Correre, la notte
Assaggiò quello che aveva messo a bollire. Ci voleva un po' di stomaco, ma meglio di niente. Prese la sua parte mangiando direttamente nella scodella in cui aveva cucinato quell'intruglio. Raccolse il resto e si avviò verso di lei.
- Questo è per te, ti consiglio di metterlo nello stomaco. E' meglio di quel pezzo di cioccolato che stai masticando. Io vado a dormire, quando hai finito buttaci un po' di terra nel pentolino, lo laverò al fiume io domani mattina.
Si voltò ed andò via incurante della sua reazione.
Si tolse solo la camicia e la maglietta che arrotolò e mise come un cuscino sotto la testa.Guardò in alto. La nebbia copriva quasi tutto ormai, il cielo era nascosto così come le cime degli alberi. Le scimmie e gli uccelli iniziarono i loro canti. Il fuoco rischiarava lo spazio intorno. Avvertì qualche brivido, faceva freddo a quell'altitudine.
Ricordò i racconti sulle azioni dell'esercito in quelle zone. Di come rastrellavano la gente e la spingevano fuori da quel territorio.Il lavoro sporco dei paramilitari, i tanti morti.
Cosa poteva cambiare lui in quella situazione?
Niente. Eppure non sono i discorsi pomposi che ti spingono, nel suo caso l'idea d'invecchiare senza nerbo aveva giocato un ruolo fondamentale. Non voleva arrendersi al tempo, al passare i giorni in modo disilluso voltandosi continuamente indietro, con l'illusione di rivedere quei volti. Gente che non c'era più.
E poi, e poi suo figlio. Quel ragazzo che cresceva tra cose, simboli e valori che lo stavano modificando in qualcosa che lui non avrebbe mai voluto vedere. L'ennesima sconfitta nella sua vita.
Un testimone da lasciare a qualcuno quel suo viaggio, un modo di vivere e guardare le cose che non poteva lasciare solo ai racconti.Bisognava agire, cercare un pretesto e gli ultimi sulla faccia della terra. Quel tipo di persone con cui si era trovato sempre bene.Andare lì ed affondare le mani nella melma, scrutando e sconfiggendo la paura. Quella roba che gli aveva reso la vita prudente.
Ora era lì, le gocce dell'umidità iniziarono a bagnare il terreno intorno. I profumi dell'erba si accentuarono. Avrebbe voluto affondarci la faccia.
Mancava mezza giornata di cammino al villaggio. La gente era lì in attesa. Avrebbe diviso con loro le poche cose, ascoltato i loro racconti, interposto il suo corpo se necessario tra loro e gli altri. Quelli con i mitra.
Si era chiesto se in realtà non fosse alla ricerca della morte. Di un pretesto per porre fine ai suoi giorni. Pensieri che con lui non c'entravano nulla. Voleva vivere. Eccome se voleva vivere.
Quella donna in tutto questo stonava, il suo viso, la sua bellezza lo infastidivano.Una complicazione.
Lentamente il sonno arrivò, con quella dolcezza che trasforma il torpore in qualcosa d'indefinibile. L'ultima cosa che sentì prima di addormentarsi fu lei che si infilava nel suo sacco a pelo. Regisrtò il rumore lontano e pensò solo al momento del risveglio.
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Un universo di suoni sconosciuti accolse il suo risveglio. Spalancò gli occhi smarrita. Ci volle qualche minuto prima di realizzare di essere in mezzo alla giungla con un perfetto sconosciuto. Restò immobile nel sacco a pelo cercando di ricucire tra loro i frammenti di un ricordo che le appariva sfocato. La bocca impastata la ricondusse al momento in cui aveva mangiato l’intruglio amaro che il tipo le aveva offerto. Aveva esitato un attimo. Quella poltiglia di colore indefinito aveva un aspetto e un odore rivoltanti. Ma l’educazione aveva prevalso sul disgusto. Si era costretta a ingoiare quella brodaglia. Ondate di nausea l’avevano assalita imperlandole la fronte di sudore. Ma aveva fame e freddo e quel pasto caldo l’avrebbe aiutata a superare le fatiche del giorno ritemprandola. - Un cucchiaio dopo l’altro – si era esortata – come se fosse una medicina!
Assonnata si era infilata nel sacco a pelo senza spogliarsi. Non ne aveva avuto la forza. Era piombata in un sonno agitato, tormentato dagli incubi. Rabbrividì mentre le immagini le tornavano lentamente in mente. Ricordò gli idoli dal volto di pietra che la fissavano tra nuvole di incenso. Un caleidoscopio di terrificanti maschere cerimoniali vi si era sovrapposto. Nenie lamentose accompagnavano le danze di indios seminudi. Donne piangevano strappandosi i capelli, bambini scappavano, uomini gridavano. Una lingua sconosciuta, suoni gutturali che lei non capiva. Colpi di mitraglia, esplosioni. Gemiti, lamenti, urla. Odore di sangue e di morte. Scacciò il ricordo di quei sogni con una certa fatica. Aveva sentito parlare della magia di quella terra tormentata, ma non voleva che si impadronisse di lei.
Alzarsi fu un problema. Si sentiva anchilosata. Ogni movimento le procurava una fitta di sofferenza. Frugò nello zaino alla ricerca di uno specchietto. Quello che vide non le piacque. La pelle era arrossata, gli occhi avevano un vistoso contorno violaceo, i capelli erano ridotti ad una massa intricata. – Devo rendermi presentabile – pensò – e devo anche fare pipì. Avvertì l’urgenza di soddisfare il suo bisogno fisiologico. Ma come poteva chiederlo al suo compagno di viaggio?
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Un universo di suoni sconosciuti accolse il suo risveglio. Spalancò gli occhi smarrita. Ci volle qualche minuto prima di realizzare di essere in mezzo alla giungla con un perfetto sconosciuto. Restò immobile nel sacco a pelo cercando di ricucire tra loro i frammenti di un ricordo che le appariva sfocato. La bocca impastata la ricondusse al momento in cui aveva mangiato l’intruglio amaro che il tipo le aveva offerto. Aveva esitato un attimo. Quella poltiglia di colore indefinito aveva un aspetto e un odore rivoltanti. Ma l’educazione aveva prevalso sul disgusto. Si era costretta a ingoiare quella brodaglia. Ondate di nausea l’avevano assalita imperlandole la fronte di sudore. Ma aveva fame e freddo e quel pasto caldo l’avrebbe aiutata a superare le fatiche del giorno ritemprandola. - Un cucchiaio dopo l’altro – si era esortata – come se fosse una medicina!
Assonnata si era infilata nel sacco a pelo senza spogliarsi. Non ne aveva avuto la forza. Era piombata in un sonno agitato, tormentato dagli incubi. Rabbrividì mentre le immagini le tornavano lentamente in mente. Ricordò gli idoli dal volto di pietra che la fissavano tra nuvole di incenso. Un caleidoscopio di terrificanti maschere cerimoniali vi si era sovrapposto. Nenie lamentose accompagnavano le danze di indios seminudi. Donne piangevano strappandosi i capelli, bambini scappavano, uomini gridavano. Una lingua sconosciuta, suoni gutturali che lei non capiva. Colpi di mitraglia, esplosioni. Gemiti, lamenti, urla. Odore di sangue e di morte. Scacciò il ricordo di quei sogni con una certa fatica. Aveva sentito parlare della magia di quella terra tormentata, ma non voleva che si impadronisse di lei.
Alzarsi fu un problema. Si sentiva anchilosata. Ogni movimento le procurava una fitta di sofferenza. Frugò nello zaino alla ricerca di uno specchietto. Quello che vide non le piacque. La pelle era arrossata, gli occhi avevano un vistoso contorno violaceo, i capelli erano ridotti ad una massa intricata. – Devo rendermi presentabile – pensò – e devo anche fare pipì. Avvertì l’urgenza di soddisfare il suo bisogno fisiologico. Ma come poteva chiederlo al suo compagno di viaggio?
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