Il diritto dei figli di difendere i genitori, il dovere nostro di mandarli a fanculo

La vicenda farsesca di berlusconi padre,oggetto degli strali di Franceschini, merita solo qualche semplice copia ed incolla affinché rimanga ai figli la possibilità di difendere l'onore dei genitori.
Per questo lasciamo la parola a quella poveraccia di Marina Berlusconi a cui forse il famoso stalliere strigliò il pony, alla figlia di quel gentleman di Totò Riina e,per finire, alla figlia di Benitone Mussolini. Quella a cui il padre,per amor di patria, fucilò il marito; che entra di sbieco in un'interessante articolo di Pieroni Alfredo sull'Unità.



«Ma quale diritto ha di dire anche una parola, una sola, su Berlusconi padre? Io questo diritto ce l'ho e stavolta non intendo restar zitta. Vuol fare una domanda agli italiani? Gli rispondo da italiana, che è mamma e che ha avuto la fortuna di avere un genitore come Silvio Berlusconi. E parlo di fortuna non per il cognome che porta o per quello che ha fatto, ma per il padre che è stato e che è. Mio padre ha sempre lavorato tanto, ma non c'è stata una volta, una volta sola, in cui io non l'abbia sentito vicino quando ne avevo bisogno. E vicino nel modo giusto, a seconda delle situazioni: una presenza forte, se di quella avevo bisogno; o discreta, sfumata, se era la cosa giusta. Mi ha fatto sentire sempre molto amata, rispettata come figlia e come donna. Ha sempre compreso e sostenuto le mie scelte. Ma cosa ne sa Franceschini di me, di noi...».
-intervista a Marina Berlusconi, fonte corriere della sera

Sembrerà strano ma uomo di onore è.

"Sembrerà strano... mio padre viene presentato come un sanguinario, crudele, quasi un animale, uno che addirittura avrebbe fatto uccidere anche i bambini. Ma a me, come figlia, tutto questo non risulta. So io quello che mi ha trasmesso. Educazione. Moralità. Rispetto. E quando parlo di rispetto non parlo in quel senso, in senso omertoso. La persona che io sono ora, è quella che mio padre e mia madre hanno lasciato".

Si rende naturalmente conto che c'è un contrasto nettissimo tra come suo padre è descritto in centinaia di sentenze e come lo sta descrivendo lei adesso. Come può parlare di moralità e di rispetto una persona che ha fatto uccidere tanti uomini?
"Ecco perché ho detto che vi sembrerà strano, ma mio padre per me è così. E io così l'ho vissuto e così lo vivo ancora".
Intervista alla figlia di Totò Riina


Una volta era anticlericale e socialista rivoluzionario (sic!),poi firmò i patti lateranensi e promosse opere di bene per gli Italiani . Famiglie comprese.

La vera storia di Ida: la prima moglie


di Alfredo Pieroni

Anni or sono un editore americano mi chiese di convincere Edda Ciano a scrivere un libro biografico ma soprattutto politico su «Mussolini mio padre». Benché malvolentieri (perché il compito materiale di scriverlo sarebbe toccato a me) affrontai l’argomento. Parlammo a lungo e confidenzialmente. Da un pianoforte ci guardava quasi sorridente una di quelle foto del Duce come ne avevo visto a migliaia. Ma la firma non era quella con la famosa M volitiva. Diceva: «Il tuo papà». Alla fine Edda pose una mano su una delle mie: «Siamo sinceri, caro Pieroni. Noi due ci rendiamo conto che in un libro come chiede lei io dovrei accusare mio marito di aver tradito il suo Capo, mio padre. Poco dopo dovrei accusare mio padre di avere ucciso il padre dei miei figli. Una tragedia greca, non le pare?». Ora dovrei narrare una seconda tragedia greca, sempre attinente alla famiglia Mussolini: il fatto (o il Fato) che Mussolini abbia fatto morire in manicomio prima una donna che aveva amato, e secondo alcuni sposato, Ida Dalser, e in seguito il figlio che da lei aveva avuto e che aveva riconosciuto legalmente, Benito Albino Dalser Mussolini. Ho riflettuto su questa definizione di «tragedia greca», perché è tutt’altro che estranea a quanto dovrei scrivere. Infatti, saremmo nella tragedia greca se una forza oscura e sovrumana avesse portato madre e figlio a morte: in greco la forza oscura sarebbe detta tyche e in italiano Fato. Ma saremmo in qualche modo nella tragedia greca anche se una forza oscura avesse imposto a Mussolini di indurre o condurre a morte madre e figlio. Due ipotesi che sembrano contrastanti, ma che forse non lo sono. Anche nei termini di una moderna inchiesta giornalistica la faccenda è complicata. Dovremmo stabilire se Mussolini ha fatto uccidere i due congiunti o non si è curato di impedirne la morte. Fa differenza? La lingua italiana ritiene che nel Fato sia contenuta una necessità suprema e ineluttabile o potere misterioso e incontrastato. Ne hanno trattato scrittori un po’ più quotati di noi, come Eschilo, Sofocle ed Euripide, e persino Omero. Eschilo, in particolare, non si occupava tanto dell’uomo quanto del suo destino. Con Sofocle ed Euripide si fa già strada l’idea della responsabilità e della moralità degli uomini. Noi moderni siamo ormai tutti di questa seconda tesi. A volte tuttavia le vicende restano oscure. Nei fatti che mi propongo di raccontare non c’è assolutamente alcuna prova che Mussolini abbia ucciso la propria amante e il proprio figlio. Ma ha fatto in modo che accadesse? Oppure poteva impedire che accadesse e si è astenuto? Oppure la morte è arrivata per un concatenarsi di fatti, per l’appunto, oscuri? Ma soltanto oscuri oppure anche sovrumani? Il mio destino, in questo momento, è di tentare di districarmi fra tante oscurità e provare a fare chiarezza.
***
Mi rendo conto che certe divagazioni pseudofilosofiche nelle parole di un giornalista possono stupire. La verità è che io condussi un’inchiesta su queste vicende molti anni or sono e credetti di poter concludere che tanto la Dalser quanto il figlio, a molta distanza di tempo, fossero fatti morire in manicomio, e che il responsabile fosse Mussolini. Oggi niente è cambiato. I due morirono in manicomio in circostanze perlomeno sospette. E nelle due vicende Mussolini resta il personaggio centrale. Se mi si chiede di ripetermi, sono però costretto a riflettere anche a ragione di alcune recentissime scoperte. Sul primo caso, quello di Ida Dalser, niente sembra cambiato. La signora aveva un carattere assai difficile e sicuramente dava fastidio a Mussolini, che era diventato il padrone d’Italia. Sono vissuto in gioventù a Trento, dove era vissuta anche lei, e le autorità erano turbate dal fatto che lei raccontava a tutti , anche a passanti sconosciuti, e in termini esaltati, che Mussolini era stato il suo amante e le aveva dato un figlio. Con questo figlio si fermava spesso davanti alle edicole e gli indicava le foto di Mussolini. «Guardalo - diceva - Quello è tuo padre, è un fior di mascalzone». Io stesso ho avuto per le mani lettere che lei aveva scritto a Mussolini, al re, al papa al prefetto. Questo non faceva di lei una malata di mente. Ma anche i più generosi ammettevano che «un po’ matta lo è». Quello che mi ha sempre colpito e anche sdegnato è che, verso i 26 anni, anche il figlio finì nel manicomio di Mombello, a Milano, mentre lei era stata internata a Pergine, nei pressi di Trento. Quel che mi ha più sdegnato, pochi giorno or sono, è di aver saputo che il giovane Benito Albino era stato sottoposto a una cura di insulina con una serie di iniezioni che lo mandarono in coma ben nove volte. Questa mi sembrava la certezza che lo volessero uccidere perché - pensavo - non si fanno tante iniezioni capaci di mandare in coma un uomo giovane e sano. Ma dei medici mi hanno spiegato che quella vecchia cura, simile all'elettroshock aveva proprio lo scopo di indurre uno stato comatoso, che non poteva avere conseguenze letali, ma serviva a condurre delle analisi che in altro modo non sarebbero state possibili. Nessuno mi leva di mente che, volente o non volente, il motore diretto o indiretto di tutto fosse Mussolini. E se gli esecutori dei misfatti non fossero mandati dal Duce, ma irresponsabili esecutori di desideri che, a ragione ma forse a torto, gli si attribuirono? E se, addirittura, madre e figlio avessero davvero una vena di pazzia? Non mi sembra, del resto, che la psichiatria vada considerata una scienza proprio esatta.
***
Proviamo a ricostruire i fatti. Quello tra la Dalser e Mussolini fu vero amore. Ho avuto per le mani gli originali di alcune lettere che lui aveva scritto a lei. Una, di stile caratteristicamente mussoliniano, potrei citarla a memoria. In un’altra scriveva: «Ti ho nel sangue, mi hai nel sangue». Qualcuno ricorderà che egli aveva usato proprio le stesse parole la sera del 24 novembre 1914 davanti all’assemblea della sezione milanese del Partito socialista nel Teatro del Popolo di Milano. Pallido, affranto, dopo aver constatato che tra fischi e urla lo espellevano dal partito, gridò quasi la stessa frase che in quei giorni, forse la sera precedente, aveva usato con la Delser. La frase fu riportata due giorni dopo sul «Popolo d’Italia»: «Quella gente che mi ha espulso mi ha nel sangue e mi ama». Durante il dibattito l’attenzione di tutti fu attratta da una donna che schiaffeggiava di santa ragione un troppo acceso detrattore di Mussolini. Fa pensare a una lettera che mi hanno regalato al manicomio di Pergine. L’aveva scritta al Santo Padre su un foglio di protocollo la Dalser, ma come le altre non era stata spedita: «L’uomo che ho adorato, difeso, curato quando era ammalato, seguito come un’ombra nei comizi, nelle dimostrazioni... rendendolo padre di un’adorabile creatura che è il suo ritratto vivente... E tutto questo? Non certo per le sue ricchezze... L’ho adorato, mi ha adorata, prometteva di fare di me la più invidiata delle donne. Io non domandavo altro che di fare di me la più amata...» Il 20 ottobre qualcuno assalì a mano armata Mussolini per punirlo di aver lasciato «l’Avanti» ed essersi dichiarato interventista. La Dalser gli parò il colpo. Lui passava un periodo difficile. Senza giornale e senza mezzi, doveva trovare il modo di procacciarsi l’uno e gli altri. Ida non esitò. Liquidò un suo Salone di bellezza, mise a pegno i gioielli, depositò contro sovvenzione i mobili del suo appartamento di via Ugo Foscolo. Quando Benito riuscì a riprendersi, toccò a lui di aiutare lei. Ho sempre avuto in casa una sua letterina che che finiva con un postcritto: «Ti lascio un po’ di mitraglia», cioè del denaro. Insomma, fu amore. Il 31 agosto lui, che non aveva pensato a presentarsi volontario per la guerra, fu richiamato con la classe dell’84. Ida gli scrisse al fronte che l’11 novembre era nato un loro figlio, che si sarebbe chiamato Benito come lui e Albino come il padre di lei. Non ebbe risposta, ma le arrivò un telegramma dell’Ospedale di Riserva di Treviglio: «Bersagliere Mussolini qui ricoverato per ittero catarrale». Ida andò subito a Treviglio col neonato. Lui le assicurò che le loro faccende avrebbero trovato sistemazione per sempre. Era il 18 dicembre. Il giorno prima, il 17, in quello stesso ospedale Mussolini aveva sposato civilmente Rachele, dalla quale aveva avuto una figlia, Edda, già l’1 settembre 1910. Era, come tutti sappiamo, un uomo di molte sorprese e di non poche donne. L’11 gennaio a Milano davanti al notaio Vittori Buffoli e a due testimoni dichiarò per iscritto che il neonato era suo figlio e che «al momento della nascita di tale mio figlio io non avevo nessun vincolo matrimoniale con alcuna donna». Nell’ottobre il Comune di Milano emise una dichiarazione: «Il sindaco del suddetto Comune dichiara che la famiglia del militare Mussolini è costituita dalla moglie Ida Dalser e da figli numero uno... Le cose si complicarono. Il figlio fu riconosciuto, ma il padre rifiutò di vedere tanto lui quanto la madre. Fu costretto a vederli il 31 luglio del 1916 in tribunale perché accusato di «seduzione e mancata promessa di matrimonio». Il giudice lo condannò a pagare alimenti per 200 lire mensili. Non fu invece riconosciuta la seduzione perché non se ne riconobbero i presupposti giuridici. Ma soprattutto perché nel 1914 la Dalser aveva mosso le stesse accuse a un certo prof. Brambilla, che pare fosse amministratore della Visconti di Modrone, e aveva perso la causa. Il resto è piuttosto noto. C’era la guerra e Ida Dalser, cittadina austriaca, non poteva tornare né a Trento né a Sopramento. La vicenda riprende più tardi, a guerra finita, quando il dissidio tra i due diventa anche un dissidio tra fascisti e antifascisti. Guardata a vista dalla polizia, la Dalser riuscì a raggiungere Roma, pare nel ‘24. Qui le assicurano di farle incontrare Mussolini, la fecero salire in automobile e la condussero invece alla casa di salute Carlo Alberto dove imposero al direttore di internarla. Il primario la visitò e rifiutò il ricovero. La polizia la riportò a Sopramonte. Saltiamo due anni. Il 19 giugno 1926 Ida seppe che a Trento era atteso il ministro Fedele, che aveva conosciuto. Tentò di raggiungerlo, ma fu arrestata e condotta al manicomio di Pergine. Era davvero matta oppure, come si dice, «aveva dato fuori da matta» come sarebbe accaduto a chiunque in quelle circostanze? Di qui ricordo solo alcune frasi di una lettera: «... Dei giorni sento per te una grande pietà, poiché ti vedo abbandonato... Contro i cattivi colpi del destino non farti potente della tua posizione... Domani potrebbe suonare l’ora dell’espiazione terribile e implacabile... Tutti ti abbandoneranno...». Forse meno drammatica, ma non migliore, fu la fine del figlio Benito Albino Dalser Mussolini. Era un giovanotto talmente sano che fu arruolato in marina. Al ritorno da una lunga crociera in Estremo Oriente non gli fu mai concesso di vedere la madre\, anzi gli fecero credere che fosse morta. Invece era stata trasferita dal manicomio di Pergine a quello di Venezia e poi di nuovo a Pergine. Benito Albino poteva solo diventare scandaloso, quando Mussolini era al suo apogeo del suo potere, perché era giovane e sano. Il suo amico Giacomino Minella, che è ancora vivo, mi ha raccontato dei loro rapporti. Ma anche per lui calato il silenzio. Il Benitino fu rinchiuso nel manicomio di Mombello. Perché? Dalle cartelle cliniche non risulta quasi nulla. La madre era morta nell’ospedale di Venezia il 3 dicembre del 1937. Benito Albino muore il 26 agosto del 1942 a 26 anni. Causa della morte sarebbe il «marasma», che sarebbe una progressiva e alla fine totale consunzione soprattutto psichica. Fu avvertito - fate attenzione alle parole - «chi di dovere». Naturalmente l’autopsia non fu ritenuta necessaria né, probabilmente, opportuna. Questa è la storia di due vite angosciose e di due morti se non impropriamente inflitte sicuramente indotte, cioè prodotte, fosse pure solo da sofferenze psichiche. I fatti sono incontrovertibili. I particolari sono oscuri. Ogni volta che ho indagato (e sono cinquant’anni) ho avuto ben pochi chiarimenti. Oggi è troppo tardi per conoscere tutta la verità. Non possiamo più neppure chiedere «a chi di dovere».



Commenti

Andrea Ciccarelli ha detto…
Ciao, 
sono Andrea Ciccarelli di Theblogtv - http://www.theblogtv.it/  (società di produzione user generated in Europa). Scusa l'intrusione nel tuo blog.

Attualmente stiamo lavorando a un format per Rai Educational dedicato al giornalismo cittadino. La raccolta dei materiali (video, foto, articoli) che saranno inseriti nelle puntate è solamente all’inizio e Rai Educational lancerà prossimamente uno spot per promuovere la partecipazione degli utenti in rete.

Ho potuto vedere il blog che hai costruito (molto bello!) penso che potresti collaborare ai contenuti delle puntate; per questo ti chiedo, se pensi che il progetto possa interessarti, di contattarci per avere ulteriori informazioni.

Chi partecipa può segnalare i contenuti dal nostro sito (www.theblogtv.it) e, a breve, potrà farlo anche dal sito ufficiale della trasmissione. L'iscrizione è naturalmente gratuita. Spero tu sia interessato a partecipare a questo progetto.

Fammi sapere che ne pensi e per qualunque chiarimento in merito al progetto scrivimi alla mia mail andreaciccarelli@theblogtv.it

un saluto
Andrea 

La prima puntata sarà interamente dedicata al mondo del precariato

La flessibilità non è solo un attributo del lavoro ma una nuova condizione esistenziale. Un dramma per alcuni, un'opportunità per altri: nuovi spazi, nuovi tempi e nuove frontiere si aprono per i più e meno giovani, allergiche al cartellino da timbrare.
Nel corso di questo viaggio nell'Italia del precariato e della crisi vogliamo raccontare storie di individui che la società spinge al margine e le opportunità di chi nella crisi vede la possibilità per una crescita. Invia il tuo contributo, racconta il mondo del lavoro al tempo del precariato

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