Berlusca, Marchionne e il fascismo che avanza

«Ci impegneremo a fare diventare legge lo Statuto delle imprese entro l'autunno, perché quello che va bene alle imprese va bene all'Italia. Vogliamo arrivare a un nuovo sistema in cui non si debbano chiedere più permessi, autorizzazioni, concessioni o licenze: che sono per me un linguaggio e una pratica da Stato totalitario, da Stato padrone che percepisce i cittadini come sudditi».

Questo è ciò che ha dichiarato il novello duce miliardario. Lui afferma che quello che va bene alle imprese va bene all'Italia. Probabilmente si riferisce a quell'entità geografica che è altra cosa rispetto a chi la abita. 
Qualcuno prima di lui è arrivato alle stesse conclusioni e si chiama Marchionne.



Nella recente trattativa che lo vede protagonista, tramite i suoi galoppini, su Pomigliano ha presentato una bozza di accordo che tra le altre cose prevede:

1- possibilità di derogare al riposo tra un turno e l'altro stabilito oggi stabilita in 11 ore.
2-una nuova organizzazione del lavoro che aggancia la produttività del singolo ad una serie di parametri di tipo "scientifico".
3- sanzioni per sindacati e singoli lavoratori che mettano in atto comportamenti "idonei a violare, in tutto o in parte e in misura significativa le clausole dell'accordo.
4-aumento delle ore straordinarie comandate dall'azienda (120 contro le 40 di oggi)
5-non pagare la malattia se questa supera la media di assenteismo fisiologico.

Queste alcune delle cose più macroscopiche. In buona sostanza l'azienda vuole avere mano libera e, in questo, la possibilità di utilizzare la manodopera indipendentemente dal fatto che quel lavoratore abbia o meno dormito e riposato il giusto per recuperare energie, così come vuole sancire una sorta di patto che le permetta di sanzionare i comportamenti "sindacali" attuati con scioperi da chi, nel tempo, magari pensa che è necessario protestare per condizioni non sopportabili ( a proposito di totalitarismo).

Questa cultura d'impresa si preoccupa del capitale umano in accordo a quella legge economica che sancisce come questo, essendo  uno dei fattori della produzione, deve essere sfruttato al massimo.
Non interessano le persone e i loro diritti, vale il sacro principio del profitto.
Agganciata alla proposta c'è una sorta di ricatto che dice in poche parole che se queste condizioni non vengono accettate Fiat andrà da un'altra parte.

Così assistiamo ad un teatrino in cui il fronte è spaccato tra sindacati accomodanti (UIL e CISL) e gente che resiste. Che io sappia nessuno si è scandalizzato per questa minaccia di delocalizzazione che sancisce un perimetro di sfruttamento alla cinese se non si è d'accordo. Si va da un'altra parte perché questi cazzo di operai italiani non si lasciano sfruttare fino in fondo.

E così mentre qualche anima bella si occupa di fuffa come la decrescita (criticandola) e qualcun altro, come Fassino, vede in uno come Marchionne un "socialdemocratico", il fascismo, quello vero, avanza. In fondo Mussolini nel 22 riportò l'ordine nelle fabbriche e nelle campagne pagato dai padroni e dai latifondisti.

Mancava la cornice del banana a questo quadro, le sue lacrime di coccodrillo sull'impresa e sugli imprenditori, le parole di chi lo esalta perché al centro c'è finalmente la sacralità dell'impresa.
Ora quella c'è. Aspettiamo speranzosi che qualcuno colleghi tutti questi elementi tra di loro e ne tragga le conseguenze.



Qui il link della Fiom da cui potete scaricare il testo proposto da Fiat.

Commenti

Matteo ha detto…
"Un sistema in cui non si debbano più chiedere permessi, autorizzazioni, concessioni o licenze"
Faceva prima a dire, un sistema in cui voi imprenditori potete fare quel cazzo che volete senza dovervi preoccupare dei sindacati (venduti) e delle tutele dello Statuto dei Lavoratori (presto completamente smantellato).
E se si limitassero a far passare tutto questo per una necessità economica sarebbe falso lo stesso, ma almeno avrebbe un senso, ma spacciarlo anche come una "libertà" dei "cittadini" (come se tutti i cittadini avessero un'impresa) questo mi fa ancora più incazzare.
E il problema è che questa cultura si sta diffondendo, anche sotto altra veste, quelli che "le imprese pagano troppe tasse", "ci vuole più libertà di impresa", "i lavoratori sono troppo protetti" e via discorrendo.

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