Correre, il risveglio
ll tempo sembrò fermarsi. Immobile lasciò che lo sguardo vagasse sul lussureggiante intreccio della macchia arborea. La luce del giorno che moriva regalava riflessi cangianti alla giungla che si stendeva a perdita d’occhio davanti a loro. Riconobbe la macchia rosso scuro dei caoba e dei cedri, gli alti e flessuosi chicozapote, gli alberi della gomma sul cui tronco si sovrapponevano le ferite delle ripetute incisioni, i piccoli sapote dai frutti dolci e succulenti, gli alti ceiba a cui la mitologia messicana aveva affidato un ruolo sacrale. – Tierras calientes – mormorò rapita.
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La bocca impastata, formicolio alle gambe. Prime sensazioni del risveglio. La difficoltà nel mettere a fuoco l'ambiente circostante, si stropicciò gli occhi.
Il freddo dell'immobilità.
Si stirò spingendo le braccia davanti a sè, intrecciò le mani, provò a riprendere il controllo del corpo ancora intorpidito e distante.
Ebbe subito la sensazione di non essere solo in quel luogo, si voltò e la vide.
Il sole stava andando via, i colori graduavano verso il nero della notte offrendo tonalità e sfumature calde.
Stava di spalle, accucciata ed assorta. Immersa in quel paesaggio.
Si chiese il perché di quella presenza. La ricordava per come l'aveva vista l'unica volta che si erano incontrati. L'ordine dei suoi capelli neri, la cura dei dettagli, la forma del suo corpo nascosto ma evidente a lui. Le mani affusolate, e le unghia laccate. Gli occhi neri, il sorriso.Ricordava ancora il suo tocco ed il suo calore, quello dell'unico abbraccio.
Scacciò il ricordo. Altra gente ed altra vita. Cose distanti e mai amate.
Ora era lì, l'ordine non c'era più. I capelli scompigliati, la pelle del viso rossa per l'aria ed il sole, l'affanno che si intravedeva dal modo in cui respirava. Eppure era più bella. Così.
La bellezza, un canone a cui non aveva mai dato importanza. Però lei era anche bella. Ma distante.
-cosa ci fai qui?
Pensò a questa domanda ma lasciò perdere. A che serviva? L'unica spiegazione poteva essere la curiosità per uno come lui, forse neanche quella.
La noia, ecco proprio la noia poteva spingerla su quel sentiero.
Un bel problema una così in quel posto.
Doveva riprendere la corsa, giungere in prossimità del primo lago. Cercare l'acqua ed accendere il fuoco. Aveva con sè solo il sacco a pelo. Pensava a come raggiungere il villaggio, i suoi amici. E quella presenza era un ingombro.
Intorno tutto sfumava, gli animali iniziarono a farsi sentire nella selva. Era ancora distante ma la vita lì era prepotente, debordante nei rumori ed in tutto ciò che gli si offriva alla vista.
Avrebbe mai potuto raccontarlo un posto così?
Fu in quel momento, mentre si preparava per partire, che lei si voltò. Sorrise e lo salutò.
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Si era sentita osservata, ma era rimasta immobile. Lo aveva sentito muoversi mentre radunava lo scarno bagaglio. In silenzio, senza una parola. Si spostava senza quasi far rumore. In fretta e con sicurezza. Sbirciò nella sua direzione, non volendo essere la prima a parlare. Ancora le bruciava l’essere stata abbandonata a se stessa. Alla fine capitolò. Confezionò uno dei suoi migliori sorrisi e si girò. – Dormito bene? – chiese.
Cercò di sostenere il suo sguardo ostentando una sicurezza che non provava. Lui la guardò con occhi penetranti. – Pronta a ripartire? – le domandò infine. Non attese la risposta. Caricò sulle spalle il sacco a pelo, lo sistemò bene sulla schiena e si avviò. Stizzita, lei prese la voluminosa sacca che costituiva il suo bagaglio e tentò di sollevarla. Il peso la fece barcollare all’indietro. Lo vide guardarla con la coda degli occhi e sorridere sornione. Scuotendo la testa tornò indietro, le sistemò la sacca e riprese il cammino. La marcia fu interminabile oltre che faticosa.
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