Il periodo del colonialismo, la creazione delle compagnie delle Indie, l'impatto dei commerci sugli usi e costumi degli europei e dei popoli coinvolti nei mutamenti che si andavano producendo sono descritti in un'opera intitolata
L'Histoire des deux Indes. L'autore è
Guillame- Thomas Raynal a cui un contributo corposo lo dette
Diderot.
Ma cosa cambiò, ad esempio, nell'alimentazione? Uno dei settori su cui le suggestioni legate al territorio e declinate in funzione antiglobalizzazione più hanno successo di questi tempi?
Di seguito un contributo tratto dal sito :http://www.unarosadoro.com
Mutamenti nell'alimentazione
Rispetto ai mutamenti evolutivi del costume,della politica,dell’economia,l’alimentazione è cambiata nel tempo molto lentamente:non si intende qui affrontarne l’intera storia,ma prendere in considerazione un periodo di tempo ben definito,quello che va dall’inizio del XVI alla fine del XVIII secolo e in particolar modo i decenni centrali di quest’ultimo,in cui si nota una fase di notevole accelerazione nel processo di cambiamento dei prodotti alimentari e specialmente delle bevande con l’introduzione del caffè e del tè .
Ciò ha fatto parlare di “rivoluzione dei consumi alimentari”, anche se non si trattò né di un fatto politico né dell’adozione di nuove ideologie. Qui per ‘rivoluzione’ si intende un ‘cambiamento piuttosto rapido nei consumi e negli usi ’ che diffonde nuove abitudini e muta per conseguenza i costumi.
Nella vecchia Europa per secoli gli alimenti erano rimasti qualitativamente uguali. La scoperta dell’America introdusse elementi nuovi che però non furono tutti accettati subito contemporaneamente né dovunque.
E’ il caso del mais,che, portato in Spagna da Cristoforo Colombo, vi restò quasi ignorato,ospitato come curiosità negli orti dei botanici e solo alla fine del Cinquecento fu seminato in alcuni luoghi dell’Europa - nel Veneto per l’Italia - dove si voleva fare esperimento per un nuovo foraggio.
Le patate, portate nel loro continente dagli Spagnoli che avevano conquistato il Perù, arrivarono ancora dopo.
Per alcuni prodotti l’America dunque fu il luogo d’origine, per altri il terreno fertile per inserirvi piante provenienti dai vecchi continenti che però là trovarono il clima d’elezione per riprodursi in abbondanza .
Così accadde per lo zucchero,che, derivando dalla canna nativa dell’Asia e dell’Africa, si era diffuso prima a Madera e nelle altre isole atlantiche,quindi passò nelle Antille e nel Brasile: però restò ancora per molto un prodotto di lusso e non aveva ancora il primo posto come dolcificante,detenuto sempre dal miele.
Dal 1740 al 1780 si verificarono quei rapidissimi mutamenti cui prima si è accennato:il mais,nel 1780 , rappresenta già il 40% dei cereali prodotti.
La patata,che nei primi del ‘700 era vista con sospetto,come “cibo malsano e poco nutriente” , ottanta anni dopo ha un posto di primo piano nell’alimentazione soprattutto in territorio tedesco e irlandese.
Lo zucchero raddoppia i consumi, il mais viene portato dai Portoghesi in Africa e in Asia.
Ma la conquista più importante fu quella realizzata dai piantatori europei che immisero nelle terre tropicali di tutto il mondo le coltivazioni delle piante che avrebbero fatto poi la fortuna del capitalismo :cacao,tabacco, zucchero e caffè,cui si aggiungeva anche il tè, che però veniva dall’Asia e difficilmente poteva essere coltivato altrove.
La possibilità di effettuare l’inserimento di coltivazioni provenienti da altre terre fu facilitata dall’estendersi del colonialismo,che consentì alle potenze mercantili europee una straordinaria disponibilità di territori da sfruttare e nel contempo vasti mercati su cui riversare il surplus della produzione che non veniva venduta in Europa.
Il caffè :una bevanda “politicamente pericolosa “
Negli ultimi decenni del ‘700 fu stampata e venduta con successo a Parigi un’opera,di autore anonimo,(il cui luogo di pubblicazione,falso, risultava essere Amsterdam),che trattava della diffusione del commercio coloniale e dell’ideologia che lo ispirava.
Il testo in realtà era stato scritto dall’abate Guillaume Raynal , molto vicino all’ambiente illuministico,tanto da poter ottenere,per la successiva edizione del libro,la collaborazione ,segreta, di Diderot.
Lo scritto era e rimane una rara testimonianza della mentalità del tempo e di notizie quali circolavano allora nella realtà europea relativamente ai prodotti provenienti da luoghi prima sconosciuti e poi rivelatisi fonti di approvigionamento e di grande guadagno per il Vecchio Continente.
Nell’opera si parla ,fra l’altro, diffusamente del caffè,del quale si dice che è originario dell’Alta Etiopia,dove lo si coltiva sempre con successo.
Secondo lo scrittore, si ritiene che un Mullah,di nome Chadely,sia stato il primo Arabo ad apprezzare il caffè,di cui per caso aveva scoperto la virtù di allontanare il sonno che gli impediva di dedicarsi alle sue preghiere notturne. In più,il caffè purificava il sangue,rallegrava lo spirito,manteneva vigili e attenti.
Dal momento che i maomettani non potevano bere vino né altre bevande alcoliche, adottarono subito con grande entusiasmo il caffè,e, poiché esso si beveva a Medina, alla Mecca, i pellegrini che vi si recavano,dopo averlo trovato di loro gusto,ne recavano notizia in tutti i paesi musulmani.
Si racconta che a Costantinopoli un giorno il Gran Visir Kuprulu ,travestitosi,in incognito si recò nei principali locali dove si vendeva e si serviva la nuova bevanda,il caffè appunto,che aveva un successo straordinario.
Vi trovò una folla di gente esagitata, scontenta e incline alla protesta, che parlava male del governo e criticava con molta arditezza e libertà l’operato dei ministri e dei capi dell’esercito.
Il Gran Visir volle però fare un giro anche delle taverne dove si vendeva vino. Erano piene di gente semplice e alla buona, soprattutto di soldati,che, abituati a guardare agli interessi dello Stato come ad affari del Principe da loro servito con abnegazione,non se ne lamentavano,ma si occupavano di tutt’altro,cantavano allegramente, parlavano dei loro amori, delle loro imprese di guerra.
Ciò gli sembrò che si potesse tollerare,nonostante la proibizione del Corano di non bere vino, ma giudicò del tutto inaccettabile il caffè,che eccitava gli animi e si rivelava “politicamente pericoloso” .
Perciò fece chiudere tutte le caffetterie di Costantinopoli.Ma questo, lungi dal diminuire l’uso del caffè, ne estese il consumo,nonostante il suo prezzo fosse piuttosto alto. Infatti lo si cominciò a vendere già preparato in tutte le strade,nelle case si prendeva almeno due volte al giorno e lo si faceva ogni ora per poterlo offrire a chiunque arrivasse: era considerato ineducato non offrirlo o rifiutarlo.
Quando si chiusero i caffè a Costantinopoli si aprirono a Londra.
Pare che nel 1652 un mercante chiamato Edward tornando dai paesi del Levante ne portasse in Inghilterra.
Gli Inglesi lo trovarono di loro gusto.Dal loro paese si diffuse in tutta l’Europa così che nel Settecento si conosceva ovunque.
Tuttavia veniva consumato con più moderazione che nei paesi arabi,dove l’alcool era proibito.
Il caffè arabo ed etiopico diminuì di prezzo quando cominciò a diffondersi quello ottenuto nelle coltivazioni coloniali dalle nazioni europee.
Il tè,bevanda nazionale degli Inglesi
Dalla stessa fonte, cioè dalla “Histoire du commerce” dell’Abate Raynal, si possono ricavare notizie sulla
diffusione del tè in Europa,in Inghilterra e nelle sue colonie d’America.
Originario della Cina, dove viene chiamato “tcha” ,il tè
è un arboscello che cresce raramente oltre i 5-6 piedi.
A seconda dei luoghi e della qualità del terreno in cui cresce e dell’acqua che lo irriga,il tè prodotto si divide in una grandissima varietà di coltivazioni.Ce n’era uno, sostiene Raynal, che in Cina si adoperava solo per i malati,ed uno che era adatto solo per i Tartari,ai quali serviva un fortissimo dissolvente a causa della carne cruda che consumavano.
Tre sono i tipi comunemente usati in Cina,uno per la mattina, uno per il mezzogiorno e uno per le ore successive al tramonto . I vantaggi che ne derivano dipendono dalla stagione di raccolta delle foglie e dal modo in cui si fanno seccare.
Il primo e migliore raccolto si fa al principio di marzo: le foglie sono piccole e tenere, e da esse, disseccate all’ombra, si fa il tè migliore,quello detto “imperiale” perché era appunto destinato all’Imperatore.
I Cinesi fanno un grande uso di tè anche durante i pasti
e pensano che, se non conservassero le foglie un anno prima di impiegarle,il loro infuso danneggerebbe il cervello e i nervi.
Bisogna sottolineare il fatto che l’infuso di foglie di tè non si diffuse per una moda o per un capriccio:il tè in realtà servì a correggere le acque sgradevoli e malsane.
Poiché le frequenti inondazioni e gli inquinamenti delle falde acquifere rendevano in Cina l’acqua scarsamente potabile, gli abitanti avevano finito col cercare –e trovare- una sostanza che con il suo intervento migliorasse la bevibilità del liquido essenziale per la vita.
Senza volerlo poi il fatto di dover portare l’acqua ad una temperatura elevata se non all’ebollizione per fare il tè aveva contribuito ad eliminare gran parte dei batteri contenuti nelle acque non perfettamente potabili, conferendo al tè anche una funzione igienica di prevenzione delle infezioni intestinali.
Poiché i primi Europei che conobbero la Cina la apprezzarono moltissimo,considerarono positivo tutto ciò che da essa proveniva ed accettarono così anche l’idea entusiastica che i Cinesi hanno del tè.
Tuttavia il tè che si beve fuori dalla Cina non è come quello cinese.
Noi lo beviamo troppo caldo e troppo forte,ci mettiamo lo zucchero,aggiungiamo aromi(limone,menta,latte) e liquidi nocivi(cognac,rhum).Ma, comunque, basterebbe il trasporto dal luogo di origine alle nostre terre a fargli perdere il sapore originario.
Tuttavia la nazione che ha adottato in massa l’uso del tè a tutte le ore del giorno (e non, come solitamente si pensa, solo alle 5 del pomeriggio ),è l’Inghilterra,che ne ha diffuso l’uso anche nelle sue colonie, specie quelle americane.
Nell’elenco delle merci importate in Gran Bretagna durante il 1766 il tè occupava il primo posto con 6 milioni di libbre di prodotto l’anno,contro i 4 milioni e mezzo degli Olandesi,i 2 milioni e 400mila degli Svedesi e pari quantità per i Danesi,seguiti dai Francesi con 2 milioni e 100mila libbre.Si faceva il conto che ,compresi i diritti doganali, la “mania della foglia asiatica” costasse all’Inghilterra 3 milioni e 200mila sterline di quel tempo.
Caffè e tè:il parere di un medico alla metà del Seicento
Sul caffè e sul tè nel XVII secolo i pareri erano discordi.
Gli Olandesi che, come gli Inglesi avevano per tempo conosciuto il tè,ne avevano apprezzato i lati positivi scoprendone anche qualcuno negativo,come per esempio il fatto che anche il tè, come il caffè,preso in grande quantità o se è troppo forte, eccita al pari di quello (oggi si sa che,se il caffè contiene caffeina, nel tè c’è la teina che ha effetti simili).
Ma in Italia,dove pure il caffè era conosciuto dalla prima metà del ‘600,v’erano anche medici e scienziati contrari al suo uso.
Una testimonianza a tal proposito viene dai “Consulti medici” di Francesco Redi,nella seconda metà del ‘600.
Il Redi, ad un personaggio che gli chiede se possa bere un caffè dopo cena,risponde che questa bevanda “..gli imbratterà di nero la bocca e i denti,il che sarà una bella vergogna…”.Egli poi considera il caffè “…carbone polverizzato e stemperato nell’acqua..” ed è “..degno ristoro di quei Turchi incatenati nelle galere di Civitavecchia e di Livorno…”.
Il medico consiglia invece al suo paziente l’assunzione del tè, di cui nega quel che dicono gli Olandesi, cioè che impedisca il sonno sostenendo che egli stesso ne ha fatto esperimento e non ne ha avuto danno alcuno,specialmente se la bevanda viene fatta con il tipo di foglie che si chiama “tè nero”.
Tuttavia tè e caffè non furono abbastanza diffusi e graditi sin quando non si unì ad essi lo zucchero,che dall’Asia e dall’Africa,nella forma originaria della canna da cui deriva,fu poi prodotto nelle Canarie e in America e servì per apprezzare meglio anche il cacao.
Tornando dunque là da dove avevamo iniziato il nostro discorso,si può affermare che dalla fine del XVIII secolo ai nostri giorni non si sono fatte scoperte di bevande così nuove e rivoluzionarie come quelle di cui si è parlato: solo la coca-cola ha riscosso tanto successo e destato tanta curiosità.Ma se si guarda bene tra i suoi ingredienti, si scopre che in essa c’è del caffè…-
(Miss Aribari)
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