Quelli del 77 ed il loro rapporto con il lavoro
... 'il lavoro è un male necessario per sopravvivere, poi trovo gratificazione in altre cose'. Però dipende da quali altre cose uno può trovare: negli anni 80 non erano molte
... Io non avevo questa cosa del faticare di meno. Perché ho iniziato e lavoravo seriamente e mi sono abituato subito per poter sopravvivere lì, in fabbrica. Per me era importante fare delle cose che avessero un senso, che servissero. Quando io ho tanto tempo libero e non ho fatto cose che sono utili mi sento in colpa...per me è importante sentirsi parte di un mondo e non si tratta di tempo del lavoro, tempo libero, ma di parte della tua vita, faccio qualcosa che mi serve. Fare niente perché non so cosa fare, non lo chiamo tempo libero perché me lo sento costretto in qualche cosa.
... Sull'idea di lavorare poco: siamo al mondo con tanti altri esseri umani, tante altre forme viventi che ci sono e facciamo delle cose che servono per tutto il resto, allora l'idea di lavorare il meno possibile mi stona in qualche modo. Mi andava bene 20 anni fa, perché quando si è ragazzini è giusto essere ribelli, essere contro tutti e cercare di cambiare tutto senza neppure pensare bene a cosa si fa. ... Però sono al mondo, cosa ci sto a fare? Faccio quello che è nelle mie potenzialità, nel mio destino, che sono in grado di fare, che posso fare meglio. Certo, secondo certe coordinate: non andrei mai a lavorare in una macelleria o in una fabbrica di armi nucleari. Ma con certi principi e cercando di utilizzare le mie energie nella maniera più decente, simpatica che mi viene in mente. Mi suona male l'idea: "lavorare il meno possibile, voglio il tempo per fare le altre cose", perché è l'alienazione di questo mondo, del tempo libero, la televisione... "consumate, andate al mare, prendete la villa", sono le balle che si contano. In realtà si cerca di essere sempre più veloci, cercare di fare le cose sempre più in fretta... . Una parte è il tempo del sacrificio, una parte il tempo del cosiddetto divertimento: ma sei cosi alienato e stressato e quindi ti stressi e ti alieni ancora di più. Allora ci vuole un minimo per quanto possibile di unità, amalgama nella vita, omogeneità. Quando c'è bisogno ci si riposa, ma si è attivi, si fanno delle cose.
Non sono miliardario, non ho eredità alle spalle, quindi devo tenere presente la realtà: il dato di fondo prevalente è cercare di fare cose che mi interessano e mi piacciono... ogni giorno utilizzato per cose che non mi piacciono, che non mi divertono è un bel peccato, un vero spreco, perché ne ho sempre meno di tempo. Non credo nel paradiso e palle varie quindi o mi diverto e sto bene qui o sbaglio proprio tanto. Allora, sentir dire 'questo lavoro non mi va, però qui, là, su, giù ' mi suona strano. Se una cosa non ti va sbattiti, prova, prendi cantonate, sbagli, perché sbagliare fa parte della nostra natura, però cerca qualcosa di diverso. Io in alcuni momenti della mia vita ho fatto cose solo per soldi e sono arrivato all'impazzimento, all'alienazione proprio. Mi sono capitate cose che di soldi ne facevo un mucchio, ma non me ne fotteva un cazzo. Odiavo quello che facevo, era contro i miei principi. Ho retto un po' per i soldi ma poi via! se no mi portavano alla neurodeliri.
... Un'idea che anche io ho avuto per molto tempo era: 'il lavoro è un male necessario per sopravvivere, poi trovo gratificazione in altre cose'. Però dipende da quali altre cose uno può trovare: negli anni 80 non erano molte. Allora c'è uno sforzo, davvero molto individuale in certi periodi, in altri lo è meno, per fare un lavoro più gratificante. Lo sforzo era collettivo quando ci sono stati movimenti che hanno permesso di lavorare in modi migliori, perchè uno conquistava dei diritti. In altri periodi uno si trova a sfangarsela da solo. Io, individualmente, ho cercato un lavoro che mi gratificasse anche dal punto di vista delle scelte politiche e questo è legato a certe idee che c'erano nel 1977. Mi sono buttata nella ricerca all'Università: per me ha voluto dire fare ricerca in modo da mettere in evidenza nodi, conflitti, contraddizioni della società in cui viviamo, del mercato capitalistico. La mia idea è di fare cultura, di leggere la realtà, mettendo in crisi il pensiero dominante che dice: è il mercato l'unico parametro vincente. Analizzando la città saltano fuori un sacco di cose che che sono in conflitto col mercato. Allora: poco guadagno, ma un lavoro che mi piace, con un senso politico... Ma, anche se così ti senti in parte realizzata, il tempo non è tuo. Vendi il tuo lavoro a qualcuno: può essere lo stato se vai nell'università, e anche lì ci sono delle regole da seguire, ma, sempre di più, è il committente privato che è interessato a farti dire delle cose piuttosto che delle altre. Neppure questo è un lavoro utopico: ha degli aspetti molto belli, e mi ritengo fortunata a farlo, però ha grossi limiti: ti devi confrontare con chi paga. Per quanto il lavoro ti sembri utile, lo fai secondo delle condizioni che non sono poste da te e su cui difficilmente riesci a manovrare individualmente.
La mia scelta è stata di cercare di mantenere coerenza nel modo di pormi rispetto a me stesso, alla vita, e quindi di cercare anche all'interno del lavoro di non farmi fregare dalla divisione dei tempi. Sul lavoro mantengo una mia posizione che è trasversale alle varie realtà di vita, per cui non sono sul lavoro molto diverso da come mi vedete qui. E questo è quello che in parte ci ha contraddistinto rispetto ad altri. Per cui forse il mio benessere non è tanto cercare il lavoro che mi piace di più oppure lavorare meno, ma è, all'interno delle varie situazioni che vivo, mantenere o affermare il mio punto di vista.... Cerco anche di adattare il lavoro alle mie aspettative; per cui che io faccia lavoro sociale corrisponde molto alla mia idea. Faccio un lavoro in cui c'è una grossa idealità, mi occupo di handicappati, ma mi piace molto ragionare il termini di idealità. La mia attività è cercare di fare dialogare fra di loro delle diversità, e questo credo che sia una delle questioni centrali di una società complessa come la nostra.
Siccome non sono in grado di fare una serie di lavori, cantante, attore, cose che mi permetterebbero di fare delle cose carine in poco tempo, il mio rapporto con il lavoro è semplicemente: ho bisogno di soldi, quindi lavoro, poi tento di fare il meno possibile e la mia vita è all'esterno dal lavoro. Io non sono mai riuscito a distinguere il termine lavoro dal termine fatica e obbligo, sono stati sempre sinonimi: lavoro, fatica, obbligo. Nel senso che anche a me piace studiare, mi piacerebbe fare delle ricerche, però in realtà se ci penso bene a me piace leggere più che studiare, perché è il passaggio faticoso del dopo aver letto devi dare un prodotto, hai delle scadenze, hai degli obblighi. Già lì diventa un lavoro e mi diventa una cosa particolarmente insopportabile.
Una cosa che ci arriva dal '77 è quella della coerenza e della ricerca di un lavoro, quando si riesce a trovarlo, in cui ci sia dentro anche una idealità, cioè il fatto di lavorare per una prospettiva di cambiamento o comunque di costruire qualcosa che ha un valore anche se è fatto nella società di adesso, con tutti i condizionamenti eccetera. Questa è una cosa che ci arriva dal '77: la questione della coerenza.
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