PRC, SeL e la questione morale
ROSSI DI VERGOGNA
I comunisti e la questione immorale
di Germano Monti *
La notizia dei finanziamenti erogati dai palazzinari romani al PRC in coincidenza con l’approvazione del Nuovo Piano Regolatore della Capitale è nota ormai da mesi, resa pubblica anche da dirigenti dello stesso PRC. Questi finanziamenti sono stati conferiti - sia direttamente al partito che ad un’associazione collaterale – nel corso del 2008, prima della catastrofe elettorale, almeno da quanto è dato sapere. Né il vecchio gruppo dirigente romano (ora confluito nel nuovo partito guidato da Niki Vendola), né quello “nuovo” conseguente al congresso di Chianciano hanno mai fornito pubblicamente spiegazioni in merito, nonostante l’evidente malessere suscitato dalla vicenda; anzi, il comportamento della “nuova” direzione politica è apparso quantomeno contraddittorio.
Da un lato, è stata presentata una denuncia alla magistratura perché indaghi su quei finanziamenti; dall’altro, oltre a non affrontare pubblicamente la questione, si è lavorato per ridurre al silenzio i compagni che avevano sollevato il problema, fino all’estromissione del nuovo tesoriere della federazione romana, lo stesso che aveva trovato e denunciato le dazioni dei costruttori.
Parallelamente all’emarginazione dei compagni suddetti (non scevra da insinuazioni diffamatorie, in perfetto stile stalinista), sono avvenuti alcuni accadimenti politici significativi: prima, la segreteria nazionale del PRC è stata allargata ai bertinottiani rimasti nel partito, relegando in minoranza alcune componenti – quali l’Ernesto e Falce e Martello - che avevano contribuito a determinare la “svolta” di Chianciano; successivamente, la medesima operazione è stata estesa ai livelli locali del partito, cominciando proprio da Roma, dove il ritorno dei bertinottiani alla guida del partito è condizionato, fra l’altro, al ritiro della denuncia presentata contro gli attuali esponenti di Sinistra e Libertà per la vicenda dei soldi dei palazzinari. Tutto questo avviene mentre il vertice del PRC lancia continue proposte unitarie tanto agli ex di S&L, quanto allo stesso PD, in vista delle imminenti elezioni regionali. Appare chiaro che non è sufficiente affrontare la situazione in termini di questione morale; semmai, dobbiamo parlare di una questione immorale, alla luce degli sviluppi politici ormai sotto gli occhi di tutti. Nel giro di meno di un anno, le suggestioni evocate dalla “svolta” di Chianciano sono completamente evaporate: dai livelli locali a quello nazionale, la linea del PRC è tornata ad essere quella della subordinazione al centrosinistra in tutte le sue forme, in cambio della speranza di qualche poltrona per dirigenti bolliti ed a forte rischio di indigenza.
Naturalmente, questa linea politica presuppone un appeasement con gli scissionisti confluiti in S&L, esattamente come hanno sempre voluto i bertinottiani rimasti nel PRC, che vedono ora premiata la loro lungimiranza, testimoniata da ultimo dal languido appello unitario (Caro Nichi, caro Franco, caro Gennaro…) lanciato dalle pagine del Manifesto da Bruno Steri e Claudio Grassi, esponenti di una corrente che, chissà perché, si chiama “Essere Comunisti”.
La questione immorale consiste, quindi, nell’inganno perpetrato a Chianciano, quando si fece credere che la stagione del governismo era ormai alle spalle e si apriva una nuova fase di ricostruzione di una forza politica di opposizione, alternativa tanto al liberismo populista del centrodestra, quanto al liberismo tout court del centrosinistra e del PD. Che la “svolta” non fosse tale, era in realtà percepibile già nei mesi immediatamente successivi al congresso, quando nella maggior parte delle tornate elettorali importanti – Bologna, in primis – il PRC si è affrettato ad aderire nuovamente a coalizioni con il PD, ma la squallida vicenda romana e la proposta del segretario del PRC di un “governo a termine” con PD e UDC hanno definitivamente svelato la truffa.
*****
Gli eventuali risvolti giudiziari della vicenda dei finanziamenti dei costruttori romani al PRC non rivestono alcun interesse. Il motivo che mi spinge ad intervenire su questa vicenda è tutto politico, e non riguarda tanto il passato recente della sinistra politica italiana, quanto le sue prospettive. D’altro canto, sarebbe ingenuo illudersi che le conseguenze delle scelte e dei comportamenti politici non pesino come macigni sul nostro futuro più o meno prossimo.
Continuare a conferire credibilità al ceto politico della sinistra ex parlamentare si configura come qualcosa di peggio di una forma di accanimento terapeutico; in effetti, sarebbe più corretto parlare di vilipendio di cadavere. Interloquire con chi da anni sfrutta e svende aspirazioni e bisogni di milioni di lavoratori, giovani, donne, con chi ha gettato nella spazzatura i movimenti, con chi ha fatto del malaffare la propria linea politica, con chi ha perso ogni credibilità nei confronti delle masse, non significa che due cose: rendersi suo complice ed aver perso qualunque contatto con la realtà. Del resto, quale sia il giudizio popolare su quella “sinistra” si è visto: spazzati via dal parlamento nazionale e da quello europeo.
Anche il silenzio è complicità, ed è bene riflettano tutti coloro che hanno taciuto e tacciono sulla sporca vicenda romana, il che vuol dire più o meno tutto l’arco della sinistra politica, da Sinistra Critica al PCL, da Sinistra Popolare ai tanti raggruppamenti che – con la solitaria eccezione della Rete dei Comunisti – non hanno avuto nemmeno il coraggio di chiedere ai dirigenti del PRC una qualche spiegazione sui benevoli finanziamenti edilizi, come se la cosa non li riguardasse. E invece ci riguarda tutti, e non comprenderlo significa vivere al di fuori della realtà, perché solo chi vive in un’altra dimensione può illudersi che quel fango non ci insozzi tutti quanti. Eppure, non è passato tanto tempo da quando il termine “socialista” è divenuto sinonimo di corruzione e ladrocinio, grazie ai comportamenti politici di chi di quel termine aveva la titolarità. Qualcuno può negare che, al giorno d’oggi, chi si definisce “comunista” non rischi di fare la stessa fine? Qualcuno può seriamente credere che quegli stessi operai del nord che votano la Lega o quegli stessi proletari romani che si rivolgono alla destra populista, persino quegli attivisti sindacali e di movimento che guardano all’Italia dei Valori non lo facciano (anche) perché non solo delusi, ma letteralmente schifati da una “sinistra” e da “comunisti” che si comprano e si vendono come vacche al mercato?
I lavoratori ed i cittadini romani dovranno fare i conti con altri 70 milioni di metri cubi di cemento, cioè con un ulteriore peggioramento della qualità della vita, esattamente come – su un altro livello – un’intera generazione politica ha dovuto fare i conti con la complicità della sua rappresentanza politica con le missioni militari, con il genocidio dei Palestinesi, con lo smantellamento del welfare, con i regali a Confindustria ed a tutto il padronato, con le privatizzazioni dei servizi pubblici, con il deperimento di quel sistema di garanzie e tutele sociali ereditato dalle lotte e dalle conquiste degli anni 60 e 70. Insomma, come è pensabile che si ripropongano le stesse facce, lo stesso ceto politico responsabile di una tale catastrofe?
Quelle facce devono sparire. Quel ceto politico deve avere perlomeno il buon gusto di ritirarsi a vita privata.
*****
Naturalmente, non sta a me proporre una exit strategy dalla palude maleodorante in cui siamo precipitati, ma non credo di essere il solo a cogliere la contraddizione intollerabile fra il portato storico del movimento operaio e comunista e la sua macchiettistica rappresentazione attuale nel nostro Paese. Non credo di essere il solo a comprendere che la questione immorale risiede non tanto nel comportamento dei singoli, quanto in una linea politica che prevede il governismo a tutti i costi, che privilegia il posizionamento su qualche poltrona – politica o amministrativa – rispetto alla costruzione politica e culturale di una forza organizzata di classe all’altezza delle sfide del XXI secolo, una linea politica che spalanca praterie per qualunque ruminante disposto a tutto per poter brucare quello che gli interessa. Anche a scambiare la qualità della vita di un’intera metropoli con gli interessi di qualche speculatore. Anche a chiudere gli occhi sul sangue dei morti sul lavoro che macchia le banconote pervenute sul suo conto bancario. Anche a governare insieme ai politicanti più corrotti.
In questo scenario, credo che sottrarsi a qualunque collaborazionismo, a partire da quella farsa che va sotto il nome di Federazione della Sinistra Alternativa, sia il primo, necessario passo per respirare aria pulita. Non è sufficiente e non risolve il problema della ricostruzione di un soggetto politico credibile, ma – almeno – ci consente di ragionare liberamente e di ricercare una sintonia con i nostri soggetti sociali di riferimento, che sono cosa molto diversa e, direi, contrapposta rispetto a quel ceto politico impresentabile che si ostina ad autocandidarsi, nonostante l’evidenza del suo inglorioso fallimento.
*Da www.pane-rose.it
Commenti
Michale Moore nell'ultimo film illustra un caso eclatante di questo tipo, in cui pochissimi deputati democrats, sicuramente blindati con soldi e/o ricatti in sede segreta, abbiano votato a favore di una vergognosa legge a vantaggio delle banche e della borsa.
Tolto il comunismo e l'anarchia, una democrazia, anche imperfetta, una cosa che NON dovrebbe essere è maggioritaria, con sbarramenti ecc.. perchè si riduce l'azione parlamentare a tutto vantaggio delle lobbies, escludendo molti altri dalla dialettica.
Vediti il film, Mario.
a mio avviso, il tutto, compreso la rovina del socialismo come movimento di massa, nasce da lenin. vladimir ilic predilesse il partiti dei professionisti della rivoluzione a quello del movimento operaio per il socialismo. quei professionisti della politica si trasformarono (soprattutto con stalin ma non solo) in burocrati del partito comunista, una elite sempre più gerarchica e corrotta.
questa evoluzione dei movimenti socialisti e comunisti ha fatto si che i partiti democratici avessero dei professionisti della politica che avranno sempre più potere della moltitudine, e quindi sarà più difficile controllare. insomma, per semplificare dovremmo dire che i comunisti dovrebbero divenire un po' più anarchici.
per ilr esto, a volte le alleanze servono, ma non a costo di strozzare i propri principi, altrimenti diventi un utile idiota.
o la sinistra alternativa si unisce oltre il comunismo, o si creano due sinistre, di cui una comunista e una "altra".
e tra comunisti, a mio avviso, si dovrebbe aprire un dibattito per una vera federazione comunista democratica, perchè ci sono tanti gruppi che non vogliono riconoscersi in un unico partito, ma essere divisi significa restare sconfitti.
lo vedrò ed il tuo commento coglie il problema.
Rigitans,
E' vero quello che dici però il punto è che Lenin guardava a quella figura in termini di "militante"a tempo pieno in grado di rappresentare gli interessi della sua classe.
Quello del "professionismo" pero' non è roba che arriva con la rivoluzione bolscevica. In qualche modo già la rivoluzione francese indicò quella strada. Se guardo più in là la "rappresentanza" degli interessi è stato sempre un elemento presente in tutti i tipi di ordinamenti che si sono succeduti nei secoli.
Cosa erano i tribuni della plebe a Roma, ad esempio?
Una delle questioni che posero i sofisti nella civiltà greca fu quella di preparare una classe di "politici" dedita a tempo pieno a quello.
Anche sul terreno religioso la religione dello stato a Roma lasciò il passo a religioni che avevano "professionisti" in grado di coltivare la propria cerchia di fedeli a tempo pieno.
Il comune denominatore che mi pare di scorgere è sempre lo stesso. alla fine rappresenti solo quegli interessi che hanno risorse e modi per farsi rappresentare e gli altri stanno fuori.Occorrerebbero meccanismi in grado di evitare che il politico diventi un "mestierante". Però, mi chiedo, questa roba ha o non ha a che fare con la potenza che il capitale ed il danaro hanno in termini di condizionamento delle persone?
beh fosse per me potrei anche creare una società senza denaro, ma il mondo è diverso e l'uomo nella storia si è sempre fatto corrompere da qualcosa, non solo dal denaro. quindi temo che eliminando il capitale si troverà qualche altra nuova forma di sfogo per le peggiori deviazioni umane.
quindi serve un profondo lavoro culturale e psicologico in certi casi per affermare una umanità nuova, a prescindere dalle condizioni (socialista, capitalista o altro), poi si vedrà quale sarà la soluzione migliore.
Quando parlo del capitale non mi riferisco ad un'ideale di società senza "denaro".
Mi riferisco al fatto che la "democrazia" sostanziale e le condizioni materiali delle persone passano attraverso il controllo delle leve dell'economia. Se non si pensa ad una società in grado di risolvere il problema delle disparità ed il fatto che queste dipendono da scelte che stanno nelle mani di una consorteria molto concentrata di poteri economici e politici, credo che sarà difficile poter pensare che il lavoro culturale di per sé sia sufficiente.
Per fare questo Marx aveva pensato alla classe dei lavoratori salariati come leva per "scardinare" il sistema.Gente che produce valore ma non ne ha come beneficio dalla sua distribuzione.
Gente che prendesse coscienza di questo elemento e fosse in grado di rovesciare i rapporti di potere borghesi.
il punto è che marx aveva fatto un raffinato studio, a cui era arrivato a delle conclusioni coerenti, e che fino agli anni 40 avrebbero portato frutti. dopo non più, perchè la società è cambiata culturalmente.
marx però si è dimenticato di differenziare tra borghesia liberale e borghesia di classe. perchè dico questo? perchè c'era una fetta di quello strato sociale che voleva più libertà, non solo d'impresa, più diritti, più stato di diritto quindi legalità, quindi diritti per tutti, avanzando.
invece c'era una fetta della borghesia che lottava solo per togliere il potere costituito e appropriarsene. finchè non si capisce questa distinzione non potremmo capire il mondo di oggi e trovarne soluzioni migliori, perchè a volte l'ideologia porta ad una via sbagliata.
mente aperta, occhi sbarrati.
su lenin etc, io dico che a conti fatti era meglio evitare la rivoluzione di ottobre, mantenere il partito socialdemocratico russo dei lavoratori unito, puntare sul rafforzamento della democrazia e sul repubblicanesimo, avanzando i diritti dei lavoratori e puntando sui soviet in democrazia.
ci saremmo risparmiati la guerra fredda, e forse anche la strapotenza nazista.
Marx se non lo si conosce bisogna maneggiarlo con cura.
Quello che mi lascia perplesso è il modo di mettere in fila una serie di argomenti che tra di loro sono slegati.
In primo luogo l'affermazione che il marxismo ha avuto un senso fino agli anni 40.
Se tu avessi voglia di leggertelo Marx vi troveresti una serie di affermazioni e considerazioni sul lavoro, sulle classi sociali e sulla loro composizione che non sono così banali e rigide. Come queste sono sintesi della modificazione dei rapporti sociali insiti nei rapporti di produzione.
I rapporti giuridici che ordinano questi rapporti sociali, nel campo della segmentazione della forza lavoro, non fanno altro che rendere più debole una condizione del soggetto "salariato". ne modificano lo status giuridico non la sua connotazione di classe. Essere un co.co.co, un padroncino con partita iva, un lavoratore flessibile non fa di te un soggetto più ricco ma solo un individuo più ricattabile in funzione della necessità del capitale di poter comandare in modo più efficace sulla forza lavoro che gli "appartiene" in quella forma giuridica (espressione di rapporti di forza) fino a quando ne ha la necessità.
Non mi sembra che dal 1940 questa lettura "marxista" abbia subito delle modificazioni semplicemente perché il capitalismo non è mutato nel modo in cui ordina i rapporti tra i soggetti.
Se la classe dei lavoratori, in primis degli operai e di chi produce valore, esprime una forza in grado di condizionare l'altra parte si modifica anche la percezione che la società ha della classe stessa, riconoscendola e dandole anche maggiori "diritti", ricompattandola ed erodendone l'area più debole (lavoratori con meno diritti) .
Quello che è cambiato è la consapevolezza di un passaggio dall'epoca dell'operaio massa a quello sociale, con una società che produce valore non più soltanto producendo merci ma anche sapere.
Ma è così a livello globale o si è semplicemente spostato in altri luoghi quel soggetto?
Marx non si occupa delle idee "liberali" per come tu le intendi, se con questo ti riferisci alla categoria dei diritti in senso lato, seguendo un approccio "liberal" perché è cosciente che quei diritti maturano in modo proporzionale al modo in cui si modifica la società nel suo insieme.
Marx, da ebreo, si è occupato in modo laico della questione religiosa in un modo che non ha eguali fino ad oggi; proponendo una visione libera da tutti i dogmi che fosse lasciata al libero arbitrio dei singoli ma che, allo stesso tempo, maturasse nelle coscienze degli individui in funzione di come si modificava la società nel suo insieme.
I diritti sono maturati nelle coscienze al crescere della forza della "classe" che proponeva una liberazione della società nel suo insieme, partendo proprio dai rapporti che esprimeva l'economia.
Che ci sia una fetta della borghesia che sia laica non è una novità, ma questo che c'entra con il resto?
I borghesi hanno sfruttato per i loro interessi l'alleanza con i proletari (rivoluzione francese) dimenticandosene appena il loro obiettivo è stato raggiunto.
Hanno creato qualche norma del codice civile più in sintonia con i tempi, ma hanno blindato in modo "ferreo" tutto ciò che potesse attentare il principio della proprietà privata che sarà pure un principio liberale ma mica tanto "democratico" per come si esprime nel concreto.
Per chiudere, con i se e con i ma la storia non si fa. Addirittura pensare che la rinuncia alla rivoluzione in Russia poteva aprire un percorso più democratico. Credo che basti rileggersi un qualsiasi testo collocato temporalmente in quegli anni per rendersi conto di come questo discorso non ha senso.