Quando Pensatoio e KK se le dicono di santa ragione.
"Cosa è successo al Marxismo in Italia".
Sintetizzare in poche frasi quello che è il nocciolo della sua critica all'articolo non è una cosa semplice, diciamo che (per quello che ho inteso) più che a categorie economiche (secondo KK), nella sua pretesa di re-distribuire tra i diversi fattori della produzione la ricchezza prodotta, Lunghini fa riferimento ad astratte "norme" di carattere "giuridico" e "morale" senza fornirne un criterio.
Altra questione messa in evidenza dal post di KK è la seguente:
Tra le cose che Marx ha scritto prendiamo un estratto dei Gundrisse in cui possiamo capire ciò che in lui pensava sull'argomento:
"Gli economisti borghesi vedono soltanto che con la polizia moderna si può produrre meglio che, ad es., con il diritto del più forte [la borghesia che oppone il proprio diritto alla forza del signore feudale, laico od ecclesiastico]. Essi dimenticano soltanto -prosegue Marx- che anche il diritto del più forte è un diritto [infatti è sempre esistita una legislazione anche sotto il Medioevo] e che il diritto del più forte continua a vivere sotto altra forma anche nel loro 'Stato di diritto'"
Possiamo dire, sviluppando il suo pensiero, che "è cambiata la forma ipocrita in cui si cela il primato della forza" in quanto tutti i cittadini sono formalmente uguali davanti alla legge?
Questa è una esplicitazione di ciò che è la struttura portante del pensiero Marxista, la constatazione che non esiste un "diritto" naturale o principi eterni ed immutabili, ma che tale fatto (in questo caso distribuzione)è l'esplicitazione di un rapporto "sociale" che sancisce in quel particolare contesto di relazione economica (in questo caso il capitalismo) ed in funzione dei rapporti di forza esistenti tra le classi (capitalisti, salariati)un diritto.
Da questo punto di vista il "consiglio di Lunghini" per un borghese è un buon consiglio. E di questo ne dovrebbe tenere conto. Certo è che un marxista o un comunista non si accontenterebbe solo di quello (in quanto al comunista interessano il possesso dei "mezzi di produzione").
Però la differenza esiste.
Ora, poiché ritengo stupido sprecare "risorse" e "tempo" per scrivere ciò che al riguardo gente più brava di me ha scritto (ammesso che bravo io lo sia) lascio ad un estratto preso da Homolaicus l'esplicitazione del mio pensiero:
"Ai tempi di Marx l'economia politica borghese continuava a ritenere il capitalismo il migliore sistema sociale di tutti i tempi, al punto che non ce ne sarebbe stato un altro. Questa era anche l'opinione della politica dominante in tutti i paesi capitalistici. Solo il socialismo utopistico aveva messo in crisi queste certezze, ma senza ottenere risultati apprezzabili sul piano pratico. Non deve stupire, in tal senso, la scarsa considerazione in cui si tenevano le teorie di Marx, se si esclude -e ciò stupiva e ammirava lui stesso- la Russia populista.
Marx esordisce a p. 12 dicendo che secondo lui le connessioni poste dagli economisti borghesi relativamente ai concetti di produzione, distribuzione, scambio e consumo sono "superficiali". E a p. 13 fa notare che "gli avversari degli economisti politici" si sono già accorti che non si possono "dissociare barbaramente cose che sono invece connesse". Questi avversari sarebbero i "belletristi socialisti" ma anche alcuni "economisti prosaici", come p.es. Say. Marx qui non fa citazioni, anzi sembra piuttosto evasivo, limitandosi a parlare di avversari "all'interno e all'esterno" del campo degli economisti politici. Il motivo di ciò probabilmente dipende dal fatto ch'egli non sembra nutrire particolare considerazione per questi critici, in quanto afferma ch'essi "o stanno sul loro [dei suddetti economisti] terreno o stanno al di sotto di loro"(ib.).
In sostanza il problema che i critici degli economisti borghesi pongono è relativo al fatto che per quest'ultimi la produzione viene concepita come "troppo esclusivamente fine a se stessa", mentre "la distribuzione avrebbe un'importanza altrettanto grande"(ib.).
Il socialismo utopistico infatti puntava molto sulla "distribuzione", in quanto con questa categoria, che implica dei processi di carattere etico-sociale, si poteva meglio affrontare la questione della democraticità della società borghese.
Insomma il problema che Marx vuole affrontare in questo capitolo è quello di capire in che rapporto stanno produzione e consumo, poiché in astratto (o nelle pubblicazioni degli economisti borghesi) tutto sembra funzionare perfettamente: produzione e consumo praticamente coincidono, in quanto si supportano reciprocamente, in una sorta di mutuo condizionamento, ma in concreto, nella realtà sociale del capitalismo sembra essere la produzione a dettare un ruolo egemonico e lo prova il fatto che tra produzione e consumo "s'interpone la distribuzione che, in base a leggi sociali, determina quale quota della massa dei prodotti spetti al produttore"(p. 19). Infatti sotto il capitalismo "il ritorno del prodotto al soggetto [che lo produce] dipende dalle relazioni in cui questi si trova con altri individui. Egli non se ne impossessa immediatamente"(ib.); sicché in altre parole produzione e consumo non coincidono affatto, in quanto la distribuzione appare sempre squilibrata, iniqua, frutto dell'antagonismo sociale. Marx non si esprime esattamente così, ma non v'è dubbio che il suo pensiero sia questo.
Non stiamo forzando i testi. Si prenda p.es. quest'altro problema, esposto subito dopo da Marx con una frase apparentemente enigmatica: "quando egli [l'operaio] produce nella società, l'appropriazione immediata del prodotto non è il suo scopo"(ib.). Che significato ha questa frase buttata lì? Semplicemente che la finalità della produzione capitalistica è la valorizzazione progressiva del capitale, non la soddisfazione dei bisogni. Marx non ne parla perché dà per scontata la risposta. I Gründrisse sono diari di lavoro, non dimentichiamolo. Già nei Manoscritti del 1844 egli aveva detto che l'operaio non produce affatto per consumare ciò che produce.
A suo parere -e qui veniamo al punto forte di contrasto tra il socialismo scientifico e quello utopistico- il problema non è quello di come intervenire sul versante della distribuzione, al fine di cambiare, in favore dell'operaio, il rapporto tra produzione e consumo, ma è quello di come intervenire direttamente sulla produzione, poiché "il modo determinato in cui si partecipa alla produzione determina le forme particolari della distribuzione, la forma in cui si partecipa alla distribuzione"(p. 20).
Su questo problema di natura economica ovviamente s'innesta quello di natura politica, i cui termini di confronto oggi vengono affrontati con maggiore flessibilità: riforme sociali, in direzione di un mutamento progressivo della distribuzione nell'ambito del sistema capitalistico, o rivoluzione politica, in direzione della conquista del potere per un ribaltamento immediato del modello capitalistico di produzione? Marx propendeva per questa seconda soluzione e il suo radicalismo lo porterà a rompere molto presto con tutto il socialismo utopistico.
Gli economisti borghesi, dal canto loro, erano su questo aspetto ancora più astratti dei socialisti utopisti, poiché nella distribuzione non vedevano neppure i problemi connessi ai conflitti di classe. Marx dice che secondo loro "la distribuzione si presenta come distribuzione dei prodotti e quindi essa è ben lontana dalla produzione e quasi autonoma rispetto ad essa"(p. 21). Gli economisti avevano interesse a mostrare questa diversità, in quanto non volevano che i critici della distribuzione ineguale facessero ricadere sulle forme della produzione i motivi dello scompenso tra produzione e consumo. Per il resto erano tranquillamente disposti ad ammettere che tra produzione e consumo vi fosse identità o reciproco condizionamento, ed erano del tutto indifferenti al fatto che -prosegue Marx- "all'origine, l'individuo non possiede alcun capitale, alcuna proprietà fondiaria. Fin dalla nascita esso è assegnato al lavoro salariato dalla distribuzione sociale"(ib.)."
L'ARTICOLO SUL MANIFESTO
Secondo la teoria economica dominante (la teoria neoclassica, quella che viene insegnata nella maggior parte dei corsi universitari e praticata poi dai responsabili delle politiche economiche nazionali e sovranazionali), il prodotto sociale dovrebbe essere distribuito tra i diversi «fattori» della produzione in proporzione al contributo che ciascuno di questi fattori ha dato al prodotto. Ai proprietari delle risorse naturali, finanziarie o tecnologiche, la rendita; ai proprietari del capitale il profitto; ai lavoratori i salari. Dal punto di vista teorico la questione è molto complicata, tuttavia la rendita dipende soltanto dal diritto di proprietà e l'unica giustificazione ragionevole dei profitti è il lavoro di direzione e il compenso per il rischio. Che i lavoratori abbiano un ben fondato diritto ad alti salari, se non proprio a tutto il prodotto, dovrebbe essere pacifico. Gli stessi cultori della teoria dominante dovrebbero convenire che se il prodotto sociale si riduce, chi non ne ha meritato una parte dovrebbe restituire il maltolto. In generale per via fiscale, in molti casi per via giudiziaria".(http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20090303/pagina/01/pezzo/243603/ )
Commenti
Tra l'altro stai mettemdo sul blog materiale che sarebbe interessantissimo discutere, ma il tempo è proprio poco (ormai da fine Luglio).
Grazie comunque per lo sforzo che fai di mettere raziocinio e polpa in una polemica che si trascina troppa scorza appresso