Il problema palestinese è nostro e di chi ha appoggiato i sionisti
Scompaginando un po' la cronologia dei capitoli iniziamo da questo:
Il diritto dei profughi palestinesi
"Lo Stato di Israele, che attualmente ha più di sette milioni di abitanti, riconosce fino ad oggi il diritto di qualsiasi ebreo del mondo di emigrare in Israele, semplicemente richiedendolo, e di ricevere la cittadinanza non appena arrivato. L'atto di immigrazione in Israele nel caso di un ebreo viene chiamato Aliyah, che in ebraico significa "ascesa". Israele ha sempre negato, invece, il ritorno ai profughi palestinesi, sia a quelli della guerra del 1948 che a quelli della guerra del 1967. Il conte Folke Bernadotte, incaricato dalle Nazioni Unite e che agiva per il ritorno dei profughi palestinesi nelle loro case, fu assassinato dal gruppo Lehi; Israele arrestò appartenenti alla banda, ma furono subito rilasciati.
Il diritto dei profughi a tornare in patria è sancito dall'articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Di recente, è stato applicato ai fuggiti nelle guerre interetniche in Rwanda e del Burundi.[10] e agli scampati alla guerra nell'ex Jugoslavia[11] Non viene applicato invece ai profughi dalla terra poi diventata Israele, molti dei quali vivono tuttora in campi in Cisgiordania, territorio sotto la responsabilità israeliana fin dal giugno del 1967.
Durante gli anni '50 e gli anni '60, moltissimi ebrei provenienti dal Nord Africa e dal Vicino Oriente emigrarono in Israele, in seguito all'espulsione, di diritto o di fatto (confisca dei beni) nei paesi di origine. Durante gli anni '90, è emigrato in Israele circa un milione di persone dall'ex-Unione Sovietica. Molti di loro hanno solo dei tenui legami familiari con l'Ebraismo, e non sono mancati i casi di praticanti del Cristianesimo ortodosso. Si suppone che molti di essi siano emigrati in Israele per sfuggire dalle condizioni economiche e sociali molto dure dei paesi di origine. Negli ultimi anni, c'è stata anche un'immigrazione crescente di clandestini provenienti dall'Africa e dall'Asia.
Israele si auto definisce uno "Stato Ebraico". Le due lingue ufficiali sono l'Ebraico, una lingua che è stata completamente rivitalizzata dopo più di due millenni di uso solamente liturgico, e l'Arabo. Nella pratica, è molto più usato l'inglese dell'arabo. Ora è diffuso anche il russo.
La società è divisa su numerosi temi tra la componente religiosa e quella laica. I servizi di trasporto pubblico (con l'eccezione di Haifa) non funzionano di sabato e nelle altre feste ebraiche.[12] Il potere degli ebrei ultra ortodossi è in aumento: sono in alcuni casi (raramente corretti) a imporre la separazione fra uomini e donne su autobus in servizio pubblico."
Ma come ci sono arrivati in Palestina i sionisti?
"Il fondatore del Sionismo è oggi considerato Theodor Herzl, un giornalista austro-ungarico ashkenazita. Herzl avrebbe sviluppato la sua idea a seguito dell'affare Dreyfus, sviluppatosi nel 1894. Nel 1897 Herzl organizzò il primo Congresso Sionista in Svizzera, e creò l'Organizzazione Sionista Mondiale.
Le idee di Herzl si inseriscono in un movimento migratorio ebraico già in atto, causato, in Russia, dai pogrom degli anni 1881-1882. Secondo dati del 1930, dal 1880 al 1929 emigrano dalla Russia 2.285.000 ebrei, e, di questi, 45.000 in Palestina. La stragrande maggioranza preferisce recarsi altrove: 1.930.000 scelgono le Americhe, 240.000 l'Europa, i restanti l'Africa e l'Oceania. Dall'Austria, dall'Ungheria e dalla Polonia emigrano, dal 1880 al 1929, in 952.000: 697.000 nelle Americhe, 185.000 in altri Paesi europei, 40.000 in Palestina.
Proporzioni analoghe si riscontrano fra i migranti provenienti da altri Paesi. In totale, durante questi decenni migrano 3.975.000 ebrei: 3.250.000 nelle Americhe (di cui 2.885.000 negli Stati Uniti), 490.000 in Europa occidentale e centrale, e solo 120.000 in Palestina.[1][2]
L'idea di creare uno Stato ebraico circola dal 1880, ("Hibbat Zion"). Alcuni dei promotori di questa idea volevano fondare lo Stato nella storica terra d'Israele, chiamata anche Palestina, dove, secondo la Bibbia, vi erano stati i regni di Davide e di Salomone; il sogno è quello di creare uno stato puramente ebraico, in cui l'antisemitismo sia assente per definizione.
Per questa terra non fu subito scelta la Palestina: c'era anche chi proponeva di creare uno Stato ebraico in altre parti del mondo, ad esempio in Amazzonia o in Uganda, ma l'opzione di gran lunga più popolare restava la Palestina, all'epoca governata dall'Impero Ottomano.
A partire dal 1882, Edmond James de Rothschild divenne uno dei principali finanziatori del movimento sionista e acquistò il primo sito ebraico in Palestina, l'attuale Rishon LeZion. Nel 1924 fondò la Palestine Jewish Colonization Association (PICA), che comprò più di 125.000 acri (560 km2) di terreno.
La seconda ondata (circa 30.000 persone) parte dalla Russia per la Palestina fra il 1904 e il 1914: c'erano stati pogrom dal 1903 al 1906. Alcuni dei nuovi colonizzatori erano spinti da ideali socialisti e crearono dei Kibbutz, delle comunità organizzate secondo criteri collettivisti e comunistici, in cui la popolazione viveva dell'agricoltura. Ma il collettivismo e gli ideali comunistici erano riservati agli ebrei: vigendo la politica del 'lavoro ebraico', i kibbutz non accettavano (e non accettano) fra i loro membri dei palestinesi.
Con i fondi sionisti, e principalmente del Fondo nazionale ebraico, si acquistano terre dichiarate inalienabili da cui è esclusa la manodopera indigena; nasce una nuova nazione, con una propria lingua ed un'economia chiusa, da cui gli arabi sono esclusi. Altri si sistemano nelle città o ne fondarono di nuove: caratteristico è il caso di Jaffa e Tel Aviv, Tel Aviv era infatti un quartiere di Qoffa, ma il massiccio insediamento ebraico crebbe fino a far diventare l'antica (millenaria!) città di Qoffa un sobborgo della nuova Tel Aviv.
I chaluzim, i "pionieri" dell'esodo sionista, non portarono in Palestina solo la loro forza lavoro, la loro famiglia, la loro cultura, ma importarono l'idea europea di "Nazione". Tra gli immigrati ebrei si diffuse anche l'uso della lingua ebraica, la quale, relegata all'ambito religioso da duemila anni, non era più usata quotidianamente.
In piena Prima guerra mondiale il Regno Unito si impegnava, con una lettera del ministro degli esteri a Lionel Walter Rothschild, membro del movimento sionista inglese, a mettere a disposizione del movimento sionista dei territori in Palestina, in caso di vittoria. Il documento porta il nome di Dichiarazione Balfour 2 novembre 1917. Nel 1922 il controllo della regione passò all'Impero Britannico, che chiese e ottenne dalla Società delle Nazioni un Mandato sulla Palestina, che includeva anche l'odierna Giordania. La popolazione araba in Palestina aumentò per l'arrivo di immigrati dai paesi circostanti, che vennero per lavorare, spinti dai salari più elevati di quelli dei loro paesi d'origine.
In sintesi: una immigrazione finanziata ed incentivata con l'acquisto di pezzi di territorio che si è sovrapposta alla presenza degli abitanti del luogo ed a quanti arrivavano da altri stati arabi.
I sionisti sulla Palestina hanno questa posizione:
È importante sottolineare il fatto che, mentre i racconti di una Palestina disabitata abbondano, non esistono resoconti che affermino il contrario. Non c’è una sola testimonianza scritta dell’epoca che dimostri una presenza araba significativa in Palestina, o che menzioni un ‘popolo palestinese’ residente.E’ per questo motivo che Golda Meir, primo ministro israeliano, affermò nel 1969 che: “Non c’è mai stata una cosa come i ‘palestinesi’. Quando mai ci fu un popolo palestinese indipendente con uno stato palestinese? Questo fu la Siria meridionale prima della Prima Guerra Mondiale, e poi fu una Palestina che comprendeva la Giordania. Non fu come se ci fosse un popolo palestinese in Palestina, che si considerava ‘popolo palestinese’, poi noi arrivammo e li cacciammo, portando via il loro paese. Loro non esistevano." (Golda Meir, Primo Ministro Israeliano - Sunday Times, 15 Giugno 1969)"
Posizione che deve conciliarsi con altre affermazioni dell'autore che, nello sforzo di non voler dare una identità alle popolazioni autoctone, scrive:
Come dimostrato dallo studio demografico di Justin McCarthy, (‘La popolazione della Palestina’), lo studio di Arieh Avneri (‘The Claim of Disposession’), il libro-ricerca di Joan Peters (‘From Time Immemorial’) ed altri, la popolazione araba dell’area registrò un enorme sviluppo SOLO durante questo periodo, cioè IN CONTEMPORANEA al ritorno degli ebrei in Palestina. Tra il 1514 e il 1850, la popolazione araba di questa regione era rimasta più o meno stazionaria, circa 340.000 abitanti. Essa cominciò improvvisamente ad aumentare dopo il 1855.
Ad esempio, gli egiziani guidati da Ibrahim Pasha giunsero in massa nell’800, cacciando letteralmente gli unici (oltre agli ebrei) che davvero vivevano in Palestina ‘da tempo immemorabile’, cioè i Drusi. Moltissimi arabi vennero in Palestina dalla Siria, dalla regione di Hauran. Soltanto nel 1831, ben 6.000 egiziani si stabilirono ad Acco (città che oggi dichiarano essere araba da millenni!). Secondo il rapporto ‘British Palestine Exploration Fund’ del 1893, gli egiziani avevano da poco ripopolato anche Jaffa, diventandone la maggioranza. L’immigrazione araba continuò ad aumentare durante la prima Guerra Mondiale.
Ora del censo del 1922, la popolazione araba era quasi raddoppiata arrivando a 589.177, fra cui 62.500 beduini.
Il censo britannico del 1931 (spesso citato da fonti anti-sioniste) mostra la popolazione araba a 759.700 unità residenti, compresi i beduini, accanto ad una popolazione ebraica di circa la metà. Il punto importantissimo che però viene omesso dal censo è il fatto che la maggior parte di questi arabi erano arrivati in Palestina da non più di 60 anni.
Gli inglesi tentarono di spiegare questo improvviso aumento di popolazione attribuendolo all’incremento naturale del nucleo arabo pre-esistente. Il punto è che la crescita demografica naturale non avrebbe mai potuto sostenere un simile aumento, come vedremo fra poco. Quindi l’unica spiegazione possibile è che molti arabi siano immigrati in Palestina illegalmente.
Quindi:
-anche se più numerosa (lo è tra l'altro sempre stata) la popolazione araba lo è diventata perché immigrata illegalmente da altri stati arabi (!!), in un territorio amministrato prima dall'impero Ottomano e poi dagli inglesi ed in cui gli ebrei hanno costituito, da sempre, una minoranza religiosa.
-per questi (arabi ed arabi ebrei) parliamo, in ogni caso, di popolazione residente araba in maggioranza non ebrea.
-nonostante questi fatti: i palestinesi in quanto tali non sono mai esistiti ,quindi i sionisti hanno occupato un vuoto sia fisico che giuridico.Hanno inventato uno stato non cacciando un popolo inteso come tale ma una massa di pastori senza identità certa.Più o meno le stesse brillanti e nobili motivazioni che giustificavano l'apartheid in Sudafrica.O quello che i fascisti raccontavano nella loro propaganda sull'Abissinia senza strade ed abitata solo da tribù incolte e primitive.
Assumiamo per un attimo che questa cosa sia vera fino in fondo e non ricostruita in modo artificioso (la Palestina che non esiste).Possiamo dire che in Palestina fino alla fine dell'800 c'era una popolazione prevalentemente di origine araba con una presenza ebraica, per lo più colonie.
Lo sviluppo massiccio della popolazione ebraica residente lo si è avuto in coincidenza della fine della seconda guerra mondiale e grazie ad ondate migratorie che hanno avuto origine in Europa. Fine 800, primi del 900 e seconda metà del 900.
Di cosa è quindi il frutto la nascita dello stato d'Israele se non dell'afflusso massiccio di europei di religione ebraica?
Se il processo migratorio ha avuto quello sviluppo, non c'è da meravigliarsi se i palestinesi e gli arabi vedono la nascita di quello stato come una forzatura che non è altro che la coda avvelenata di ciò che noi occidentali siamo stati in grado di sviluppare in Europa negli ultimi 150 anni di storia.Dei nostri conflitti e delle nostre persecuzioni.
Prodotto, lo stato israeliano, di una dottrina (quella sionista) che fa dell'appartenenza ebraica l'elemento discriminante per poter avere diritti da quelle parti.
Ci si meraviglia se, nel 48, furono proprio gli stati arabi e coloro che vivevano lì a non accettare la risoluzione dell'ONU?
Possiamo dire che quello stato è lo sviluppo di un processo storico insito e prodotto dalla storia delle popolazioni presenti lì da secoli?
Ma per venire a noi che futuro potrà mai avere uno stato palestinese dove secondo un commentatore:
- ma ve lo immaginate uno stato dove per andare da un posto all'altro ci vuole il passaporto?
-Uno stato privo di un tessuto industriale, agricolo e commerciale?
-Uno stato dove le merci per spostarsi dai luoghi di produzione (ammesso che ne esista qualcuno) a quelli di commercializzazione devono sottostare all'arbitrio del potentissimo, arcigno e scontroso vicino?
-Uno stato che non produce energia e dove, quindi, quando il povero palestinese deciderà di accendere la lampadina dovrà pregare di far alzare dal letto per il verso giusto il gestore ebreo della più vicina centrale elettrica?
-Uno stato ove la erogazione dell'acqua è nel più completo arbitrio del nemico.
Commenti
ad ogni buon conto, a testimonianza chegli arabi sono sempre stati la stragrande maggioranza un palestina, puoi consultare questo interessante sito di statistiche.
http://www.mideastweb.org/palpop.htm
Ma lo hai capito il senso;-))?