Previsioni, un filmato e l'inizio del crollo dell'impero.
Previsioni sul nuovo secolo che arriva ed un capitalismo che si adatta alle circostanze
"E il futuro? Nessuna previsione, solo un cenno a potenzialità e limiti del sistema economico con il quale affrontiamo il nuovo secolo. Bisogna distinguere tra la "macchina" e i problemi. Inseguendo la "lepre del profitto" (Einaudi), la macchina non smetterà di sviluppare e trasformare l'economia e la società. Lungi dal farsi abbattere dall'interno - i lavoratori sono sempre più rentiers - o dal ristagnare o crollare, il capitalismo si adatta (Stein), così da sopravvivere e crescere ancora. I mutamenti, le diversità, sono soprattutto organizzativi e istituzionali (Berle e Means, Coase, "governo societario"). Adattamento può anche voler dire, all'estremo, graduale mutamento di natura (Schumpeter). Il mercato non garantisce né la democrazia né la "fine dell'economia". E' compatibile con la democrazia, l'unico sistema economico sperimentato confermatosi con essa compatibile. Tuttavia, il campo di variazione dei suoi sistemi politici si è esteso, nel secolo, dalla socialdemocratica Svezia al Nazismo e al Fascismo. Al tempo stesso, con lo sviluppo di cui è capace, l'economia di mercato crea i presupposti del passaggio dalla necessità alla libertà, dal "doing good" al "being good" (Moore, Keynes). Tuttavia, contrariamente a quanto Keynes pensava, l'economia di mercato è poi essa stessa incompatibile con questo passaggio. Il mercato unico mondiale della finanza vincola le scelte nazionali, dei governi e dei parlamenti eletti nei singoli paesi: li sollecita all'omologazione, ad attuare politiche che non siano punite con cedimenti del tasso di cambio o con più alti tassi d'interesse, gli uni e gli altri causa di impoverimento certo. L'economia di mercato può invece risolvere tre fra i problemi oggi più sentiti: a) quello della sovrappopolazione-migrazioni; b) quello del degrado ambientale; c) quello del lavoro (attraverso una crescita più sostenuta e non inflazionistica unita a istituzioni, di mercato e non, che favoriscano la piena occupazione). Di fronte alla crisi fiscale dello Stato - spesa sociale e improduttiva, disavanzo di bilancio, debito pubblico - lo scontro è fra i nipotini di Hayek e l'eutanasia della politica, da un lato, i nipotini di Keynes e la monetizzazione del dissenso, dall'altro: Keynes continua a suggerire, diversamente da molti cosiddetti keynesiani, spese pubbliche solo produttive ed equilibrio di bilancio al di là del ciclo. La conciliazione di economia ed etica, l'economia criminale, la mercificazione delle stesse dimensioni non economiche del vivere, soprattutto la insoddisfazione di chi dissente o di chi si considera prevaricato restano, problemi antichi di più difficile soluzione. Quanto a capacità di sviluppo, l'economia di mercato si è confermata, nel secolo che si chiude, superiore agli altri modi di produzione sperimentati sinora. E tuttavia essa ha manifestato carenze e difetti, che continueranno ad alimentare il dibattito fra utopisti, riformatori, conservatori, l'impegno dialettico, e quindi comune, nel "cercare ancora". "
PIERLUIGI CIOCCA è Vice Direttore Generale della Banca d'Italia
Quello che non era necessario prevedere
Come inizia il crollo di un impero
Dopo la lunghissima fase di espansione, per Roma nel terzo secolo arrivarono nuovi nemici stranieri, guerre civili, malattie e un generale impoverimento. Il governo romano, sotto la dinastia di Severo (193-235), riuscì a reggersi senza il consenso del senato, mettendo anzi il ruolo della vecchia aristocrazia in secondo piano. L'imperatore Severo e i suoi discendenti seguirono scrupolosamente le severe leggi romane, ma affidarono tutti i nuovi uffici e compiti vacanti a quella vecchia classe sociale dei «cavalieri», che ne garantiva l'autorità. La dinastia continuò ad aumentare le tasse. Nei confronti dei senatori - i nobili di allora - le tasse erano sempre state molto basse. In generale, la politica dei governi del terzo secolo cercò di essere più equa.
Durante i cinquant'anni che vanno dal 235 al 284 ci furono numerose lotte fra armate dell'esercito imperiale. Alcune ai comandi dei senatori, altre ai comandi di «cavalieri». Questi scontri diedero luogo a quella situazione che è stata definita di "anarchia militare". Tale instabilità interna favorì le incursioni dei popoli esterni, che erano già in forte espansione demografica. Per affrontare gli attacchi contro l'impero soldati e «cavalieri» poterono fare richieste economiche via via crescenti e spesso ottennero l'elezione dell'imperatore, conquistando potere politico, diritti giuridici e di conseguenza una buona parte delle terre coltivabili.
Ma lo Stato si trovò a corto di liquido. Le comunicazioni erano ardue a causa della guerra. Le miniere erano difficili da raggiungere. E ad ogni nuova emissione delle zecche le monete d'argento, su cui si basavano gli scambi commerciali della gente comune, erano sempre più simili a monete di rame. Intanto le imposte straordinarie, che sarebbero dovute restare a carattere eccezionale, diventavano sempre più spesso delle imposte fisse.
Tutto questo andava a scapito sia delle associazioni di cittadini comuni, sia della vecchia classe dirigente. Artigiani e commercianti persero rapidamente quella scarsa influenza politica che avevano. L'evoluzione sociale romana fu differente da quella moderna. Gli operai e i proletari (i plebei) erano giunti al potere durante i primi secoli dell'era romana, ma avevano perso subito quanto avevano guadaganto. Però anche i senatori, che si vantavano di aver portato Roma alla conquista del mondo durante la fase repubblicana (509-31 a.C.), si indebolirono a tal punto che alla fine del III secolo - sotto Gallieno (260-268) e Diocleziano (284-305) - avrebbero perso quasi tutti i loro privilegi, compreso il comando di reggimenti. Così non esercitarono più alcun potere reale, occupandosi dell'amministrazione civile, ma restando un organismo improduttivo e parassitario.
Durante il governo di Gallieno le incursioni nemiche divennero così frequenti da paralizzare completamente il sistema di comunicazioni imperiali. Nello stato romano la maggior parte delle tasse serviva per retribuire l'esercito e, in un periodo di "anarchia militare", le truppe - cui i Severi avevano affidato tutta la responsabilità del fisco - imposero con la forza il diritto di riscuotere le imposte direttamente dalle mani, o dai terreni, dei contribuenti. Le monete d'argento avevano sempre meno valore e quindi i soldati preferirono che i pagamenti avvenissero in oro o in prodotti necessari al momento. In tal modo lasciarono ulteriormente sulla piazza le monete svilite appena emesse dalle zecche governative. A un certo punto lo stato si divise in tre diversi sotto-imperi (260-274). La situazione era drammatica e per una decina d'anni l'economia fu prevalentemente a carattere naturale, allo stadio di mille anni prima. Le monete coniate nelle zecche centrali erano così svilite che si ossidavano dopo pochi mesi, diventando scure e deformate. Aureliano (270-275) riunificò l'impero e cominciò anche a produrre moneta in maniera più sofisticata, ma ancora per quasi mezzo secolo, le entrate dello stato e il pagamento dei soldati sarebbero stati calcolati a seconda delle esigenze materiali. In pratica al posto dei contanti, gli stipendi erano fatti solamente di benefit.
Fonte: digilander
Commenti