Giuliano Naria, storia di un operaio
Pubblico un vecchio articolo di "famiglia cristiana" che racconta la vicenda di Giuliano Naria, un compagno che è stato in galera per 9 anni (carcerazione preventiva)accusato di delitti che non aveva commesso.
Anche lui è stato un protagonista degli anni 70. Ha militato in Lotta Continua, ha fatto l'operaio ed è morto di cancro nel 1997.
Ho scelto il ricordo che di lui ne dà la moglie, in quella intervista ad un giornale come Famiglia Cristiana, perché mi è parso il modo migliore per ricordarlo.Fuori da ogni retorica di parte.
Un proletario. Con un destino segnato. Uno che ha percorso in solitudine la sua strada, senza cercare scorciatoie. Gli ultimi anni li ha trascorsi scrivendo poesie, pubblicate per poter vivere.
Di quelle, prima dell'articolo, ve ne propongo una:
IL SOGNO E LO SPAZIO [carcere di Palmi]
C’era una volta, miliardi e milioni di anni fa, il sogno di un uomo e di una donna, di un bambino e una bambina, di un fratello e una sorella, di un compagno e una compagna.
Questo sogno era un narciso che sbocciava solo a primavera.
Questo sogno era sognato insieme, era vissuto insieme, era un sogno di spazi e di viole, un sogno di prati e di primavere, un sogno in cui non occorreva che si battesse il tempo per poterlo scorrere.
Questo sogno aveva la proprietà degli spazi infiniti e simultanei in un tempo zero. Ogni mattina il loro sogno spariva e spariva con il sogno la dimensione dell’insieme in cui il sogno era vissuto.
Il Tempo ingoiava il sogno e non lasciava più lo spazio di sognare, il Tempo divorava lo spazio e non lasciava più il sogno dei loro spazi vissuti insieme.
Questo sogno era un narciso che sbocciava solo a primavera.
Questo sogno era sognato insieme, era vissuto insieme, era un sogno di spazi e di viole, un sogno di prati e di primavere, un sogno in cui non occorreva che si battesse il tempo per poterlo scorrere.
Questo sogno aveva la proprietà degli spazi infiniti e simultanei in un tempo zero. Ogni mattina il loro sogno spariva e spariva con il sogno la dimensione dell’insieme in cui il sogno era vissuto.
Il Tempo ingoiava il sogno e non lasciava più lo spazio di sognare, il Tempo divorava lo spazio e non lasciava più il sogno dei loro spazi vissuti insieme.
Gli spazi come i sogni sparivano al mattino lasciando sulle loro labbra brividi di salvia e la misura della quantità del tempo che li separava.
Restavano i narcisi, i narcisi bianchi con sfumature sul viola, i narcisi dai profumi dolci e simpatici, i narcisi sinceri, buoni, che esprimevano la loro amicizia, il loro amore. I narcisi racchiudevano i loro ricordi e le loro discussioni, tutte le loro sensazioni, tutte quelle carezze e quei baci e quegli incontri che non sarebbero mai potuti appassire come quei fiori.
I loro volti assomigliavano a quei fiori, come i narcisi erano ugualmente profumati, colorati, distribuivano e sprizzavano meraviglie e meravigliosità.
(Si racconta, inoltre, che solo chi è insensibile alla grandezza di questo fiore è portato ad essere sensibile nell’amore).
I fiori di narciso racchiudevano in uno stesso spazio i loro sogni, perché nei sogni non solo non si muore, ma gli amori si fanno cristallo e superano ogni limite e confine.
Ogni mattina, quando quel sogno veniva loro rubato, i loro capelli si drizzavano e da ricciolini che erano diventavano simili a degli spaghettini.
Avevano fatto una scommessa su se stessi, con se stessi, battere il tempo, dovevano impedire di farsi trascorrere da lui.
……………………………………………………………………….
E liberarono il loro desiderio di loro, liberarono il loro gesti e le loro parole, quelle parole che non fanno in tempo a fermarsi perchè i gesti sono più veloci.
Si innamorarono del loro amore perché su di questo il tempo non aveva potere, non aveva dominio e il narciso li raccolse nel sogno e dal sogno per portarli lontano da tutto ciò che non erano prati e fiori di primavera.
Nel corpo del fiore era possibile proiettarsi oltre e anche di là. Qui la matematica e la geometria dell’ignoto funzionavano pienamente.
………………………………………………………………………..
Sparirono percorrendo le poliedriche possibilità delle pieghe e degli angoli, proteggendosi dalla tenebra e dalla luce. Come saranno ora i loro capelli?
Restavano i narcisi, i narcisi bianchi con sfumature sul viola, i narcisi dai profumi dolci e simpatici, i narcisi sinceri, buoni, che esprimevano la loro amicizia, il loro amore. I narcisi racchiudevano i loro ricordi e le loro discussioni, tutte le loro sensazioni, tutte quelle carezze e quei baci e quegli incontri che non sarebbero mai potuti appassire come quei fiori.
I loro volti assomigliavano a quei fiori, come i narcisi erano ugualmente profumati, colorati, distribuivano e sprizzavano meraviglie e meravigliosità.
(Si racconta, inoltre, che solo chi è insensibile alla grandezza di questo fiore è portato ad essere sensibile nell’amore).
I fiori di narciso racchiudevano in uno stesso spazio i loro sogni, perché nei sogni non solo non si muore, ma gli amori si fanno cristallo e superano ogni limite e confine.
Ogni mattina, quando quel sogno veniva loro rubato, i loro capelli si drizzavano e da ricciolini che erano diventavano simili a degli spaghettini.
Avevano fatto una scommessa su se stessi, con se stessi, battere il tempo, dovevano impedire di farsi trascorrere da lui.
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E liberarono il loro desiderio di loro, liberarono il loro gesti e le loro parole, quelle parole che non fanno in tempo a fermarsi perchè i gesti sono più veloci.
Si innamorarono del loro amore perché su di questo il tempo non aveva potere, non aveva dominio e il narciso li raccolse nel sogno e dal sogno per portarli lontano da tutto ciò che non erano prati e fiori di primavera.
Nel corpo del fiore era possibile proiettarsi oltre e anche di là. Qui la matematica e la geometria dell’ignoto funzionavano pienamente.
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Sparirono percorrendo le poliedriche possibilità delle pieghe e degli angoli, proteggendosi dalla tenebra e dalla luce. Come saranno ora i loro capelli?
L'ingiustizia può anche uccidere. Persino a distanza di anni. Quali siano i fattori scatenanti di un tumore che colpisce prima la lingua, poi la laringe e infine divora il volto di un uomo, la medicina non è ancora in grado di stabilirlo con certezza. Ma che le umiliazioni, le sofferenze patite possano essere alla fonte del male, appare verosimile. «Il corpo non è un luogo meccanico», osserva il dottor Raffaele Morelli, direttore di Riza Psicosomatica, «ma è la condensazione di una serie di esperienze vissute. I dolori psichici possono portare anche alla morte».
Una delle ultime immagini di Giuliano Naria prima della malattia |
Di traumi Giuliano Naria, ex operaio dell’Ansaldo di Genova, attivo negli ambienti di Lotta continua, ne aveva subiti tanti. Ha passato più di nove anni in cella come sospetto brigatista, accusato di omicidio (l’assassinio del procuratore capo di Genova Francesco Coco e della sua scorta), sequestri di persona, partecipazione a rivolte in carcere, insurrezione contro i poteri dello Stato.
Violenze subite da innocente, come le sentenze di assoluzione hanno poi dimostrato, che in carcere lo hanno fatto anche ammalare di anoressia. Intervennero in suo favore il presidente della Repubblica Sandro Pertini e 200 parlamentari di tutte le aree politiche, chiedendo che gli venissero almeno concessi gli arresti domiciliari prima che fosse troppo tardi. Il ministro di Grazia e Giustizia dell’epoca, Mino Martinazzoli, disse che quella di Naria «era una detenzione preventiva che di fatto va oltre il confine della ragionevolezza», aggiungendo che «un epilogo tragico di questa vicenda sarebbe, da qualsiasi punto di vista, uno scacco per la giustizia italiana». Ma il primo presidente della Corte di Cassazione rispose ai politici con un secco: «Non tolleriamo insulti».
Naria, tornato libero nel gennaio 1986 per decorrenza dei termini, assolto definitivamente nel febbraio 1991, si è spento lo scorso mese di giugno all’Istituto dei tumori di Milano. Aveva 50 anni. Dal 1995 era affetto da un cancro che gli aveva tolto la voce, devastandone le espressioni e riducendolo a una trentina di chili. Sotto l’effetto della morfina e del metadone per alleviare il dolore, in uno stato di torpore, la sua mente ha continuato a funzionare per settimane intere per consentirgli di rivedere nel sonno tutta la pellicola della sua vita. Quando il film era terminato, il cuore ha cessato di battere. Con lui c’erano la moglie Sabina, 33 anni, sposata poche settimane prima del decesso, e gli anziani genitori (Matilde, 77 anni, e Amelio, 83 anni) che dal 1976 gli sono stati accanto nelle aule di tribunale e nei parlatori presso le carceri di massima sicurezza. Per pagare gli avvocati e i lunghi viaggi per raggiungerlo in carcere (una cinquantina l’anno, moltiplicati per nove anni) hanno dovuto vendere la casa di Genova, a suo tempo comprata con un mutuo trentennale.
Naria era morto da pochi giorni quando alla porta della sua abitazione di Milano ha suonato l’ennesimo funzionario di polizia chiedendo di vederlo. I genitori gli hanno spiegato che non era più possibile: ormai riposava al cimitero. «C’era una volta una bambina che aveva i fiori nel cuore, all’alba e al tramonto andava ad aspettare il sole», scrive Naria in uno dei suoi racconti pubblicati ne L’orto delle fiabe, favole redatte durante la detenzione all’Asinara. Ma l’orco malvagio, invidioso della sua bellezza, voleva ucciderla e le tese un agguato lanciandole grossi sassi. «Uno di questi le schiacciò i suoi meravigliosi e fragranti fiori, un altro spappolò un uccellino color arcobaleno che si era avvicinato incuriosito. Un altro ancora, frantumandosi, proiettò una scheggia contro la bambina ferendola. Essa sentì un gran dolore e provò per la prima volta nella sua vita una grande tristezza. Ebbe anche paura... Allora il sole la chiamò e la nascose dentro la luce. Nessuno la vide più, neppure l’orco malvagio».
- Prima di incontrare Giuliano, conosceva già la sua storia?
«Ci siamo conosciuti nel 1989», risponde Sabina Naria, «attraverso degli amici. Delle sue vicende sapevo già qualcosa».
- Lui come si raccontava?
«Giuliano non amava raccontarsi».
- Qual era il suo approccio alla vita?
«Di grande entusiasmo. Non si è mai lamentato di nulla. Ha sempre cercato di cogliere gli aspetti belli della vita. Qualche mese fa gli dissi, a proposito della malattia: "Sei sfortunato!". Mi rispose: "Non sono sfortunato, perché ho la fidanzata, il papà e la mamma più fantastici del mondo"».
- Come definirebbe suo marito Giuliano?
«Un vulcano di idee».
- Come è maturata la decisione di sposarvi?
«Volevamo condividere davanti a tutti la nostra unione».
- Che cosa pensava Naria della giustizia?
«Non portava alcun rancore, nonostante ne avesse tutti i motivi. Sosteneva che non era comunque una giustizia dell’uomo, ma del sistema».
Giuliano Naria in manette |
- E lei, che idea si è fatta della giustizia?
«È un potere che non paga mai per gli errori che commette».
- A chi si ispirava Naria nel suo impegno sociale?
«Senz’altro ai genitori (il padre ha lavorato per 37 anni in un’azienda genovese come montatore specializzato, andando in pensione nel 1974). Ricordava spesso che non vollero comprare una seconda casa perché, dicevano, avrebbero finito per affittarla a un operaio, a un poveraccio, e l’idea di chiedere soldi, di sfruttare uno che era come loro, la trovavano inaccettabile».
- Qual era il sogno di Naria negli ultimi mesi della sua vita?
«Tornare a viaggiare, rivedere l’America Latina. Voleva portarmi in viaggio di nozze in Colombia, in Perù, Paesi che aveva visitato dopo il 1991, quando gli restituirono il passaporto. Aveva una passione per la cultura Inca sin da ragazzo: quando Giuliano aveva 5 anni, il padre voleva emigrare in Sudamerica, ma la madre lo trattenne».
Pochi mesi or sono, con la malattia che avanzava inesorabile, Naria, che lavorava come giornalista-scrittore dedicandosi all’economia e alla finanza per vivere e all’America Latina per diletto, scrisse a un amico: «Io non sono ancora stanco di vivere, sento che devo fare ancora un sacco di cose. Scrivere almeno una decina di libri». In autunno uscirà il suo ultimo lavoro, I duri (Baldini & Castoldi). Sono racconti che hanno per protagonisti dei personaggi del mondo del carcere, per testimoniare che anche gli "avanzi di galera" sono esseri umani. Perché non si nasce mai "cattivi".
Accusato, assolto:
storia processuale dell’imputato Naria
storia processuale dell’imputato Naria
Giuliano Naria nasce a Genova nel 1947. Nel giugno 1976 vengono uccisi dalle Brigate rosse il procuratore generale di Genova Coco e i due uomini della scorta. Naria viene arrestato in Valle d’Aosta nell’agosto 1976 con l’accusa di aver partecipato, nell’ottobre 1975, al sequestro del capo del personale dell’Ansaldo Casabona. Viene prosciolto prima nel 1976 poi nel 1985. Nel frattempo un nuovo mandato di cattura lo indica come uno degli assassini del procuratore Coco.
Nel 1980 Naria è processato a Torino per l’omicidio Coco: il processo viene sospeso. Lo stesso anno ad Aosta viene condannato a 5 anni per banda armata. Nel 1983, riprocessato a Torino per l’omicidio Coco, è assolto per insufficienza di prove. In appello, nell’aprile 1985, è assolto con formula piena dall’accusa di omicidio.
Intanto, nell’ottobre 1984 il tribunale di Trani lo condanna a 17 anni per aver fatto da telefonista durante la rivolta nel carcere locale. Si ammala di anoressia. Nell’agosto 1985 ottiene gli arresti domiciliari: esce dal carcere dopo avervi passato 9 anni e 16 giorni. Nel novembre 1985 viene assolto anche dalle accuse per la vicenda di Trani. Sospettato del sequestro del giudice D’Urso, le accuse si rivelano infondate. Nel gennaio 1986 ottiene la libertà provvisoria per decorrenza dei termini. Nel febbraio 1991 è assolto dall’accusa di insurrezione armata contro lo Stato.
Carlo Remeny
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