Come Dayan raccontò la guerra contro la Siria nel 68
Questo è un reportage del corriere della sera dal Golan, scritto nel 1998. Ci troverete molte cose che fanno capire meglio di tanti discorsi come si applica l'espansionismo sionista, per quali motivi e con quali sotterfugi. A futura memoria in attesa del prossimo reporatge che tra 20 anni illuminerà i vari "commentatori" sulla banale verità di un regime che nel suo DNA è l'esempio di un nuovo fascismo.
A Quneitra, capitale fantasma dell'altopiano siriano in parte occupato da Israele nel '67, la comunita' araba combatte con le parole per mantenere il rapporto con il passato
REPORTAGE I SALTATORI DI MURI
Il megafono del dolore sul Golan diviso Ogni venerdi', nella Valle delle grida, le famiglie spezzate urlano messaggi oltre il filo spinato Soltanto 300 metri tra figli, genitori, fratelli separati. Per riconoscersi serve un binocolo
"Moshe Dayan ammise le pressioni dei coloni per avere la terra"
DAL NOSTRO INVIATO QUNEITRA (Golan) - In questa penosa escursione tra i muri della vergogna rimasti ancora in piedi e le frontiere invalicabili imposte da conflitti politici e rancori regionali, non sarebbe stato possibile ignorare il Golan dove da oltre 30 anni una barriera incappucciata da filo spinato divide in due la comunita' dell'altopiano: siriani gli uni e gli altri. Ma i 23 mila che vivono dall'altra parte abitano le terre occupate da Israele nel '67, durante la Guerra dei sei giorni. L'occupazione fu rapida, anzi fulminea: e altrettanto fulmineamente, i soldati di Dayan ridisegnarono i confini in territorio siriano ed eressero il muro per impedire agli abitanti dei villaggi, diventati loro "sudditi", di fuggire verso i promontori rimasti liberi sotto la bandiera di Damasco. Tornando nella zona dopo circa 10 anni, ho rivisto la stessa scena di allora: una scena che si ripete ogni venerdi' e che le Tv e i giornali continuano a raccontare. La gente (soprattutto donne) arriva dai dintorni e anche da Damasco in mattinata e si assiepa sul ciglio di una collina davanti alla terra di nessuno: 400 metri di prato scosceso, pieno di sterpi, segato, sul fondo, dai rotoli di filo spinato. E subito comincia il lamentoso dialogo, col megafono, tra le famiglie siriane separate. Ci sono soltanto 300 metri in linea d'aria ma non c'e' altro modo per tener vivo un rapporto che puo' essere solo verbale. Un'anziana signora chiama il figlio, una figlia il padre. Sulla collina opposta si vede la macchia bianca di Majdel Chams, uno dei cinque villaggi, su 147, che gli israeliani hanno risparmiato dilagando nel Golan. Col binocolo si possono vedere chiaramente i volti delle persone che urlano dentro il megafono, i veli neri, bianchi, azzurri delle donne. Un uomo di mezza eta' chiama il padre e la madre e anche i quattro fratelli, nati dopo la sua fuga, che non ha mai visto. Uno dei fratelli risponde e lui si fa prestare il binocolo per vedere "come e' fatto". Viene qui una volta al mese, da Damasco. Proprio a causa di questo scambio di messaggi, urlati e vibrati, la terra di nessuno e' stata battezzata (credo dai Caschi blu dell'Onu addetti alla sorveglianza) The Shouting Valley, la Valle delle grida. E il vento che soffia sempre su queste alture contribuisce al nitido trasloco delle voci sopra il muro. Qualcuno, megafonando, presenta ai genitori la ragazza che gli sta vicino e con cui si e' fidanzato. Altri ostentano la bellezza dei bambini di pochi mesi, agitandoli dolcemente sopra la testa. Ogni tanto si sente un'invocazione stentorea a Dio, Allah o akbar, e quel cielo sbiancato dal sole diventa il soffitto etereo di una moschea. Il governatore della provincia di Quneitra, Walid Al - Bouz, racconta che una donna e' morta qualche giorno fa mentre urlava il nome del nipotino. Insomma, uno strazio. Dei 1.860 chilometri quadrati del Golan, 1.200 almeno sono stati occupati da Israele, che non intende ritirarsi perche' - sostiene da sempre - quella fascia di terra rappresenta una sicurezza per i suoi confini e per la propria integrita' territoriale, minacciata e colpita in passato dai missili siriani. Ma non si puo' neanche accantonare il sospetto che non voglia rinunciare a un territorio ricco di sorgenti, da cui sgorgano 3 miliardi e 362 milioni di metri cubi d'acqua all'anno: una ricchezza favolosa per un Paese mediorientale. "L'occupazione del Golan - mi dice il dottor Walid Al - Bouz - ha avuto come conseguenza soprattutto la disintegrazione delle famiglie, e' stata un crimine contro l'umanita', una flagrante violazione dei diritti umani. Si interviene contro la nostra identita' culturale, contro il nostro sistema educativo, contro la lingua: la gente non si puo' riunire, ogni assembramento e' vietato. Ma pochi dei 23 mila siriani che vivono li' hanno subito il processo di israelizzazione avviato dagli occupanti. Come uscire, come convincerli ad andarsene? Chiediamo un intervento internazionale, vogliamo che si rispettino le risoluzioni dell'Onu: il recente viaggio del presidente Hafez Al - Assad in Francia va visto anche in quest'ottica. In un'intervista alla televisione francese ha detto a chiare lettere che la Siria non intende abbandonare le sue terre e che l'ostacolo a una soluzione pacifica del conflitto nel Golan e' il premier Netaniahu che non riconosce le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e vuole tenersi i nostri territori. Tel Aviv ha proposto il ritiro delle sue truppe dal Sud del Libano, ma rimane intransigente sul Golan". Nel documento che il governatore di Quneitra mi sottopone si parla di continui arbitrari arresti di giovani dai 16 ai 20 anni, di condanne fino a due - tre anni, di sempre nuove "semine" di mine antiuomo attorno ai villaggi che hanno ucciso "un gran numero" di persone e di bestiame. Ha fatto molto scalpore l'arresto di una studentessa siriana di 20 anni - Elham Abu Saleh - accusata di spionaggio: l'episodio ha provocato lo sciopero di 15 mila drusi a Majdal Shams e scontri con la polizia. Elham era una dei 400 studenti autorizzati a frequentare l'universita' di Damasco. D'ora in poi, i permessi saranno sempre piu' rari. "E studiare nei villaggi occupati - sottolinea il dottor Walid - significa accettare la sistematica falsificazione della nostra storia e l'ebraico, e non piu' l'arabo, come primo idioma. Capisce, che mondo?". Quneitra - insieme a Kabul, a Beirut, a Grozny - e' quanto di meglio si possa avere come testimonianza della bestialita' della guerra. Non esiste piu', infatti. + stata sfasciata, polverizzata. Un terremoto del settimo grado della scala Mercalli non avrebbe fatto peggio. Girando tra i ruderi, occorrerebbe mettersi in testa una borsa di ghiaccio per mitigare i sussulti di sdegno e di pieta'. Capoluogo del Golan, aveva circa 40 mila abitanti. Ma non ci sono stati morti. Perche', all'arrivo delle truppe di Tsahal (l'esercito ebraico) l'intera popolazione venne scacciata. Prima pero' di andarsene, nel '74, in seguito a un accordo di tregua, hanno ammassato tutta la dinamite di cui disponevano e hanno fatto saltare tutti i nove quartieri della citta', casa per casa, risparmiando soltanto una piccola chiesa greco - ortodossa. Un po' come avvenne anni dopo, quando, dopo un accordo con l'Egitto per la restituzione del Sinai, rasero al suolo un villaggio che avevano costruito nel deserto, assieme agli orti e ai giardini fatti fiorire, con molto sudore, sulla sabbia. Vado a prendermi un caffe' in un bar - ristorante, il solo locale rimesso in piedi a mezzo chilometro dalle distruzioni: dalla terrazza si possono vedere le alture del Golan e gli insediamenti israeliani e anche le torrette da cui vigilano i Caschi blu. Una vita molto triste, monotona, senza svaghi di nessun genere, mi confidera' uno di loro. La ferma e' di 12 mesi. Quando chiedo al proprietario del ristorante perche' Quneitra non e' stata ricostruita dopo 24 anni, la risposta e' quella che danno invariatamente a Damasco: perche' e' la citta' - martire della Siria, brutalmente sacrificata alla "politica espansionista" d'Israele. Durante le guerre del '67 e del '73, la Siria aveva schierato sul fronte del Golan circa 100 mila uomini. Le cinque divisioni avevano a disposizione 1800 carri armati (T - 62 forniti dall'Urss), 250 aerei, 1300 cannoni. Poi sarebbero arrivati i Mig - 23. Da qui partivano le cannonate sui kibbutz e sulle popolazioni inermi della Galilea: e fu proprio per porre fine a questa grandine di proiettili - sostenevano allora le autorita' militari di Gerusalemme - che Tsahal intraprese la sua fulminea avanzata verso Quneitra. Ma ecco che soltanto un mese fa, sul giornale israeliano Yediot Aharonot, escono le sconcertanti dichiarazioni fatte piu' di vent'anni fa da Moshe Dayan a un giornalista ebreo, Rami Tal: secondo cui l'occupazione del Golan era stata decisa dopo la richieste dei coloni dei kibbutz, che "volevano piu' terra per le loro coltivazioni". Per il leggendario generale, eroe della Guerra dei sei giorni, la Siria non costituiva allora una seria minaccia. "Guarda - ha detto testualmente Dayan a Rami Tal -, si puo' dire che i siriani sono dei bastardi, che e' giunto il momento di fargliela pagare cara. Ma non e' cosi' che si fa politica. Non attacchi il nemico perche' e' un bastardo, ma solo se ti minaccia davvero. E il quarto giorno della guerra del 1967, i siriani non ci minacciavano per nulla". E ancora: "Sai come si svolse almeno l'80 per cento degli scontri a fuoco prima della guerra del '67? Noi mandavamo i nostri trattori a scavare nelle zone demilitarizzate sapendo in anticipo che i siriani avrebbero sparato. Sino a che loro finalmente sparavano e noi potevamo rispondere con artiglierie e cannoni per poterci impadronire ogni volta di un pezzettino in piu' di terra... Era la prassi... Fu una delegazione di esponenti dei kibbutz a chiederci di occupare il Golan, volevano piu' terra per le loro coltivazioni. Altro che pericolo siriano! Fu un errore, avrei dovuto impedire un attacco contro la Siria". Dayan e' morto nell'81, avvolto nella sua leggenda. Ma insieme alla gloria, non s'e' portato con se', nella tomba, il suo errore: che da oltre trent'anni continua a riprodursi e far danni. Le ciniche rivelazioni del generale mettono ulteriormente a disagio Netaniahu quando insiste nell'opporsi al ritiro delle sue truppe dal Golan per motivi strategici e di sicurezza delle proprie frontiere: anche perche' essa non potrebbe piu' essere garantita da armi convenzionali. Sulla Shouting Valley si diffonde la luce estenuata del pomeriggio. La gente risale sui pulmini o sulle vecchie macchine per tornare a Damasco o nei villaggi lungo la strada e la frontiera. Anche sull'altro lato vedo gruppi che risalgono la collina verso Majdel Chams. Fino a venerdi' prossimo ci sara' il silenzio: rotto soltanto, talvolta, da una secca detonazione, sprigionata da qualche animale che abbia avuto la disavventura di imbattersi in un campo minato nella terra di nessuno
Fonte:
http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/10/megafono_del_dolore_sul_Golan_co_0_9808108806.shtml
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