Libertà e violenza


Prendo spunto da questa nota della mia amica Maria- Cristina Serban per proporre un dibattito che ha come oggetto il titolo di questo post.Gli interventi che seguono discutono del nesso tra libertà e violenza.La citazione è di Ludovico Geymonat

"La libertà è lotta. La tesi contraria è sostenuta di fatto da coloro che, avendo lottato e vinto in un passato più o meno lontano, hanno tutto l'interesse che non si lotti più, onde vengano conservati i loro privilegi. È sulla base di questa situazione parallela che qui abbiamo sostenuto l'inscindibile rapporto fra libertà e violenza. Molte esaltazioni, per lo più retoriche, della nonviolenza intesa come bene indiscutibile, sono un segno di ignoranza più che un frutto di raffinata sensibilità e di alta civiltà. (Ludovico Geymonat, "La Libertà", 1987)"

S A
La violenza, intesa come lotta, battaglia, combattimento (e non certo come violenza gratuita) è sicuramente un mezzo. In quanto tale è neutro, ma anche ha modo e tempo per essere utilizzato. Non solo: essa non è l'unico strumento per affermare la libertà, al contrario spesso all'interno di lotte e movimenti per la libertà la violenza si è rivelata controproducente, inutile, dannosa. La violenza, come la nonviolenza, non sono ben indiscutibili, tuttavia al contrario della violenza, la nonviolenza contiene un valore: il rispetto per l'altro.
La libertà è libertà. La lotta è lotta. Sono due cose diverse.

liberta`in senso di democrazia. Significa permettere alle persone di partecipare democraticamente alle decisioni pubbliche e ostacolare la privatizzazione di ogni attivita` finanziaria o pubblica.

Maria
Riconoscerei anche alla violenza un essenziale valore. Che corrisponde al valore del problema che (solo) la violenza può risolvere. La consapevolezza dei valori in gioco e la volontà di realizzarli, la convinzione morale in lotta, e non la santità, nel presunto possesso di una completa purezza delle convinzioni della volontà, sono poi una virtù.
La violenza non gratuita, appunto: la violenza insensata contrapposta frontalmente al mondo degli innocenti occhioni dei bambini sarebbe ingiustificabile.

Geymonat rifletteva sull'inscindibilità del nesso che intercorre spesso fra libertà e violenza. Quella citazione fa parte di un'analisi secondo cui la tesi che vorrebbe identificare la libertà con l'estinzione della lotta (e la morte dello spirito combattivo) è insostenibile. Afferma Geymonat: "la nostra analisi ha dimostrato l’insostenibilità della tesi che vorrebbe identificare la libertà con l'estinzione della lotta e la morte dello spirito combattivo.
Al contrario, la libertà è lotta continua perché sono continui gli ostacoli che si incontrano nell’attuazione dell’iniziativa scelta dall’individuo fra le varie iniziative [...] La via più semplice per eliminare tutte le difficoltà e i conflitti dei quali abbiamo parlato potrebbe essere quella di negare che la libertà sia lotta; ma in realtà non è una via praticabile, perché tutta la storia c'insegna che la libertà è ed è sempre stata lotta: lotta di un popolo che vuole liberarsi, lotta di individui che non intendono accettare l'asservimento ad altri, lotta del singolo che vuole abbattere gli ostacoli... La tesi contraria, secondo cui la libertà non sarebbe lotta, è sostenuta di fatto da coloro che, avendo lottato e vinto in un passato più o meno lontano, hanno tutto l'interesse che non si lotti più, onde vengano conservati i loro privilegi".
Dalla citazione di Geymonat mi pare sia manifesto che la cosiddetta "perfezione morale" è solo un ideale da sentire e al quale tendere; credere d'averla raggiunta una volta per tutte non sarebbe credere a cose impossibili?... Nell'uomo, secondo Kant, si può sì presupporre una volontà pura, ma non una volontà santa - ossia, incapace di massime in contrasto con la legge morale, la quale si dice essa stessa "santa"...

La libertà è libertà. La lotta è lotta. Due cose diverse, ok. Alla libertà io penso riferendola all'ambiente storico in cui tale libertà dovrebbe esercitarsi, non in termini astratti: penso non si tratti di un concetto definibile isolatamente. Altrettanto potrei ripetere del concetto di violenza, che a rigore non può venire analizzato e valutato (con una soluzione o con una condanna) se non in stretto collegamento con il concetto di società. La libertà senza violenza penso sia realizzabile solo in una società perfetta.
Libertà e lotta, se abbinate impropriamente, sono contraddittorie. In alcuni casi invece la lotta è compatibile con la libertà, il concetto di libertà (sia dei popoli sia degli individui) rinvia a quello di lotta. Seppure non sempre in modo perfetto, la scelta violenta è stata a molte volte nella storia una reazione legittima, auspicabile, e volgere l'altra guancia sarebbe stato fuori luogo, senza produrre risultati concreti (vedi Cuba). Libertà e violenza pssono intrecciarsi l'una con l'altra così strettamente da non poter venire prese in esame separatamente. A volte parlando della libertà senza riferimento alla violenza ci si immerge nel mondo dell'utopia e dell’inganno. Spetta alla gente trovare essa stessa la propria strada, le mobilitazioni più efficaci per ottenere degli obiettivi di cambiamento, decidere il tipo d’azione, con uno sguardo al valore del problema che va combattuto. A volte la gente è costretta a rinunciare alla non-violenza. Una responsabilità pesante.
Non penso che l'illusione di poter rovesciare completamente il sistema con la forza delle armi, o facendo ricorso a schemi teorici obsoleti, vada coltivata sempre. Non sempre si deve arrivare sino alla lotta armata. Mi intrigano invece alcuni teorici-profeti disarmati dell'opposizione inessenziale ripropongono esclusivamente una "teoria della violenza" altrui (quella contiene il valore del rispetto per l'altro?), cui contrapporre la propria non-violenza. Secondo me essi rappresentano una tendenza umanitaria e filantropica fondamentalista volta a distendere i contrasti mettendosi la coscienza a posto, negando la necessità dell'antagonismo.






ii

Commenti

ladytux ha detto…
stavolta ti condivido.
Ma, vistoche parli dei non violenti ti aggiungo il mio punto di vista che è fonte di dubbi.
-nel 77 avevo 5 anni,mimancano le basi-
Da tendenzialmente antiviolenta, quello in cui non mi ritrovo,molte volte, è quella violenza che come dice s.a. è "dannosa" e si sa dall'inizio che sarà dannosa e controproducente.
La violenza inutile e unicamente provocatoria che spesso ci si ritrova tra i piedi e quella andrebbe isolata.

Un conto è una rivoluzione (o una protesta di fabbrica o una resistenza ad uno sgombero) un conto è tirare in tre 5 sanpietrini a 3000 poliziotti per principio. (ed è quello che capita 80 volte su 100)
La lotta deve avere una sua stategia, organizzazione e tendere ad un risultato. Negli ultimi anni io ho visto schegge impazzite e ancora non ho capito (io) l'obiettivo quale fosse.
Ad esempio, uno per tutti Casarini. Io questa, di strategia o lotta, non l'ho capita.

ok, dai, insultami, ma spiegami :D

ladytux
mario ha detto…
Se ti riferisci alla violenza tipo balck blok condivido.
Per il resto, io che 80 volte su 100 si tirino pietre ai poliziotti a prescindere dalle circostanze non l'ho visto, neanche quando i tempi erano da scontri in piazza come nel 77. Quindi a che ti riferisci?
Quello che viene dato del movimento è una caricatura che, più o meno, usa gli stessi argomenti che citi tu:
1- manca la motivazione
2- lo fanno per il gusto di fare etc.
Nella realtà c'è un solco profondo tra chi pensa che questo sistema può essere riformato con tattiche e strategie che usino le istituzioni e chi a questo non dà molto credito preferendo porre le questioni in modo "radicale".
Quando si pongono le questioni in modo radicale si rischia la galera.
Occupare case, fabbriche, strade, entrare in un supermercato e "fare la spesa" distribuendo la merce è una cosa "violenta" ed illegale per il sistema.
Perché lo strumento che usi (l'occupazione o il picchettaggio etc.) è uno strumento che in qualche modo usa la forza come mezzo di coercizione per una situazione data. Penso che quando si usano questi mezzi e si definiscono gli obiettivi bisogna essere pronti a vari livelli, tra questi l'uso della "resistenza".Non credo ad un pacifismo radical chic.
Che strategia abbia Casarini non so,la sua non mi sembra una strategia finalizzata all'uso della violenza. Pone delle questioni di agibilità politica concreta e lo fa in modo efficace (tute bianche, Dal Molin, occupazione di case etc.).
Per l'oggi ritengo, comunque, che la lotta va coniugata con una "violenza" che faccia audience e che sappia spiegare gli obiettivi delle lotte senza tanti discorsi; le strade bloccate intorno alla INNSE, i manager chiusi a chiave nelle fabbriche, le fabbriche presidiate alla "francese".Insomma usare la testa per costringere il sistema a "negoziare" portando in alto l'asticella.

Post popolari in questo blog

Meglio di così si muore

I poveri e l'economia delle brave persone.