Non mi chiedete se ho vinto o se ho perso

Poiché la politica con la p minuscola, che questo tempo esprime, non mi interessa più di tanto dedico un po' di questo spazio ai ricordi.
Lo faccio partendo da alcune testimonianze di compagni che, circa 10 anni fa, si riunirono per ripercorrere l'esperienza fatta in uno dei più famosi circoli del proletariato giovanile di Torino.
Il primo brano che propongo (non mi chiedete se ho vinto o se ho perso) è l'ultimo di un libretto che hanno scritto e che si trova in rete.
E' passato tanto tempo e quello che a molti di noi viene rimproverato è di essere ancora inchiodati a quei tempi. Sarà, forse, che quello che vediamo oggi non fa venir voglia di andare oltre la soglia di casa? Quello che è scritto nel brano lo condivido in gran parte, in particolar modo condivido il punto in cui alla fine di questa esperienza storica ed umana rimarrà un bilancio che ognuno di noi dovrà fare con la propria coscienza in funzione di come ha vissuto. Da quel punto di vista non è che mi senta tanto bene, alcune volte rimpiango il fatto di non aver dato corpo fino in fondo alle mie idee. Non credo che ci si possa limitare a "portare in tavola il pane" per la famiglia, perché quel pane lo produciamo noi ed il perché ed il come ,così come il quanto, rimane una questione ineludibile con cui da secoli si fa i conti.
Però adesso è così, anche se non ce ne siamo fatti una ragione.

...NON MI CHIEDERE SE HO VINTO O SE HO PERSO...

... all'interno del circolo c'erano dei comportamenti che rispondevano a bisogni che non sono stati recuperati dal mercato, cose che non sono monetizzabili...

... faccio una provocazione: forse il movimento del '77 è stato svilito e inglobato perché il mercato ha dato a ciascuno di noi la possibilità di realizzare le cose che avevamo prefigurato proprio attraverso il mercato stesso: ognuno ha trovato una sua nicchia.

Allora era possibile arrivare ad un compromesso facendo in modo che i soggetti antagonisti si realizzassero nel mondo delle merci, perché erano i rapporti di potere fra le classi che lo consentivano. Oggi il capitale produce dove vuole, cosa vuole e può esimersi dal contrattare con chi lotta e con i movimenti: a chi volesse meno orario e più salario il padrone risponderebbe "Chiudiamo qui e apriamo in Corea" o dove è più conveniente. Con questi meccanismi di ricatto, oggi tu non puoi più ritagliarti nessun tipo di compromesso. In qualche modo noi eravamo ancora tutelati da una situazione in cui il capitale non era riuscito a trasformarsi in maniera velocissima a livello internazionale...

... non credo che il movimento del '77 si sia esaurito perché le persone che ne facevano parte sono state assorbite dal mercato non avendo più niente da dire: il movimento è stato fermato, in qualche modo, con la repressione. Anche la lotta armata è servita da pretesto per fermare qualsiasi cultura di sinistra. Dopo ha sempre preso più piede il Pensiero Unico, la destra ecc. Gli anni ottanta io li ricordo come un periodo oscuro: non come una nicchia felice, ma come una nicchia cercata perché costretti dalla sopravvivenza...

... non ho l'impressione che sia stata la repressione a fermare il movimento. Ci sono state nella storia repressioni molto più forti che non hanno fermato le lotte dei movimenti e organizzazioni ad es. sotto il fascismo...Ad esempio il pentitismo, come fenomeno, non può essere solo stato causato della repressione...

... la repressione ha dato certo la spallata finale ma, secondo me, la causa centrale della fine è stata l'eterogeneità del movimento: tanti interessi, tanti bisogni, tutto messo insieme...

... anche le lotte dei minatori in Inghilterra nell’ottantaquattro e quelle della Fiat dell’ottanta sono ricordate ancora oggi in Italia ed in Inghilterra come una batosta pazzesca, una sconfitta enorme che ha cambiato il modo stesso di fare politica...

... C'è stata in Inghilterra, nel 1600, una rivoluzione grossa e violenta che l'ha devastata in lungo ed in largo. Lollardi, Livellatori, Diggers ne hanno fatte di cotte e di crude, ne hanno dette e scritte che se vai a leggere quelle cose dici "altro che il punk!" Hanno raggiunto livelli di sovversione incredibili: ma, spariti loro come persone (anche perché ne hanno ammazzati a migliaia), tutto è tornato come prima...

Io ricordo che in quest'ultimo periodo ero molto critico nei confronti del modo in cui ci eravamo mossi: ci eravamo fatti prendere in un meccanismo stile percussione, un colpo da una parte e uno dall'altra, solo che gli altri erano molto più forti e noi eravamo sempre di meno, sempre meno motivati e sempre meno capaci di star dietro alla situazione. Il circolo nostro è stato chiuso e non siamo più riusciti a organizzare niente. Il Leoncavallo è rimasto aperto, era stato occupato nel '75, anche perché loro erano molto più radicati sul territorio, sono stati più capaci a muoversi, poi Milano è tutta un'altra situazione.

... purtroppo gli slogan "riprendiamoci la vita", "partiamo da noi stessi e dai nostri bisogni", per qualcuno hanno voluto dire: riprendiamoci i nostri soldi, riprendiamoci le nostre carriere, riprendiamoci l'eredità di papà; per altri invece hanno voluto dire: riprendiamoci il cazzo nel culo, facciamoci le pere, facciamoci sparare. Adesso sto tirando giù in modo provocatorio, però tutto questo ha forse voluto dire individualismo sfrenato. Io non riesco a fare un bilancio preciso di quel periodo, ma il rischio di quelle parole d'ordine era proprio questo. È vero: noi si rifiutava il concetto alienato di militanza: andare a dare volantini davanti a fabbriche a gente che non sapevi manco chi cazzo era, che spesso aveva l'età del padre a cui eri contrapposto in famiglia. Ma, se parto solo dai miei bisogni, finisce che faccio solo il cazzo che mi pare a me, e per molti la banalizzazione di queste parole d'ordine ha voluto dire anche questo;

...La sinistra rivoluzionaria era sparita come forma organizzata, e noi in quel periodo a Torino, in pochi mesi, ma molto intensi, abbiamo riempito quel vuoto come eravamo capaci di fare e ci siamo dedicati in qualche modo a delle cose anche più grandi di noi, non perché non fossimo capaci, ma perché noi eravamo radicati sul territorio, avevamo messo insieme gruppi di amici...

... e pensate agli spettacoli oggi: enormi concerti anche gratuiti, tantissima offerta dai privati o dagli enti locali e tutto è partito allora anche per risposta alle nostre rivendicazioni...

... L'impressione è che noi abbiamo messo in piedi una roba effimera: le società sono come il mare, ma dentro ci sono cose fatte di roccia: la chiesa cattolica sono duemila anni che sta lì a rompere i coglioni, e loro usano dei metodi ben precisi per darsi continuità nel tempo.

Oggi mi sembra che quello che abbiamo fatto nel '77 fosse buttare acqua sui muri: s'asciuga. Vabbè, se ne butti tanta, il muro un po' si scrosta, ma cinquant'anni dopo la casa è ancora in piedi e la pioggia è passata, dimenticata. Quindi la politica è una roba che necessita di certi metodi, strumenti e organizzazione e non c'è un cazzo da fare, noi su quel terreno abbiamo perso...

... Lotta Comunista, ad esempio, è una struttura non effimera, che dura nel tempo, gente se ne va, gente arriva e le fanno una bella scuola quadri, ma non cambia un cazzo. Anche noi avremmo potuto fare la stessa cosa, ma non sono convinto che questi metodi garantiscano il cambiamento vero.

... è vero che tutta una serie di comportamenti sono rimasti. Non sono molto visibili, sono sotterranei, ma ci sono e mantengono una certa coerenza rispetto ad allora...

... le organizzazioni, i partitini della sinistra rivoluzionaria cercavano d'inseguire la società, che è un casino complessa, e si articolavano il più possibile: studenti, operai, disoccupati, proletari in divisa, cercando anche di farlo sul territorio, nella nazione; ma questa roba si è completamente spappolata nel '77. Tutto è stato frantumato e triturato. Ognuno poi si è ridotto a gestirsi, appunto, il proprio personale, la propria individualità più o meno per gruppi piccoli, molecole, più o meno per coppie o per famiglie o per bande...

... oggi stanno sicuramente venendo di nuovo al pettine una serie di contraddizioni irrisolte che creeranno sicuramente grossi casini; sarebbe utile vedere quali delle nostre esperienze passate potrebbero essere utilizzate, visto che sempre più gente viene tagliata fuori e sempre meno la società è in grado di rispondere alle domande: così come noi non siamo stati in grado di affrontare la complessità, non è detto che gli altri riescano a governarla la complessità...

... La maggior parte delle persone che hanno continuato delle attività, l'hanno fatto in un ambito ristretto: c'è chi si è occupato più di ecologia, chi si è occupato di problemi internazionali delimitandoli anche molto, uno Cuba, l'altro il Vietnam o il Nicaragua, scegliendo cioè un settore molto specifico e ristretto proprio come fuga dal confronto con la complessità. E non perché tutto il resto interessasse poco, ma uno diceva <>, che può essere anche stato un problema di coscienza: <> ...

... negli anni settanta si sta rompendo quella forma di patto sociale, che gli economisti chiamano "compromesso di tipo Keynesiano", tra classe lavoratrice e padronato che garantiva un reddito minimo alle famiglie consentendo l'accesso al consumo delle merci. Queste merci erano prodotte però da un sistema di produzione abbastanza rigido di tipo fordista. Questo patto sociale ti permetteva la macchina, un livello di istruzione secondario, gli ospedali... ti permetteva tutta una serie di cose. Quel modo di produzione era legato alla fabbrica tayloristica ed era rigido: bastava bloccare un punto per fermare tutto. Questo ha provocato processi di ristrutturazione che non erano solo legati alla necessità di rispondere alla lotta operaia, ma anche al fatto che la società stava cambiando. Vorrei collegare questo al problema dei bisogni e della soggettività: forse il nostro modo di porci di allora, frammentato e più individualistico, è servito anche da stimolo nei confronti di un assetto produttivo che stava cambiando verso il mercato diversificato: si passa da un modello di mercato che produce e che poi si pone il problema di trovare delle persone che comprano, ad un mercato in grado di produrre in funzione di bisogni diversificati e molteplici. I nostri comportamenti d'allora e il nostro modo di partire dai nostri bisogni sono stati utilizzati: il sistema produttivo fa questo di continuo usando elementi che agiscono nella società per trasformarsi continuamente. Non a caso i sistemi di comunicazione oggi utilizzano molto le forme che noi usavamo allora col teatro di strada, o con le forme più dirette o ironiche. La pubblicità oggi usa molto queste forme che erano un nostro mezzo creativo di allora, ad esempio le trasmissioni con la linea telefonica diretta che erano partite dalle radio libere...

... Se tu oggi mi dici: "facciamo un bel partito strutturato e poi facciamo la rivoluzione", io ti rispondo che non ci credo. Quel modo di fare politica è finito qui in Italia in quegli anni lì, ma, andiamo a vedere cosa è successo dove dicono esserci stata la rivoluzione comunista! Non si può certo dire che tutto sia andato bene, anzi. Guardiamoci intorno: oggi la gente si scanna per il colore della pelle, per una religione. A me non frega un cazzo di sapere come scopi, se in una posizione o nell'altra, però cosa tu pensi del razzismo, di tolleranza, eccetera, diventa importante, perché oggi dobbiamo fare i conti con marocchini, albanesi, senegalesi ... la nostra visione, più o meno marxista, deve fare i conti con queste altre culture, in Italia non ci siamo solo più noi ...

... La risposta che ho dato rispetto ad allora e che continuo più o meno a dare è questa: forse l'alternativa è cercare di essere coerente con la propria visione del mondo, delle cose e di sé stessi e di cercare di produrre dei cambiamenti all'interno delle singole realtà. Tenendo conto che è un casino perché da soli è dura, questo però non ci può esentare da questa cosa qui.

... sono passati vent'anni, ma ci si ritrova ancora a parlare qui con un certo spirito. Molti hanno fatto delle scelte non lontane dai presupposti d'allora: ci sono quelli che vivono ancora fuori dalla famiglia con modi alternativi, che usano il denaro in un certo modo. C'è il rifiuto della modernità e si cerca di vivere la propria vita basandola su dei valori che allora erano prioritari come lo sono oggi: essere anziché apparire ad esempio. Secondo me, è stata una generazione che non ha perso e non se l'è presa nel culo: io, da questo punto di vista, non mi sento assolutamente un perdente. È vero il potere non è stato preso, oggi c'è il PDS e allora c'era la Democrazia Cristiana e sappiamo che tutto è uguale, ma non mi sento un perdente, perché mi sembra che nella mia vita, così come in quella di tanti, si sia riusciti a mantenere una coerenza ed anche una linea rispetto a quello che pensavamo allora: dicevamo "lavorare meno lavorare tutti": nessuno o quasi lavora in fabbrica, nessuno ha sacrificato la propria vita appresso al mito del lavoro, che allora era comunque forte, cerchiamo di avere rapporti umani di un certo tipo e questo è rimasto un bisogno fortissimo; c'è una ricerca continua di contatti. Non è successo che ognuno sia andato per la sua strada facendo carriera...

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