Ma quale mercato? e quale economia?

«Veltroni si misuri con il merito e ci dica se sull'inflazione e il contratto nazionale la Cgil dice cose giuste o sbagliate»: Guglielmo Epifani

Per una volta sono d'accordo con Epifani. La questione è che la sua domanda rimarrà senza risposta per quanto riguarda il merito.
D'altra parte come è possibile entrare nel merito quando gli esempi che abbiamo, e mi riferisco alle opinioni in materia di economia in generale, tra lor signori sono così conflittuali?

Ieri la Stampa ospitava nelle sue pagine interne l'elenco delle persone che, a suo giudizio, si portavano sul groppone la responsabilità di questa recessione.
Niente di rivoluzionario, per carità.
Come al solito queste liste di proscrizione vengono fatte alla fine e mai durante un percorso.

Questo è l'elenco parziale :

"Greenspan, anzi, ha incoraggiato lo sviluppo vertiginoso e pericoloso dei mutui-spazzatura e ha convinto i proprietari delle case ad abbandonare il tasso fisso per quello variabile, esponendo così migliaia di famiglie alla «tagliola» dell'impennata dell'assegno mensile, sino al punto di non ritorno, quando la rata è diventata, sotto i colpi della tempesta, troppo alta per consentire loro di onorarla.

Il presidente della Fed, inoltre, ha difeso e sostenuto per anni il boom dei derivati, strumenti che già esistevano quando lui è arrivato alla banca centrale Usa e ne ha preso il controllo, ma strumenti che sotto la sua amministrazione sono letteralmente lievitati, passando da un valore di 100 trilioni (100 mila miliardi) di dollari nel 2002 a 500 trilioni cinque anni dopo. Di recente, Greenspan, ha ammesso che diverse sue convinzioni nel lungo termine si sono dimostrate sbagliate.

"BILL CLINTON (Ex Presidente Usa) - Ex presidente degli Usa. Ha abolito nel 1999 il Glass Steagall Act, una legge che stabiliva la completa separazione tra le banche commerciali e quelle d'investimento. Questa mossa ha avviato l'era delle superbanche e ha innescato la «bomba» dei mutui subprime, esplosa dopo molti anni.


GEORGE W. BUSH (Ex presidente degli Stati Uniti) - L'amministrazione del presidente uscente degli Usa non ha certamente messo il freno all'erogazione della montagna di denaro finita in prestito a migliaia di sottoscrittori che non presentavano garanzie di rimborso. Non ha trattenuto la corsa di Wall Street, con regole che impedissero il successivo bagno di sangue.

GORDON BROWN (Premier britannico) - Si è lasciato completamente abbagliare dai protagonisti della City e dai loro vagiti. Ha anteposto gli interessi dello «Square Mile» a quelli di altre realtà economiche, coma l'industria manifatturiera. Ha reintrodotto la bassa tassazione per migliaia di banchieri stranieri che lavorano a Londra e società di private equity.

PHIL GRAMM (Ex senatore del Texas) - Ha combattuto a lungo e duramente per imporre la deregulation finanziaria, incoraggiato dall'allora presidente Bill Clinton. Il suo lavoro ha facilitato la crescita esplosiva dei derivati e dei «credit swaps». Nel 2001 disse in una discussione del Senato: «Guardando ai mutui subprime vedo il sogno americano in atto».

GEIR HAARDE (Primo ministro islandese) - Ha annunciato venerdì scorso che vorrebbe dimettersi e indire nuove elezioni a maggio, sull'onda delle proteste popolari per il crac finanziario del Paese. A ottobre le tre più grandi banche islandesi erano collassate sotto
i debiti. Il governo si è fatto prestare 2,1 miliardi di dollari dal Fondo monetario internazionale e si è esposto con diversi Paesi europei.

Dopo di che sempre la Stampa, oggi, illustra l'opinione di un (?) economista, Alberto Bisin, che tra le altre cose afferma:

"Ieri è apparsa sul New York Times una lettera aperta al presidente Obama. Ha l’obiettivo di rimarcare che il consenso al piano di stimolo fiscale proposto dalla sua amministrazione è meno vasto di quanto egli non creda, almeno tra gli economisti accademici.

L’iniziativa, originata dai premi Nobel Ed Prescott e Vernon Smith, è stata sottoscritta da numerosi altri economisti, oltre 200, tra cui io stesso.

Sebbene la lettera sia formalmente indirizzata al Presidente, essa ha anche altri destinatari. L’elezione di un democratico alla Casa Bianca in un momento di grave crisi economica ha infatti indotto molti economisti di scuola keynesiana ad argomentare sulla stampa sempre più apertamente a favore di politiche economiche di espansione fiscale. Queste politiche comportano una maggiore spesa pubblica e vari interventi diretti di sostegno a industrie in difficoltà. Alcuni commentatori, tra cui purtroppo Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia 2008 ed editorialista del New York Times, hanno preso a sostenere pubblicamente che la professione degli economisti sia concorde nel ritenere necessari questi tipi di intervento. Krugman (sul New York Times del 26 gennaio) è giunto a tacciare di «malafede» qualunque economista sostenga il contrario.

In realtà sono ormai più di vent’anni che le teorie economiche keynesiane, su cui è fondata la necessità di grossi stimoli fiscali durante una recessione, sono completamente screditate in accademia. Lo sono da un punto di vista teorico, perché presuppongono comportamenti severamente miopi e irrazionali da parte dei consumatori e degli imprenditori. Lo sono anche da un punto di vista empirico, semplicemente perché non funzionano. Anche gli economisti neo-keynesiani, molti dei quali alla Federal Reserve come Ben Bernanke, hanno abbandonato gli studi di politica fiscale e ormai da anni si occupano essenzialmente di politica monetaria."

In buona sostanza, a leggere questo dotto signore, è stato sprecato un premio nobel per l'economia. La sua tesi è che non ha senso espandere il debito pubblico per sostenere la domanda ma che, al contrario, bisognerebbe intervenire "solo" sul fronte fiscale sia per le imprese che per le famiglie.
Devo dire che questa sua esposizione risulta oscura quando afferma anche che:


"Tagli fiscali a famiglie e imprese sono interventi di gran lunga più efficienti. È vero che, ora come ora, i tagli fiscali andrebbero in larga parte a incrementare i risparmi, non a sostenere i consumi. Ma questo perché le famiglie e le imprese americane negli ultimi dieci anni hanno consumato tanto e risparmiato poco, godendo di capitale a buon mercato dalla Cina e da altri investitori internazionali. Inoltre, i loro pochi risparmi sono stati ridotti del 20-30% dal crollo dei valori immobiliari e del mercato azionario nel corso dell’anno passato. Sostenere artificialmente i consumi delle famiglie e rallentare il declino di industrie malate non è la via alla soluzione della crisi. Da questa crisi si esce solo facilitando la riallocazione di capitale e lavoro alle industrie più produttive. Quali queste siano è compito dei mercati finanziari identificare."

Quindi, dopo un esauriente elenco di responsabili della crisi per motivi legati ad una deregulation selvaggia e fatta in virtù di una fede cieca nel mercato finanziario, abbiamo uno che dice (in sostanza) meno tasse ma non più spesa pubblica e missione al mercato finanziario per l'identificazione delle aziende su cui ri-allocare risorse economiche ed umane.Immaginiamo quindi meno tasse e meno spesa, di conseguenza meno spesa sociale per finanziare il taglio delle tasse (al contrario risulta difficile capire come si può contenere il debito pubblico). Come, attraverso quali processi e con quale impatto sulla società non è dato sapere.
E poi:
Quali sono i principi per cui una impresa è malata? Il suo bilancio? La sua strategia di marketing? I suoi prodotti?
Se le famiglie pensano solo a risparmiare (razionalmente in un quadro del genere in cui si sommano al poco reddito le poche risorse per sostenere spese sulla salute e sulla previdenza) e a consumare sempre meno,questo non fa avvitare ulteriormente la situazione?
Come si pensa di gestire un periodo in cui ,in attesa degli aggiustamenti del mercato ,la gente ha problemi di sopravvivenza?

Sempre nella giornata di ieri, nella posta che ricevo, mi è arrivata una news letter da una società che si occupa di investimenti in cui c'era il video (che potete vedere) nel quale vengono illustrati i risultati degli studi di un paio di economisti e del FMI che evidenziano l'effetto delle politiche fiscali e degli interventi pubblici fatti, in termini di maggiori investimenti in infrastrutture, e la relazione che questi hanno con il ritorno in termini di domanda per l'economia.
In sintesi (esempio sugli USA):
- a fronte di una riduzione di 1 $ di tasse sui salari si ha un volano in termini di consumi corrispondente a 1,28$
- la stessa riduzione sulle imprese produce 0,30 centesimi
- impiegato per investire in infrastrutture produce 1,59$ di consumi
- speso in sussidi di disoccupazione produce 1,63$
Come potete leggere quelle che "producono" ( o meglio, che hanno prodotto )minor effetto sono le politiche fiscali a favore delle aziende.
Il limite dato dagli investimenti pubblici è nel:
a) impatto su una media di solo il 2,5% del pil
b)tempo necessario (molto) affinché si produca l'effetto

Se l'esperienza empirica ha un suo fondamento nei risultati constatiamo come le leve su cui agire, "velocemente" ,dovrebbero essere quelle legate a salari e sussidi di disoccupazione. Da qui i soggetti interessati sono quelle fasce sociali che rappresentano la maggioranza della popolazione.
In tutto questo rimangono un pò di questioni aperte:
1- fino a che punto è pensabile sostenere la domanda di un mercato "libero" con un debito che è pubblico.Quale che sia la forma che esso assume.
2- che coerenza c'è tra esperienza e politiche economiche e sociali fino ad oggi sviluppate? In particolare sul fronte della riduzione dei salari, della precarizzazione del lavoro e della creazione di instabilità sociale conseguente?
3- perché dovrebbe essere il "mercato" a decidere dove e come mettere i soldi se quei soldi non sono del "mercato"
4- abbiamo bisogno di un mercato e di meccanismi di questa natura per noi e per i nostri figli?





Commenti

Anonimo ha detto…
Molti di questi economisti sono i cazzari che non avevano previsto la crisi.
mario ha detto…
Già,
loro fanno status e guadagnano un sacco di soldi. Poi, però, chiedono allo stato d'intervenire perché qualcosa nel meccanismo non funziona

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