpe.

Uno dei fondamentali punti di snodo, se non il punto di inizio, è la strage di piazza Fontana. E la morte di Pino Pinelli. In un quadro che viene costantemente rimosso, ma che è decisivo per capire: vale a dire il contesto internazionale della Guerra fredda.

 

*********

Sofri vuole allontanare da sé, e da Lotta Continua intera, l’accusa di terrorismo, perché tra questo e la violenza «un confine c’era». Penso sia una innegabile verità. Anzi, penso che si via stato un confine tra violenza organizzata (quella teorizzata e praticata anche da Lotta Continua) e lotta armata. Tanto è vero che chi in Lotta Continua a un certo punto decise che bisognava passare alla lotta armata, dovette uscire da quell’organizzazione. Io, tra i tanti altri. Decisione sciagurata e sicuramente evitabile. Ma forse più facilmente evitabile se l’uso della violenza politica non fosse stato così a lungo (e ben prima ancora della nascita di LC e della sinistra extraparlamentare) contemplato ed enfatizzato, moralmente e culturalmente accettato, promosso e organizzato.

Qui mi pare abbia ragione Erri De Luca quando, all’intervistatore che gli domanda se anch’egli avrebbe potuto scegliere la lotta armata, risponde: «Avrei potuto, sì, ma guarda che noi non facevamo una lotta disarmata. La lotta armata, rispetto a quello che facevamo noi, era diversa solo perché gli altri facevano di quella attività l’unica forma di espressione politica. Per noi quello era semplicemente un accessorio maledetto della grande lotta politica pubblica». Aggiungendo poi a proposito delle armi possedute da LC: ««Che io sappia quelli che le detenevano le hanno passate ai gruppi combattenti. Se chiudi un giornale passi la tipografia a quelli che vogliono farne un altro. Le armi le passi a quelli che vogliono sparare» (Intervista a Erri De Luca di Claudio Sabelli Fioretti, Magazine del “Corriere della Sera”, 9 settembre 2004).

È questa la differenza. Per gli uni le armi (e gli omicidi politici) erano strumento programmatico, e via via esclusivo, da rivendicare. Per gli altri strumento occasionale, da sottacere. Una piccola-enorme differenza. Richiamarla, com’è giusto, presupporrebbe riconoscere – e Adriano ora onestamente lo fa − che anche i “terroristi”, vale a dire i lottarmatisti, non erano mostri caduti dalla luna, ma erano parte, se non proprio prodotto, della storia della sinistra, e anche di Lotta Continua. Non erano belve sanguinarie ma persone allucinate dall’ideologia e progressivamente disumanizzate dai mezzi usati se non dagli obiettivi prefissati.

A lungo, pressoché tutta la sinistra ha preferito invece negare ogni parentela, rivendicando un solco ampio, un insuperabile fossato tra sé e chi prese le armi. Quel solco vi è stato, ma era assai sottile. In alcuni anni e momenti, sottilissimo, come il ghiaccio sui laghi in primavera. E questo vale per gli anni Cinquanta e Sessanta, non solo per i Settanta.

L’omicidio di Luigi Calabresi, al di là di come volemmo interpretarlo noi (intendo noi che demmo vita a Prima Linea), vale a dire l’atto fondativo, l’innesco di un percorso teso verso la lotta armata e la guerra civile, ebbe invece intenzioni puramente e squisitamente “giustizialiste”, di giustizia alternativa tesa a supplire quella inadempiente, complice e compromessa dello stato. Una “giustizia terribile”: quella della pena di morte, che oggi reputo di per ciò stesso il contrario, la negazione della giustizia. Sempre e comunque, verso chiunque si rivolga, colpevole o innocente che sia: una consapevolezza che costituisce un vaccino morale e culturale di cui tutti, ma proprio tutti, allora eravamo privi.

E mi pare sia questo, questo ristabilimento di differenze, ciò su cui oggi insiste Sofri. A ragione. Ha ragione. Pure e però penso che l’omicidio del commissario Calabresi abbia costituito un punto di non ritorno, che continua a essere sottovalutato. Non solo perché alla uccisione di un uomo non c’è rimedio, e questo sì crea un solco tremendo. Ma perché ha rappresentato il primo salto dalle parole di morte alle azioni di morte, dalla morte come incidente, per quanto prevedibile, alla morte come paziente costruzione. Come intenzionalità. Lì si è mandato in frantumi un tabù non più ricomposto e forse non più ricomponibile.

Su questo, su una riflessione vera e approfondita sui nessi tra violenza, opzione rivoluzionaria, lotta armata, terrorismo e potere bisognerebbe forse soffermarsi. Dopo il 1989, la sinistra (tutta, non solo quella estrema) ha archiviato il Novecento, limitandosi a chiudere in un cassetto teorizzazioni e pratiche che pure le sono appartenute. Ma ciò che viene rimosso anziché essere elaborato è destinato a ripresentarsi, ad alimentare non detti, omertà, falsificazioni.

 

*********

È un triste segno dei tempi che a ricordare la vicenda di un anarchico trattenuto illegalmente in questura e morto precipitando da una finestra e a denunciare un doppiopesismo nella memoria e nel cordoglio pubblico sia lasciata sola la persona che si trova nella posizione più scomoda per farlo, Adriano Sofri.

Certo, le memorie sono lacerate, le ferite sono ancora aperte, il sangue irrisarcibile, i torti e le ragioni acclarati dalla Storia. Eppure, lo sforzo per riconoscere anche il dolore degli altri è la porta stretta attraverso cui una società deve passare per superare lacerazioni e ferite. Se non sa farlo, se non vuole farlo − e anche il dibattito di questi giorni ne è segnale eloquente − quel passato è destinato a riviverlo continuamente, senza averne assimilato alcun insegnamento. Lapietas per le vittime, per tutte le vittime, si fonda sul ricordo e sul rispetto non sull’incapacità di elaborazione.

Ogni popolo guardi al dolore dell’altro e non solo al proprio e sarà pace, ha detto il cardinal Martini a proposito del Medio Oriente. Fatti i necessari ed evidenti distinguo, credo che questo valga anche per le lacerazioni degli anni Settanta: solo questa considerazione e questo sentimento possono fondare la riconciliazione e un reale superamento.

Commenti

Anonimo ha detto…
Sofri è un assassino così riconosciuto dalla magistratura italiana. Punto. O si disconosce la legittimità dello Stato, nelle sue varie identità, e si è liberi di farlo con le conseguenze necessarie e dovute, oppure si accetta ciò che la Legge a deciso.
Non ci sono vie di mezzo.
D'altronde mi pare che anche Sofri (e i suoi compagnucci di merendine pisani) con Calabresi non abbia attuato vie di mezzo.

Il mondo avanza e cambia. Qual'è il senso di continuare a non capire e intestardirsi su concetti e posizioni vecchie, rugose inattuabili, liberticide?
Ma ti sei mai chiesto, Mario, quanti intorno a te potrebbero condividere il tuo modo di affrontare i problemi e le idee "politiche" che hai professato?
Quelle idee rappresentano una oligarchia intellettuale. Sono fasciste a prescindere, perchè se ne fregano di ciò che pensa la gente comune, quella che lavora e sta zitta (purtroppo) e perchè vorrebbero imporsi a tutti (come nel terrorismo o negli "omicidi politici") senza il consenso ragionato. Non c'è alcuna differenza tra queste posizioni e quelle totalitarie.
Mi rendo conto che forse è proprio il totalitarismo la finalizzazione del tipo di politica che tu, Mario, persegui. Ma perchè è più facile. Basta commettere tanti "omicidi politici", rovinare famiglie e figli, e fare piazza pulita del contraddittorio.
Fino a che, come in una normalissima e noiosissima guerra di camorra, qualcuno eliminerebbe te, come sempre è accaduto in queste cose. Una banalità esasperante. Deja vu.
Lascia perdere il tuo "caro" amico Sofri (evidentemente raccomandatissimo dall'intelighentia di sinistra, visto che scrive e fa ciò che gli pare nonostante sia stato definito "assassino")e dedicati all'Alitalia. Ma cerca di fare come i buoni Rizzo e Stella: fai indagine, fai giornalismo, vai alla ricerca delle contraddizioni e denunciale. La politica non serve. I tuoi amici cinesi vendono le cuffiette dell'Ipod a 2 euro e si sentono bene lo stesso e fanno fallire le aziende nelle quali tuo figlio lavorerà (spero). Il mondo va avanti. Non costringere tuo figlio a ragionare in modo da non essere assolutamente all'altezza di vivere il suo domani. Tu ormai sei "andato". Lascia almeno lui libero.
mario ha detto…
Te lo sei letto l'articolo o scrivi solo in funzione del tuo furore ideologico.
Segio tratta la questione chiedendo alla sinistra di non cercare alibi ma di ricostruire un percorso che è storia di questo paese, stragi di stato comprese.
Io non lascio perdere proprio nessuno e tocco gli argomenti che, liberamente, decido di affrontare.Chi sei tu per salire sullo scranno e dare giudizi morali?
Ognuno porta avanti un suo pezzo di memoria ed io quella dei tanti compagni ammazzati che terroristi non lo sono stati per nulla.Ammazzati solo perché difendevano un diritto come Serrantini o Lo Russo o lo stesso Pinelli.
Di che scrivi Fucsiaman, io andato? Forse ti riferisci all'età.E' probabile ma sono andato né più e né mano come te e tanti altri.
Mio figlio è libero, stai tranquillo, perché vive in un ambiente di curiosi e deciderà lui che fare della sua vita.
Le idee a cui fai riferimento, hanno portato in galera (in 10 anni) circa 8.000 persone.Cossiga ne parla come di un fenomeno eversivo da affrontare, in termini di giudizio, politicamente e non nascondendosi dietro ad un dito morale.Mi chiedo quali siano le tue di idee.Non gradisci i cinesi che lavorano a due euro, am quello è capitalismo amico mio.Forse il tuo capo te lo puo' spiegare bene.
Anonimo ha detto…
infatti, io sono contro il capitalismo...
Ma non dò giudizi dogmatici. Certamente ho la mia morale ed il mio credo in base al quale dò giudizi. Condivisibili o no. Mica comando; io.
Piuttosto hanno cercato di comandare tutti coloro che armi in pugno si sono eretti a teorici della perfezione politica. Perfezione che non contemplava l'esistenza di un contraddittorio. Perfezione sfociata nell'autoprocesso a Moro. Grande esempio di idiozia patologica dei famosi combattenti politici. Non erano terroristi, è vero. Solo gente da curare che non ha capito che la stragrande maggioranza delle persone aspira ad un equilibrio sereno che niente aveva a che fare con le "istanze" del terrorismo o della militanza politica.
I cinesi sono appunto la conseguenza del comunismo che ha appiattito il livello di vita lì, imponendo livelli di vita inumani e privi dei diritti fondamentali che impedirebbero, appunto, di poter lavorare così a poco da produrre materiale a prezzi così bassi. Schiavismo. Il capitalismo è altro. E' esattamente quello che ti consente di accendere il pc e scriverci sopra. L'IBM, l'ENEL, la Microsoft, gli sviluppatori di software lavorano abbastanza contenti per società per azioni quotate in Borsa. E non mi sembra che le conseguenze siano poi così malvage. Poi sul capitalismo c'è da scrivere un mare di cose nefande, ma di fatto, al momento attuale, è il sistema condiviso da tutti. O sono tutti scemi o tu vedi le cose in modo oligarchico.
mario ha detto…
Mah,
sarai contro il capitalismo ma ne dai un giudizio antistorico e fuori dalla realtà.
Poi che ci azzeccano i comunisti con i cinesi che producono con 2 dollari lo devi spiegare.Perché vale li' e non,per esempio, in Messico, Honduras, Guatemala, Filippine,India, Pakistan o Haiti e potrei continuare.Li' mica ci sono stati comunisti ad appiattire la vita di quella gente.
Dai giudizi ideologici da bar, chiudi la storia di questo paese in due considerazioni che lasciano il tempo che trovano.
Non tieni conto della storia e del contesto e vuoi giudicare.Che discorso è? qual'è la sua utilità?
Segio, se non altro, spende delle parole per ripensare un periodo in modo critico ed autocritico.Cosa vuoi che faccia? che non ne parli in quel modo?Preferisci gente come Lanfranco Pace.Leggiti la sua storia.
Citi il diritto.Che diritto hanno quello che vivono ai margini, e sono tanti, secondo te?
Quello di aspirare ad una condizione migliore seguendo la logica del sogno americano?Per chiudere, leggiti un po' di storia del capitalismo, di come si sono accumulate le ricchezze.E' storia di rapine e di morte, di guerre e di invasioni.Altro che i 60 anni di potere sovietico.
Anonimo ha detto…
Beh, attualmente sono i cinesi a determinare le dinamiche dei mercati (ringrazia loro e gli indiani per l'inflazione "importata") e non i messicani o i guatemaltechi la cui economia manifatturiera è invisibile. Tutte le principali manifatture presenti sul mercato (ed al mercato) sono cinesi o vietnamite. Vai, gira i cartellini e verifica. Quindi, non era un'analisi delle conseguenze dei regimi, ma solo una presa di coscienza che persino laddove è stato attuato un sistema di vita corrispondente a quanto tu auspichi (almeno credo), persino lì alla fine l'aspirazione alla libera proprietà, nonostante la povertà impressa dal comunismo, è un'aspettativa di futuro possibile.
La Storia non esiste. Se non quella che viviamo direttamente e sulla quale possiamo giudicare direttamente.Il resto sono solo cose riportate, pur se testimoniate. Ma le interpretazioni sono sempre varie e nessuno mai saprà se Garibaldi era un bandito o un eroe.
Lo so che la ricchezza non è un bene spontaneo e che quindi chi la possedeva, l'ha accumulata in modo innaturale. E quindi? L'alternativa qual'era? Una comune di persone tutte vestite di grigio, tutte con lo stesso tipo di cucchiaio e tutte che mangiano la stessa cosa? Come le formiche quindi? Pensi che la grandezza dell'Uomo non meriti aspirazioni più elevate? L'Uomo aspira sempre al meglio, perchè è intelligente e non si accontenta. Per fare questo utilizza le regole della Natura, quelle del più forte. La Società, dal canto suo, modera queste aspirazioni con le Leggi e appunto il Diritto. Forse lo fa blandamente, perchè in fondo chi detiene il Potere spesso è anche chi detiene il Capitale, e c'è ancora molto da lavorare, ma il risultato (per te fallimentare, per me estremamente positivo visto il benessere che pervade l'occidente) è la mediazione tra le due forze. Non sempre va bene. Non sempre sono equilibrate. Lo so.
Non lo saranno mai. Ma un vu' cumprà clandestino è molto più tutelato qui (nei servizi essenziali e nel tenore di vita) di quanto non lo sia nella piena legalità del suo Paese dal quale è fuggito. Evidentemente il sistema basato sul lavoro/retribuzione non è poi così malvagio....

Post popolari in questo blog

Meglio di così si muore

L'odio di classe