Bentornato Marx


Bentornato, Marx

Pubblichiamo la rubrica Cantieri sociali, in uscita il 30 luglio su il manifesto.

Confesso che è con una certa, maligna soddisfazione che abbiamo deciso, e fatto, la copertina dell’Almanacco di Carta [un numero monografico di 100 pagine che resterà in edicola fino al 27 agosto] con un gran faccione i cui lineamenti sembravano essersi dissolti nell’oblio: quello di Karl Marx.

L’Almanacco è dedicato alla Grande Crisi, il cui peggiori effetti – tutti dicono – precipiteranno in autunno su lavoro e reddito, migranti e territorio [le leggi sull’edilizia che le Regioni stanno approvando a ritmo accelerato promuovono una economia stracciona e predatoria per supportare l’illusione della «ripresa»]. E questa Crisi [la scrivo con la maiuscola per non confonderla con le crisi minori che si sono susseguite negli ultimi due decenni] è talmente radicale e aggrovigliata, tra cause finanziarie e produttive, sociali e democratiche [a proposito di chi comanda nella globalizzazione], e ovviamente naturali [la crisi climatica], da zittire, almeno temporaneamente, la falange di «economisti di sinistra» che da anni ci spiegano, con supponenza, come la soluzione sia tornare a Keynes, al controllo statale sull’economia, al «deficit spending» e all’allargamento dei consumi.

Ma siccome il pianeta non è un serbatoio inesauribile di materie prime, siccome lo stile di vita occidentale non è esportabile in tutto il pianeta [perciò l’economia capitalista si è trasformata in una macchina per selezionare ed escludere], siccome di indebitamento ce n’è per i prossimi tre secoli [e oggi si aspetta il crollo del sistema statunitense delle carte di credito], siccome l’uscita di sicurezza della produzione «immateriale» contraddice se stessa [secondo Michael Hardt, il co-autore di «Impero», del quale pubblichiamo un breve saggio inedito], e siccome gli Stati non sono enti neutri né tanto meno addetti al pubblico benessere e invece sono i guardiani del capitale e i tutori delle banche [di intervento «pubblico» ne abbiamo visto molto, in questi mesi, ma tutto nella direzione sbagliata], ecco che alzandosi sulla punta dei piedi conviene guardare oltre Keynes, e il suo contesto «fordista», fino a Marx. Se non altro, per prendere atto che la Crisi è sistemica, non solo «ciclica»: non è cioè una burrasca dopo la quale, come vorrebbe far credere il gaudente Berlusconi, gli affari ricominceranno come prima, un’allargatina alle cubature di casa qui e una centrale nucleare là.

Dunque ci chiediamo, insieme al citato Hardt, a Tonino Perna, a Andrea Fumagalli e a Paolo Cacciari [il quale affronta la questione del lavoro dal punto di vista dell’impossibilità della «crescita infinita»], perché anche i grandi media anglosassoni, fuori dalla provincia italiana, siano tornati a leggere il vecchio tedesco ebreo comunista e clandestino. E per essere ancora più precisi, oltre alle analisi da vari punti di vista sulla Crisi, ad esempio quella di Antonello Ciccozzi sul perfetto esempio di «shock economy», come dice Naomi Klein, che Berlusconi e il suo profeta, Bertolaso, stanno apparecchiando a L’Aquila, e ai molti numeri raccolti ordinatamente da Alberto Castagnola in una ampia ricostruzione dell’andamento della recessione globale, raccontiamo storie di esseri umani: operai italiani e francesi, studenti, migranti «clandestini», gente della periferia di Detroit, argentini ingegnosi nell’inventare nuovi lavori, eccetera.

Il nostro scopo sarebbe di depositare negli zaini e nelle borse di chi, almeno per qualche giorno, se ne andrà in vacanza, roba interessante da leggere e buona per riflettere un po’ alla vigilia del diluvio. Tonino Perna, ad esempio, sostiene che le situazioni in cui chiunque sente in pericolo il suo benessere e le sue sicurezze di vita sono quelli tipici che spingono verso derive razziste e antidemocratiche. Alla ripresa di settembre avremo insieme la mietitura dei posti di lavoro e la potatura dei redditi, e la caccia al «clandestino» [già ora i migranti disertano ospedali e presidi sanitari, ad esempio], e una accelerazione della militarizzazione della vita sociale, incluse le «ronde». Tutto si tiene. E trovare gli antidoti, dal punto di vista economico e da quello democratico e sociale, richiederà non solo grande coraggio, ma un balzo all’insù dell’immaginazione, perché le ricette del passato appunto non sono più efficaci. Il faccione di Marx, da questo punto di vista, può essere incoraggiante.

Commenti

Unknown ha detto…
Se non altro aiuta ad arrovellarci di più.

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