Il punto più avanzato
nota a cura del :Subcomandante Alex
Siamo all’avanguardia, non c’è che dire. Per una serie di motivi storici, culturali, “antropologici”, il nostro paese è un brillante laboratorio linguistico. Il punto più avanzato di ardite sperimentazioni dialettiche, dove il contenuto va di pari passi con la forma. Argutezza, sottigliezze, brillanti “escamotage” fanno parte del nostro “pane quotidiano”. Questo, almeno per quel che riguarda i tempi moderni, lo si deve principalmente al fatto che siamo un paese profondamente “riformista” in tutte le sue componenti essenziali: il governo è riformista, l’opposizione è riformista, confindustria è riformista,il premier è “profondamente” riformista, la chiesa è riformista. Il Vaticano, no. L’esercizio dialettico si pone quindi come avanguardia dell’innovazione: più il paese progredisce, più ferve la diatriba, la dialettica tra le varie componenti. Questo ci riporta direttamente in una mirabile sintesi storica, alla “polis” greca, quella della diatriba e del dialogo di massa, fatto però da “individui personali”, come da retaggio del giovane Marx. In questo ambito, quindi, potremmo definirci all’avanguardia nella tradizione.
Per esempio, si discute sulle radici della nostra tradizione di non-nazione familista e se sia quindi opportuno o meno esporre simboli religiosi negli uffici pubblici. Qualcuno lungimirante propone di istituzionalizzare l'uso della lupara nei consigli comunali siculi, essendo anche quella una tradizione secolare.
Ma molto più all'avanguardia è quello che stiamo assistendo proprio in questi giorni,dopo che la stessa questione balzò agli onori delle cronache un paio di anni fa grazie alle gesta fiorentine dell'impavido Cioni, ora replicate da "Chi l'ha visto Alemanno", dicevamo di un dibattito pubblico particolarmente stimolante, sagace, impegnativo nelle implicazioni, sull’opportunità o meno di arrestare o meno i lavavetri ai semafori. Ci si è divisi tra gli storicismi hegeliani fautori dell’intangibilità della forma lavoro, quale atto di modificazione della natura, anche se ciò si manifesta sotto forma di parabrezza, spugna e secchiello; e tra i più intransigenti nichilisti nietzechiani, che al grido “in galera!”, desumono che il solo pensare l’atto è azione.
E che dire sull’annosa questione che stimola le coscienze collettive come nemmeno l’etica sulla necessità o meno della violenza, e cioè: in uno stato moderno, autodefinitosi “civile”, che pone la tutela dei cittadini e il “lavoro” come fulcro del suo essere, bisogna “per forza” pagare le tasse? Un esponente dell’intellighienza nordica, senza scomodare epigoni del pensiero reazionario, proponeva con sottigliezza l’uso dei fucili. Noblesse oblige.
E che dire poi delle raffinate schermaglie sulla tutela del lavoro? Qualche sprovveduto, particolarmente rozzo, fuori dalla realtà -e dai palazzi- ha banalizzato l’argomento sostenendo che “Dalla tutela del lavoratore si è passati all’istituzionalizzazione del precariato. Si è riconosciuta la liceità nel trarre profitto dal lavoro altrui attraverso l’interposizione non necessariamente temporanea. E’ una nuova forma di caporalato protetta dalla legge.“ Per fortuna il pensiero di chi conta è sempre capace di volare più alto e quindi la risposta è stata più articolata: “Demagogia. Parole che incrementano il clima d’odio contiguo aglia ambienti più violenti ed eversivi.”
In questo proliferare di tedenze, approfondimenti, schermaglie, invenzioni nel linguaggio, i giovani non potevano essere da meno, così come le frange popolari più emarginate ma ugualmente tendenti al meltin pot culturale. Difatti si assiste sempre più spesso a discussioni in quegli ambiti su se siano più immondi, pedofili, ubriaconi e delinquenti i rumeni, oppure se gli albanesi detengano ancora il primato. Ma anche l’allegro gioco dell’estate, che dai carabinieri fino ai più simpatici comunicatori reazionari, ha occupato le ore calde della giornata, ovvero il “daje al frocio!”
Troppo per la nostra mente debilitata dalla routine? Non preoccupatevi, ci si può sempre distrarre con argomenti più frivoli, sono ammessi anche ai piani alti. Quali? Bè, sarete curiosi di sapere se Clooney e la Canalis si sposano davvero, no?
“Chi non parla è dimenticato.” lo scrisse Pierpaolo Pasolini. Ma intendeva altro.
Siamo all’avanguardia, non c’è che dire. Per una serie di motivi storici, culturali, “antropologici”, il nostro paese è un brillante laboratorio linguistico. Il punto più avanzato di ardite sperimentazioni dialettiche, dove il contenuto va di pari passi con la forma. Argutezza, sottigliezze, brillanti “escamotage” fanno parte del nostro “pane quotidiano”. Questo, almeno per quel che riguarda i tempi moderni, lo si deve principalmente al fatto che siamo un paese profondamente “riformista” in tutte le sue componenti essenziali: il governo è riformista, l’opposizione è riformista, confindustria è riformista,il premier è “profondamente” riformista, la chiesa è riformista. Il Vaticano, no. L’esercizio dialettico si pone quindi come avanguardia dell’innovazione: più il paese progredisce, più ferve la diatriba, la dialettica tra le varie componenti. Questo ci riporta direttamente in una mirabile sintesi storica, alla “polis” greca, quella della diatriba e del dialogo di massa, fatto però da “individui personali”, come da retaggio del giovane Marx. In questo ambito, quindi, potremmo definirci all’avanguardia nella tradizione.
Per esempio, si discute sulle radici della nostra tradizione di non-nazione familista e se sia quindi opportuno o meno esporre simboli religiosi negli uffici pubblici. Qualcuno lungimirante propone di istituzionalizzare l'uso della lupara nei consigli comunali siculi, essendo anche quella una tradizione secolare.
Ma molto più all'avanguardia è quello che stiamo assistendo proprio in questi giorni,dopo che la stessa questione balzò agli onori delle cronache un paio di anni fa grazie alle gesta fiorentine dell'impavido Cioni, ora replicate da "Chi l'ha visto Alemanno", dicevamo di un dibattito pubblico particolarmente stimolante, sagace, impegnativo nelle implicazioni, sull’opportunità o meno di arrestare o meno i lavavetri ai semafori. Ci si è divisi tra gli storicismi hegeliani fautori dell’intangibilità della forma lavoro, quale atto di modificazione della natura, anche se ciò si manifesta sotto forma di parabrezza, spugna e secchiello; e tra i più intransigenti nichilisti nietzechiani, che al grido “in galera!”, desumono che il solo pensare l’atto è azione.
E che dire sull’annosa questione che stimola le coscienze collettive come nemmeno l’etica sulla necessità o meno della violenza, e cioè: in uno stato moderno, autodefinitosi “civile”, che pone la tutela dei cittadini e il “lavoro” come fulcro del suo essere, bisogna “per forza” pagare le tasse? Un esponente dell’intellighienza nordica, senza scomodare epigoni del pensiero reazionario, proponeva con sottigliezza l’uso dei fucili. Noblesse oblige.
E che dire poi delle raffinate schermaglie sulla tutela del lavoro? Qualche sprovveduto, particolarmente rozzo, fuori dalla realtà -e dai palazzi- ha banalizzato l’argomento sostenendo che “Dalla tutela del lavoratore si è passati all’istituzionalizzazione del precariato. Si è riconosciuta la liceità nel trarre profitto dal lavoro altrui attraverso l’interposizione non necessariamente temporanea. E’ una nuova forma di caporalato protetta dalla legge.“ Per fortuna il pensiero di chi conta è sempre capace di volare più alto e quindi la risposta è stata più articolata: “Demagogia. Parole che incrementano il clima d’odio contiguo aglia ambienti più violenti ed eversivi.”
In questo proliferare di tedenze, approfondimenti, schermaglie, invenzioni nel linguaggio, i giovani non potevano essere da meno, così come le frange popolari più emarginate ma ugualmente tendenti al meltin pot culturale. Difatti si assiste sempre più spesso a discussioni in quegli ambiti su se siano più immondi, pedofili, ubriaconi e delinquenti i rumeni, oppure se gli albanesi detengano ancora il primato. Ma anche l’allegro gioco dell’estate, che dai carabinieri fino ai più simpatici comunicatori reazionari, ha occupato le ore calde della giornata, ovvero il “daje al frocio!”
Troppo per la nostra mente debilitata dalla routine? Non preoccupatevi, ci si può sempre distrarre con argomenti più frivoli, sono ammessi anche ai piani alti. Quali? Bè, sarete curiosi di sapere se Clooney e la Canalis si sposano davvero, no?
“Chi non parla è dimenticato.” lo scrisse Pierpaolo Pasolini. Ma intendeva altro.
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