La storia di Valerio raccontata da sua madre Carla

Nel febbraio del 2005 sono stati 25 anni che Valerio non c’è più, e sono cominciate le interviste. Si sono ricordati di ciò che avvenne il 22 febbraio 1980. Tutto cominciò con una telefonata dell’ANSA che mi chiese cosa ne pensavo della famiglia Mattei (avevano perso due figli nell’incendio della loro casa) che avrebbe voluto sapere la verità sull’uccisione dei loro figli; naturalmente risposi che erano nel loro pieno diritto e che anche io vorrei sapere chi uccise Valerio. Il giornalista dell’ansa mi disse: “Ma lei è di un altro colore politico”, ed io risposi che di fronte all’uccisione dei figli e di giovani non esiste nessun colore. Il giorno dopo i giornali riportarono ciò che dissi, e mi telefonò il dr. Bruno Vespa per invitarmi a Porta a Porta; gli risposi che non sarei andata in studio, se voleva poteva mandarmi i suoi operatori a casa. Credevo si rifiutasse, invece mandò tutta la squadra ad intervistarmi e poi trasmisero tutto a “Porta a Porta”. In seguito ci furono altre richieste di TV e tutti mandarono i loro inviati ad intervistarmi a casa. Teleroma 56 fu la migliore; poi Dossier storie, Terra, Cominciamo bene, Uno mattina, Blu notte, L’Incudine, solo Costanzo rifiutò e non mi importò niente perché mi è proprio antipatico. Poi ci furono i giornalisti dei giornali. Un giorno mi telefonò la segretaria del presidente dell’11ma circoscrizione di Roma che chiedeva un colloquio. Lo ricevetti, una persona squisita e sinceramente sembrava interessato alla storia di Valerio; da quel giorno si sono mosse altre persone. Venne il sindaco Veltroni con un codazzo di giornalisti, venne il presidente della mia circoscrizione dr. Salducco.

Il giorno dell’anniversario dei 25 anni ci furono tanti amici di Valerio e altri alla manifestazione che tutti gli anni facevano, ma quell’anno fu più imponente. I ragazzi fecero anche un murales con il viso di Valerio, ma nella nottata i fascisti lo cancellarono, ricevendo critiche da tutte le parti; ma ormai era distrutto. Il 25 Febbraio dello stesso anno, giorno del suo compleanno, Veltroni ha intitolato viale Valerio Verbano nel Parco delle Valli: è stata una bella cerimonia alla quale è intervenuto anche il papà di Valter Rossi, altro compagno ucciso, ma chi mi ha fatto veramente piacere vedere è stato il dr. Andreassi, ora prefetto.

Il sindaco mi ha messo a disposizione un avvocato, il senatore Calvi. Speriamo che riesca a fare qualche cosa. Poco tempo fa mi chiamarono nuovamente in tribunale, per farmi vedere delle foto, ma erano quasi tutte vecchie, gente che avevo già visto, e alcune non mi dicevano proprio niente. Meno male che si danno ancora da fare, questo mi consola. L’avvocato mi ha detto che ci sono delle speranze, e io spero.

Ora torno indietro di parecchi anni, nel 1979.
Valerio un pomeriggio andò con altri compagni in campagna a sparare dei pedardi fabbricati da loro, ma una pattuglia della polizia (o una spiata) li intercettò e fermò tutti quanti, solo che l’unico maggiorenne era Valerio che aveva compiuto i 18 anni due mesi prima; lo portarono a Regina Coeli, gli altri a Casal del Marmo. Mio marito ed io eravamo fuori e quando tornai a casa da sola, mentre mi stavo cambiando gli abiti, sentii suonare: aprii la porta e mi trovai di fronte alla polizia, si presentarono e mi dissero cosa era accaduto,un colpo per me, mai avrei immaginato che mio figlio potesse fare una cosa del genere; con il mandato di perquisizione che avevano, cominciarono a cercare nei cassetti, trovarono foto un dossier (il famoso DOSSIER) e per giunta una pistola. Quando la vidi mi sentii gelare, da dove sbucava? Non l’avevo mai vista. Fatto il loro lavoro se ne andarono ed io rimasi in attesa di mio marito; come raccontargli cosa era accaduto? Infatti come rimase non so descriverlo.
Vennero degli amici che avevano sentito la notizia alla radio, dalla quale avevano sentito descrivere mio figlio come un fabbricante di bombe. Prendemmo un avvocato, ma purtroppo mio figlio fu condannato a sette mesi con la condizionale. Cominciò l’odissea avanti e indietro fra avvocati e carcere per i colloqui; poi mio marito, una notte, si sentì male e lo portai al Policlinico Gemelli.

Ero rimasta sola a dover gestire tutto, lui non mangiava il cibo dell’ospedale e i medici mi fecero un permesso per portarglielo da casa. Era un viaggio andare al Gemelli ma io tutti i giorni ci andavo lo stesso, questo per 35 giorni; in più dovevo gestire il problema di fare, una volta alla settimana, i pacchi di cibo per Valerio: meno male che mi aiutavano le sue amiche compresa Manuela, ma credetemi, non auguro a nessuno quello che ho passato in quel periodo. Finalmente il processo d’appello, e ad ottobre Valerio uscì: andai a prenderlo e non vi dico la gioia che provai a poter vedere il mio ragazzo fuori di lì. Era finito l’incubo.
Mio marito stava meglio, ma gli avevano riscontrato un’epatite, diabete e ipertensione, perciò si doveva curare; speravamo che tutto fosse finito, sbagliavamo.

Un giorno Valerio era con Manuela, quando lo chiamarono perché c’era in corso una rissa a piazza Annibaliano, tra fascisti e autonomi. Lui andò e non ho mai saputo da chi ebbe un coltello; morale della favola: per difendere il suo amico Massimo diede una coltellata ad uno e lui si prese una martellata in petto. Noi abbiamo saputo questo dopo la sua uccisione, quella sera non venne a casa perché lo portarono da un medico, e telefonò dicendo che stava a casa di un amico; era vero però ci nascose il fatto, non voleva farci sapere cosa era successo. In quella occasione Valerio perse una borsa (che era mia) con dentro il documento di identità, così i fascisti seppero chi era. Quando venne a casa la mattina dopo non ci disse niente e tutto continuò come prima: andava a scuola, venivano i suoi amici di sempre, compresa Manuela; sembrava tutto tranquillo. Fino a quel maledetto 22 febbraio 1980.

Valerio è morto e il segreto è lì con lui. Ci furono i funerali il 25 febbraio, giorno del suo compleanno in cui avrebbe compiuto 19 anni: ma si può morire in quella maniera a 19 anni? È assurdo, nel fiore della gioventù! Io non posso pensare che i suoi assassini vivano ancora, magari hanno famiglia, dei figli: come fanno a vivere tranquilli, a guardarli in volto? Durante i funerali ci furono tafferugli con gas lacrimogeni anche dentro il cimitero; tanta gente era venuta anche da fuori Roma. Ci accompagnarono al loculo che avevano assegnato a Valerio in un palazzone ed io scelsi il loculo in alto: mi sembrava il meglio.
Tornammo a casa in uno stato di disgusto per come si era comportata la polizia e sempre più distrutti per aver perso nostro figlio in quella maniera.

Cominciarono dal giorno dopo ad invitarci ad andare alla Digos per farci vedere delle foto di fascisti : speravamo e speravano di poter riconoscere quello che avevo visto io, ma era stato un attimo. Provai a descriverlo: era molto somigliante ad un amico di Valerio, certo non era lui, ma era sul tipo suo; poi anche in tribunale quando vi erano dei processi di militanti di destra, ma nessuno gli somigliava.
Passava il tempo, ci erano vicini i compagni di Valerio, Manuela che era la sua ragazza, ci aiutavano a sopportare questa tragedia immensa. Nessuno delle autorità ci venne a trovare, non ci mandarono nessuno psicologo per aiutarci a trovare un poco di serenità, cosa che hanno fatto invece con le famiglie che avevano perso i figli fascisti: loro erano di serie A, e noi di quale serie? Serie da lasciare soli.
Ci aiutammo a vicenda mio marito ed io, solo che, più forte di carattere, non sono mai riuscita a piangere, cosa che invece mio marito faceva spesso. Ho pagato dopo questa mia durezza con un bel cancro all’intestino; sono colostomizzata, sapete cosa significa? Significa vivere fino alla morte con la deviazione del retto sull’addome; un bell,impiccio, che io sopporto perché dopo la morte di mio figlio tutto è niente in confronto.

Nel 1988 mio marito si è ammalato ed è morto di cirrosi epatica, una epatite trascurata se lo è portato via. Altro dolore, diverso da quello di mio figlio, ma pur sempre grande, anche perché mio marito era molto buono, adorabile, una persona che mi ha aiutato nei momenti peggiori anche a superare la mia invalidità. Ora sono sola e sto aspettando la fine, però, prima di andarmene vorrei sapere chi è stato.

fonte: Carla Verbano

A pugno chiuso Valerio

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