Polemica con il Manifesto
21.05.2009
Potenza dell'Onda. Il conflitto picchia dove la sinistra trema!
Che la Sinistra non stesse troppo bene lo sapevamo da tempo; che il Manifesto avesse scelto -non da ieri - di bocciare, occultare e (freudianamente) rimuovere ogni pratica ed espressione di radicalismo che andasse aldilà dell'intenzione, anche. Certo non ci si poteva aspettare che una critica un po' più dura sulle sue scelte editoriali scatenasse un'offesa tanto solenne. L'isteria sembra molto più di casa in via Tomacelli che nella penna di Raparelli che ha espresso - senza troppi fronzoli - un sentimento condiviso dalla pressoché quasi totalità dei/lle partecipanti al corteo di martedì. Una riunione pre-corteo decideva la volontà di violare la Zona Rossa. Un'assemblea pubblica a fine giornata registrava l'assunzione complessiva (di tutte le città presenti) delle pratiche mese in campo.
Quello che il "quotidiano comunista" non riesce proprio ad ammettere è che un movimento sociale (se si preferisce, una parte di esso - ma quanto determinante?) si costituisca in soggetto che sceglie e pratica il proprio livello di conflittualità, senza chiedere il permesso alla sinistra casta dei moralizzatori della stampa radical italiana.
Le compagne e i compagni di Uniriot sarebbero quindi affetti da paranoia sociale perché non si sarebbero accorti che l'articolo era stato inviato a redazione chiusa... Difficile crederci! La scorsa domenica il giornale usciva con un articolo trito nella retorica e triste nella finalità. Un articolo che mirava a riproporre la (questa sì) rituale contrapposizione tra "buoni" e "cattivi", appena velata nella riformulata dicotomia tra "vera" e "falsa" anima dell'Onda.
Il Manifesto ha letto il programma della 3 giorni "Block It"? Ne ha seguito i momenti di dibattito e assemblea? No! E ne eravamo certi! Bastava il reportage di Ravarino a dare l'ultima parola sul chi è legittimamente Onda e chi no.
Gli studenti e le studentesse dell'Onda Anomala torinese che hanno costruito (con tutte le altre articolazioni nazionali) la campagna e la 3 giorni contro il G8 si facevano, sotto sotto, grosse risate, chiedendosi: cosa scriveranno mercoledì, dopo una manifestazione che porterà in piazza migliaia di persone...? Saranno in gradi di correggere il tiro, ammettere di essersi sbagliati e ridare a ognuno peso, merito - anche le critiche, certo ma con un po' di onesta intellettuale - che gli spettano?
Il resoconto del giorno dopo certo non è stato "infame". Non si poteva non notare però la difficoltà e l'imbarazzo della redazione nel trovarsi di fronte un risultato che essa non avrebbe mai voluto vedere, ma che è stato il prodotto della scelta consapevole dell'Onda. Non si riusciva proprio a prendere atto che quegli studenti e quelle studentesse, quei precari e quelle precarie, avessero optato per un segnale tanto forte!
Da queste latitudini (torinesi) ci torna in mente una vicenda, differente per i soggetti coinvolti e le poste in gioco ma anche allora identicamente affrontata con pregiudizio. Ci riferiamo alla campagna sul Salone del Libro contro la scelta d'invitare Israele come ospite d'onore. Già allora avevamo notato una certa faziosità del vostro giornale. Un editoriale di Parlato pretendeva di chiudere la vicenda: non c'era critica possibile pena l'accusa di antisemitismo di sinistra. Salvo poi un reportage di Luca Fazio che aveva dovuto ammettere che si era trattato di una campagna (e di una manifestazione) gestita in maniera "pulita".
L'Onda non sembra nemmeno meritare un riconoscimento ex-post.
Con queste poche righe ci tenevano a rimettere alcuni puntini sulle "i" di fronte alle responsabilità politiche e culturali che un giornale come Il Manifesto dovrebbe preoccuparsi di osservare, a meno di scivolare nell'indistinta ricerca di un bon ton politico che non fa male - né serve - a nessuno. Senza risentimenti, sarebbe davvero il caso di riaprire il dibattito...
La domanda pressante in fondo non è la lettura - positiva o negativa - che si vuole dare della manifestazione di martedì 19 maggio a Torino. La domanda, ben più pressante, è: perché il conflitto, tanto seducente quando si svolge in un altrove più o meno esotico, diventa tanto ostile e così ossessivamente da rimuovere quando si esprime nel qui ed ora delle nostre metropoli?
Quello che il "quotidiano comunista" non riesce proprio ad ammettere è che un movimento sociale (se si preferisce, una parte di esso - ma quanto determinante?) si costituisca in soggetto che sceglie e pratica il proprio livello di conflittualità, senza chiedere il permesso alla sinistra casta dei moralizzatori della stampa radical italiana.
Le compagne e i compagni di Uniriot sarebbero quindi affetti da paranoia sociale perché non si sarebbero accorti che l'articolo era stato inviato a redazione chiusa... Difficile crederci! La scorsa domenica il giornale usciva con un articolo trito nella retorica e triste nella finalità. Un articolo che mirava a riproporre la (questa sì) rituale contrapposizione tra "buoni" e "cattivi", appena velata nella riformulata dicotomia tra "vera" e "falsa" anima dell'Onda.
Il Manifesto ha letto il programma della 3 giorni "Block It"? Ne ha seguito i momenti di dibattito e assemblea? No! E ne eravamo certi! Bastava il reportage di Ravarino a dare l'ultima parola sul chi è legittimamente Onda e chi no.
Gli studenti e le studentesse dell'Onda Anomala torinese che hanno costruito (con tutte le altre articolazioni nazionali) la campagna e la 3 giorni contro il G8 si facevano, sotto sotto, grosse risate, chiedendosi: cosa scriveranno mercoledì, dopo una manifestazione che porterà in piazza migliaia di persone...? Saranno in gradi di correggere il tiro, ammettere di essersi sbagliati e ridare a ognuno peso, merito - anche le critiche, certo ma con un po' di onesta intellettuale - che gli spettano?
Il resoconto del giorno dopo certo non è stato "infame". Non si poteva non notare però la difficoltà e l'imbarazzo della redazione nel trovarsi di fronte un risultato che essa non avrebbe mai voluto vedere, ma che è stato il prodotto della scelta consapevole dell'Onda. Non si riusciva proprio a prendere atto che quegli studenti e quelle studentesse, quei precari e quelle precarie, avessero optato per un segnale tanto forte!
Da queste latitudini (torinesi) ci torna in mente una vicenda, differente per i soggetti coinvolti e le poste in gioco ma anche allora identicamente affrontata con pregiudizio. Ci riferiamo alla campagna sul Salone del Libro contro la scelta d'invitare Israele come ospite d'onore. Già allora avevamo notato una certa faziosità del vostro giornale. Un editoriale di Parlato pretendeva di chiudere la vicenda: non c'era critica possibile pena l'accusa di antisemitismo di sinistra. Salvo poi un reportage di Luca Fazio che aveva dovuto ammettere che si era trattato di una campagna (e di una manifestazione) gestita in maniera "pulita".
L'Onda non sembra nemmeno meritare un riconoscimento ex-post.
Con queste poche righe ci tenevano a rimettere alcuni puntini sulle "i" di fronte alle responsabilità politiche e culturali che un giornale come Il Manifesto dovrebbe preoccuparsi di osservare, a meno di scivolare nell'indistinta ricerca di un bon ton politico che non fa male - né serve - a nessuno. Senza risentimenti, sarebbe davvero il caso di riaprire il dibattito...
La domanda pressante in fondo non è la lettura - positiva o negativa - che si vuole dare della manifestazione di martedì 19 maggio a Torino. La domanda, ben più pressante, è: perché il conflitto, tanto seducente quando si svolge in un altrove più o meno esotico, diventa tanto ostile e così ossessivamente da rimuovere quando si esprime nel qui ed ora delle nostre metropoli?
La redazione di Infoaut_Torino
Il manifesto offeso: La rivolta di Torino e Il Manifesto
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