Ilio Barontini e l'Africa

Per dignità non per odio- GAP

Un eroe livornese: Ilio Barontini in Africa

Qualcuno penserà, ma cosa c’entra tutto questo con Livorno e il quartiere Pontino? C’entra perché la Costituzione non l’hanno guadagnata e scritta i Folgorini morti accanto ai tedeschi, ma gente come Ilio Barontini, livornese e abitante di questo quartiere. In questo articolo vogliamo ricordare la sua difficile missione in Somalia, nazione martoriata da una storia difficile fatta di invasioni, dominazioni sanguinarie e stragi civili. Somali, Etiopi ed Eritrei, purtroppo, a causa di queste vessazioni, ad oggi non trovano ancora pace. La loro patria è molto più a sud di El Alamein, ma oggi è gente molto vicina a noi, se consideriamo, ad esempio, la numerosa comunità somala ed eritrea livornese, composta nella stragrande maggioranza da rifugiati politici.
Ilio Barontini, nel 1938, decise di andare laggiù, insieme a allo spezzino Bruno Rolla e il triestino Anton Ukmar per aiutare questa gente a liberarsi dall’ “impero” fascista. Malgrado il pugno di ferro di Graziani, l’Etiopia era ben lontana dall’essere sottomessa. Barontini, Rolla e Ukmar avevano un lasciapassare del Negus e lettere di accompagnamento per gli alleati dell’imperatore. I tre erano chiamati i “tre apostoli”, Barontini era “Paulus”, Rolla era “Petrus” e Ukmar “Johannes”. C’è di più. Il Negus dette a Barontini il ruolo di consulente del governo provvisorio alla macchia e il titolo di vice imperatore. Barontini e gli altri due “apostoli”, che agivano in zone diverse, predicavano l’unità delle razze e delle coscienze. Riuscirono ad infondere il senso del nazionalismo. Non era mai accaduto nell’Africa tribale. C’era una fame terribile anche allora, in Etiopia. Per non pesare sulle tribù, Barontini faceva mangiare ai partigiani i coccodrilli. La polizia italiana seppe di Barontini e presto si sparse la voce di questo capo bianco che dirigeva la resistenza. Misero una taglia sopra la sua testa e fecero circolare la sua foto. Ma “Paulus” aveva una gran barba. Era irriconoscibile. Comunque andarono vicini alla sua cattura. Un capo tribù arrivò al comando di “Paulus” con i suoi uomini e chiese di entrare fra i partigiani. Poche ore dopo tentò di saltare addosso a “Paulus”, ma “Paulus”, che stava sempre in guardia e non dormiva due notti di seguito nel medesimo posto, evitò la tagliola e le suonò al traditore. Anche qui ci sono degli italiani che combatterono contro gli italiani. Oggi è chiaro che la spedizione in Etiopia fu un errore, un dispendio inutile di vite, di capitali. Che poi gli italiani agli ordini di Graziani e quelli che scesero laggiù per lavorare, fossero quasi tutta brava gente, è un altro discorso. Tanto è vero che Barontini non volle mai che fosse torto un capello ai soldati italiani caduti prigionieri. E tanti italiani sono rimasti nelle tribù, di loro volontà, dopo essere stati fatti prigionieri.

tratto da Il Quartiere n.7 (ottobre 2009)

Commenti

biomirko ha detto…
La Somalia... ci ho passato 8 mesi, dal dicembre del 1992 al luglio del 1993...
ero un paracadutista, missione Ibis (poi divenne Restore Hope)... ho visto morire un amico il 2 luglio del 1993.
Non sapevo nulla di Barontini, storia interessante... merita un approfondimento.
Saluti
Anonimo ha detto…
sto lavorando a un documentario su anton ukmar cui barontini ha salvato la vita in etiopia, mi piacerebbe sapere se hai delle foto di barontini in etiopia o se conosci qualcuno che ne abbia.
grazie
ciao
mauro
skizo66@tiscali.it

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