Il destino nelle mani di pochi pescecani della finanza
Questo articolo è del 2002. Vale la pena leggerlo, se lo fate saprete perché di fronte ad un problema che ha queste dimensioni e queste caratteristiche le pallottole della manovra finanziaria del nano sono scoregge
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Il mondo finanziario globalizzato ha creato un proprio Stato sovranazionale, dispone di reti proprie d’influenza e di mezzi d’azione endogeni: il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), che parlano con una sola voce, esaltando in maniera costante le “virtù” del mercato.
La globalizzazione finanziaria aggrava l’insicurezza economica e le disuguaglianze sociali. Sottomette le aspirazioni dei popoli, le istituzioni democratiche e gli Stati, a scapito dell’interesse generale che sostituisce con impostazioni meramente speculative, impostazioni che esprimono unicamente gli interessi delle grandi imprese multinazionali e dei mercati finanziari.
Secondo l’ONU, le 100 maggiori imprese multinazionali possiedono un volume d’affari valutato in 5,5 milioni di milioni di dollari. Analizzando il potenziale economico creato su scala mondiale, delle 100 strutture economiche più poderose del mondo, 49 corrispondono a Stati, mentre 51 appartengono ad imprese multinazionali. Circa il 97% della fluttuazione mondiale di capitali é rappresentato da capitale speculativo che non crea occupazione. In questo senso si osserva come le 100 maggiori compagnie multinazionali del mondo abbiano ridotto l’occupazione di un 4%.
Il capitale finanziario si muove ogni giorno instancabilmente in tutto il mondo. Secondo un rapporto della Federal Reserve Bank of San Francisco, tra 1,3 e 3 milioni di milioni di dollari si muovono giornalmente nel mondo, speculando sulle variazioni delle quotazioni valutarie, alla ricerca di guadagni immediati, al di sopra degli Stati e dei cittadini. In nome della modernità, questi milioni di milioni di dollari vanno e vengono ogni giorno sui mercati finanziari, alla ricerca di rapidi guadagni, senza alcun rapporto con la produzione né con la commercializzazione di beni e servizi.
Il risultato di tutto ciò é un incremento permanente delle rendite da capitale a scapito dei redditi da lavoro, l’aumento dell’emarginazione e l’estensione della povertà in zone sempre più vaste del pianeta.
La libertà totale di circolazione dei capitali, i paradisi fiscali e l’esplosione del volume delle transazioni speculative, trascinano gli Stati in una folle corsa per guadagnarsi i favori dei grandi investitori.
Con il pretesto della sicurezza, i lavoratori sono invitati a cambiare il loro sistema pensionistico con un meccanismo d’amministrazione di fondi pensione, che obbligano le stesse imprese in cui essi lavorano ad adattarsi agli imperativi della redditività immediata, e con ciò si aggravano le loro condizioni di lavoro, si estende e si approfondisce la zona d’influenza della sfera finanziaria.
Gli hedge funds -fondi d’investimento non regolati che concedono ai loro gestori maggiore libertà rispetto ai fondi tradizionali in cui sono più limitate, per legge, le percentuali dei ricavi- costituiscono una fonte importante del mercato globale dei ricavi. Secondo l’ultimo rapporto di Merrill Lynch, l’ammontare degli investimenti minimi richiesti per partecipare a tale attività si é ridotto alla metà. Attualmente sono necessari appena 5 milioni di dollari.
Alla facilità con cui questi fondi si spostano é stata attribuita nel 1997 la depressione dei mercati finanziari in Asia e l’esplosione della crisi in Tailandia.
Attualmente, esistono 450 mila milioni di dollari investiti negli hedge funds in tutto il mondo. Se é certo che la principale fonte di denaro che alimenta tali fondi di copertura proviene quasi esclusivamente da persone ricche, essi sembrano essere alla portata di altri gruppi della popolazione. La porta é stata aperta dal maggior fondo pensioni degli Stati Uniti (con un patrimonio attuale di 151 mila milioni di dollari) ed uno dei più consistenti del mondo, il CalPERS (California Public Employee Retirement System).
I gestori del CalPERS hanno investito 10 milioni di dollari negli hudge funds, per cui si attendono che il milione e 200 mila di lavoratori e pensionati che hanno affidato a tale fondo la loro pensione riceveranno maggiori ritorni dal loro investimento. La redditività potrebbe essere persino di un 8% superiore a quella offerta dal tesoro americano, ma che accadrebbe se le previsioni si volgessero in senso contrario?
Recentemente é stata avviata una nuova attività finanziaria, quella dei fondi degli hedge funds, che già muove attivi per un valore di 100 mila milioni di dollari, vale a dire il 20% del totale degli hedge funds. Il pessimismo e la paura hanno rappresentato la principale spinta per il decollo di questa incipiente industria, diretta a garantire il recupero del capitale investito.
Dato che il rischio é minore ed esiste l’opportunità di investire su una selezione dei migliori fondi di copertura, non si limita l’ingresso a nessun investitore, come nel caso degli hedge funds.
Il potenziale di tali strumenti é enorme e si stima che nei prossimi tre anni il patrimonio gestito da questi fondi crescerà ad un ritmo annuo del 20%. Alcuni osservatori ritengono che si tratti dell’esplosione di una nuova nicchia di mercato controllato dagli statunitensi, che concentrano il 70% dell’attivo di tali fondi contro il 15% degli europei ed il 10% dei giapponesi.
L’attrazione verso l’uso di tali strumenti per il trasferimento dei capitali nei paradisi fiscali é enorme. Anche negli Stati Uniti, dove recentemente si sono avute varie crisi relative alla scoperta di enormi truffe finanziarie, questa continua ad essere l’opzione preferita.
Nel febbraio del 2002, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti annunciò che avrebbe iniziato uno studio sull’aumento del numero delle imprese statunitensi che hanno trasferito le proprie sedi nei “paradisi fiscali”, ma alcuni rappresentanti del Partito Democratico hanno considerato insufficiente tale progetto.
Il trasferimento nei paradisi fiscali come le Bermuda, dove le imprese fruiscono di minore tassazione e di maggiori guadagni contabili, é diventato ancora più popolare negli ultimi mesi. Come esempio, si segnala la Stanley Works, impresa con sede nel New Britain, Connecticut, che ha annunciato appena qualche tempo fa che si sarebbe unita alla lista. Le recenti cadute del valore delle azioni hanno trasformato il ricollocamento sotto le leggi impositive in una misura più economica, e le imprese di contabilità e di consulenza si sono trasformate in portavoce di tale idea.
Questa situazione discutibile dà adito a grandi polemiche giacché, subito dopo gli attentati dell’11 settembre, é stato modificato l’uso dei regolamenti contabili e finanziari delle imprese statunitensi in conseguenza dei problemi di varie imprese nei paradisi fiscali, come la Tyco International Inc. e la Global Crossing Ltd., entrambe con sede nelle Bermuda. In tal senso, la propaganda sul trasferimento di capitali verso tali paradisi fiscali risulta essere contraddittoria.
Simultaneamente, la politica adottata dalle autorità finanziarie in questo senso cerca di persuadere i cittadini dei probabili guadagni ottenibili e quanto sia attualmente antiquato pensare alla solidarietà tra nazioni, popoli e generazioni o alla cooperazione ed aiuto ufficiale allo sviluppo.
I paesi membri dell’OCSE, con il pretesto di stimolare lo sviluppo economico e l’occupazione, non hanno rinunciato a firmare l’Accordo Multilaterale sugli Investimenti (AMI), che assegnerebbe tutti i diritti agli investitori e imporrebbe, così, tutti i doveri agli Stati. Allo stesso modo, la Commissione Europea ed alcuni governi pretendono di continuare la loro crociata per il libero scambio, attraverso l’esecuzione di una patto per un Nuovo Mercato Transatlantico (NTM), lo stesso che punta apertamente a consolidare l’egemonia degli Stati Uniti nei settori degli audiovisivi e, dall’altro lato, allo smantellamento della politica agricola comune europea.
I paradisi fiscali hanno proliferato in tutto il pianeta, e spesso si sono trasformati, al di fuori della legge, in ricettori di denaro proveniente dalla criminalità. Vi si trova di tutto: dall’isola di Aruba fino alle banche in Svizzera. In essi si porta a compimento tutto ciò che ha a che vedere con il sostegno della delinquenza finanziaria ed il riciclaggio dei guadagni delle organizzazioni criminali, con operazioni in successione: collocamento, accumulazione, integrazione.
Il collocamento consiste nel trasferire denaro liquido e valuta dai luoghi di acquisizione agli istituti finanziari in diverse località, ripartiti in una moltitudine di conti. Si passa quindi alla accumulazione, attraverso il riciclaggio, che rende impossibile risalire all’origine dei benefici illeciti: moltiplicazione di bonifici da un conto all’altro -con i conti frammentati in vari sotto conti- e l’accelerazione dei movimenti di capitale mediante uscite e entrate parallele nei vari mercati finanziari. Quindi, l’ultima tappa, quella dell’integrazione pianificata dei capitali riciclati, raggruppati in conti bancari selezionati e disposti in modo da essere utilizzati in totale legalità.
Le stesse tecniche, e gli stessi circuiti, servono anche per la gestione delle fortune -al di fuori di qualsiasi occhio curioso e anch’esse discutibili per la loro origine- delle famiglie milionarie o dei governanti corrotti, passando attraverso il denaro in nero dello sport e dello show business; attraverso la speculazione, i reati di traffico di informazione privilegiata e la frode fiscale, al di fuori del controllo da parte delle autorità. L’insieme delle fortune private che hanno trovato rifugio nei 55 paradisi fiscali del mondo, si calcola siano equivalenti al 15% del prodotto lordo mondiale.
Tutto ciò si ottiene attraverso l’evasione ed il trasferimento dei guadagni delle multinazionali verso filiali off shore, mediante la manipolazione dei costi di trasferimento; attraverso l’alimentazione di conti protetti di società fantasma; il finanziamento di partiti e personaggi politici; il pagamento di commissioni nei mercati e di moltissime altre operazioni delittuose.
Viene offerta, a prezzi molto competivi, una gamma di servizi finanziari appropriati: segreto bancario protetto da eventuali sanzioni penali, assenza di controllo dei cambi, diritto a realizzare qualsiasi forma di contratto, portare a termine qualsiasi transazione e costituire qualsiasi forma di società, compresa quella fittizia, con l’anonimato garantito dei commissionari.
Anche le condizioni generali sono idonee: esenzione fiscale o imposta globale simbolica; libero accesso, in tempo reale, a tutti i mercati mondiali e corrispondenza garantita con le grandi reti bancarie, generalmente rappresentate sul posto; attrezzature logistiche efficienti, specialmente per quanto riguarda i mezzi di comunicazione; assistenza, arbitraggio, gestione giuridica e contabile in loco; sicurezza e stabilità politica scarsa o inesistente, repressione della criminalità finanziaria e cooperazione internazionale nulla.
Anche se pochissimi paradisi fiscali offrono la gamma completa, ed un gran numero di essi sono specializzati in determinati tipi di servizi, questi si mantengono in relazione tra loro attraverso giochi di operazioni che garantiscono all’utente il massimo dell’efficacia sia nella gestione delle faccende criminali, sia contro le indagini e i processi di polizia e giudiziari.
Per questo le banche elvetiche -la Svizzera é il paese riciclatore per eccellenza- ricevono e “riciclano” le operazioni di accumulo meno presentabili, utilizzando la rete Swift, la rete di telecomunicazioni finanziarie mondiali interbancarie, che raggruppa circa 4000 banche in un centinaio di paesi e garantisce due milioni di bonifici giornalieri codificati, o il sistema Chips che comprende camere di compensazione dei sistemi di pagamento interbancario, che trattano giornalmente circa mille milioni di dollari di movimenti di fondi.
Per gli evasori finanziari che amano dare un’occhiata ai cataloghi pubblicitari dei paradisi fiscali prima di realizzare le loro operazioni, esistono sia su carta patinata sia su Internet i saggi consigli che tutte le Banche rispettabili riservano ai loro migliori clienti. Una buona formula che ha fatto fortuna: far in modo che una fiduciaria svizzera gestisca un conto aperto a nome di una società panamense su una banca lussemburghese.
In generale, milioni di conti, decine di migliaia di società-fantasma (un numero maggiore degli abitanti di Gibilterra, delle Isole Vergini, di Vaduz o dello Jersey) gestiscono e riciclano centinaia di migliaia di dollari del volto occulto dell’economia mondiale.
Il 95% dei paradisi fiscali sono antichi insediamenti o colonie britanniche, francesi, spagnole, olandesi, nordamericani rimasti dipendenti dalle potenze tutelari e la cui sovranità fittizia serve da copertura ad una criminalità finanziaria non soltanto tollerata, ma incoraggiata in quanto utile e necessaria per il funzionamento dei mercati.
La City di Londra -come il resto delle grandi piazze finanziarie- lavora con tale denaro. Ciò é dimostrato dalla costante opposizione della Gran Bretagna -ma anche del Lussemburgo e dell’Olanda- verso qualsiasi tentativo della politica europea di tassazione e controllo dei movimenti di capitali.
E’ veramente inconcepibile che paesi sviluppati, capaci di assecondare ed imporre a decine di nazioni i piani di aggiustamento strutturale del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, e di sottomettere per anni a blocco e a sanzioni economiche Stati come l’Irak, l’Iran, la Libia e Cuba siano gli stessi che, nonostante ciò, promuovono l’auge di tali reati in paesi che in grande maggioranza continuano ad essere dei protettorati.
La OMC e l’Unione Europea, così disponibili ad introdursi in tutti i settori di attività, potrebbero influire, se questo fosse il loro interesse, sullo smantellamento di tali paradisi fiscali ed imporre quindi, realmente, la tanto dibattuta “trasparenza”.
Gli ingranaggi di questa macchina che produce disuguaglianza tra il Nord e il Sud, e anche nel cuore stesso dei paesi sviluppati, possono essere bloccati. Con troppa frequenza l’argomento della fatalità viene alimentato dalla censura dell’informazione sulle alternative. Ciò é tanto vero, che le istituzioni finanziarie internazionali ed i grandi mezzi di comunicazione (i cui proprietari sono generalmente beneficiari della globalizzazione) hanno taciuto sulla proposta dell’economista americano James Tobin, premio Nobel dell’economia, di imporre una tassa alle transazioni speculative sui mercati valutari.
Si é taciuto anche sull’imposizione di una tassa particolarmente bassa tra lo 0,1 e lo 0,5%. Questa somma, assunta e raccolta essenzialmente dai paesi sviluppati dove inoltre si trovano le grandi piazze finanziarie, potrebbe essere consegnata a organizzazioni internazionali per azioni di lotta contro le disuguaglianze, la promozione dell’istruzione e la salute pubblica nei paesi poveri, la sicurezza alimentare e lo sviluppo sostenibile.
Lo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione, ha fatto si che il volume delle transazioni monetarie giornaliere siano passate dai 150 mila milioni di dollari nel 1985 agli attuali 1,5 milioni di milioni. Secondo stime della Banca delle Regolazioni Internazionali, l’imposizione di uno 0,1% sulle transazioni dei mercati di cambio comporterebbe entrate annuali pari a 228 mila milioni di dollari, mentre con lo 0,05% (proposta del Parlamento francese del 1999) si otterrebbero circa 100 mila milioni di dollari l’anno.
Negli ultimi anni, la crescita dell’economia finanziaria ha seguito una tendenza esponenziale. Nel 1988 la capitalizzazione borsistica negli Stati Uniti corrispondeva al 50% del PIL; oggi supera il 150%.
Dopo la crisi finanziaria che ha colpito il Messico nel 1994, i paesi del Sud-Est asiatico nel 1997, la Russia nel 1998 ed il Brasile nel 1999, attribuita in parte alle manovre dei capitali speculativi, é evidente la necessità di ostacolare il movimento internazionale di tali capitali.
Nei termini dell’economia reale, il commercio in beni e servizi per la totalità dei paesi ammonta a 4,3 milioni di milioni di dollari l’anno. Ma le transazioni finanziarie realizzate in meno di una settimana superano il volume totale del commercio mondiale. Gli investitori speculano sui diversi valori delle monete e sulla loro influenza sulle variazioni dei tassi di interesse, senza alcun rapporto con la produzione ed il commercio di beni e servizi.
Alcuni esperti hanno indicato che più del 40% di tali transazioni implicano movimenti di capitali inferiori ai tre giorni, e più dell’80% si muovono in meno di una settimana. L’82% delle transazioni sono realizzate in un numero limitato di paesi: Gran Bretagna (32%), Stati Uniti (18%), Giappone (8%), Singapore (7%), Svizzera (4%), Hong Kong (4%) e Francia (4%).
Gli speculatori finanziari hanno la capacità di ridurre il potere delle banche centrali attaccando direttamente le monete nazionali. Ciò provoca un aumento dei tassi di interesse, quello della disoccupazione, con i problemi sociali che ne derivano, e la diminuzione dell’attività economica.
Ma queste politiche speculative colpiscono anche i paesi che si suppone abbiano economie “sane”. Tali economie si vedono danneggiate dall’incertezza e dagli echi speculativi che si trasformano in catastrofi quando gli speculatori abbandonano una determinata moneta.
Gli attacchi alle monete si verificano costantemente. Vediamo un esempio. Se gli speculatori vogliono attaccare lo yen giapponese, prima cosa chiedono un prestito in yen che convertono poi rapidamente in dollari. Se questa operazione é realizzata da vari speculatori allo stesso tempo, la vendita massiccia di yen provoca la diminuzione del tasso di cambio dello yen rispetto al dollaro che si rafforza nella stessa proporzione rispetto allo yen.
Se durante tale processo lo yen perde il 10% del suo valore, gli speculatori che in quel momento possiedono dollari li rivenderanno per acquistare nuovamente yen il cui valore é diminuito di un 10%. Al momento di acquistare nuovamente gli yen, dovranno restituire il prestito iniziale richiesto, più gli interessi. Se tali interessi fossero del 5%, gli speculatori avrebbero guadagnato un 5% netto (10% - 5% = 5% netto).
Nel caso di un attacco speculativo, il Fondo Monetario Internazionale raccomanda, in generale, un aumento del tasso di interesse per dissuadere gli speculatori, mantenendo sempre la libertà di cambio. L’aumento del tasso di interesse suole far precipitare le crisi economiche, riducendo gli investimenti ed il consumo. Durante la crisi brasiliana del gennaio del 1999, il tasso di interesse aumentò di un 50%, ma il Real si svalutò ugualmente e, come conseguenza, migliaia di persone persero il loro impiego.
Secondo la rivista “Gold Newsletter”, nel settembre del 1992 il famoso speculatore George Soros puntò 10 mila milioni di dollari contro la Sterlina inglese e riuscì a mettere in crisi la Banca Centrale britannica.
Nel suo libro “Soros parla di Soro”, spiegò come riuscì a farlo, forzando la Banca Centrale britannica ad aumentare il tasso di interesse dal 10 al 15% e a usare quasi la metà delle proprie riserve valutarie per sostenere la Sterlina, anche se senza risultato. Si calcola che, grazie a tale operazione, Soros guadagnò circa 2 mila milioni di dollari.
Non sempre gli speculatori escono vincitori da questa corsa al guadagno. Sempre secondo “Gold Newletter”, nel 1987 durante la caduta della borsa, Soros perse, puntando contro lo yen, circa 800 milioni e nel 1994 altri 600 milioni.
Anche se molti esperti concordano sul fatto che é necessario mettere in moto un meccanismo dissuasivo contro così tanta speculazione, la realtà rivela anche una grande opposizione all’idea di creare una tassa per tali transazioni speculative.
La sfida é essenzialmente politica. Per i difensori del potere dei mercati, é totalmente fuori discussione l’accettazione di una tassa sui guadagni, anche se speculativi, perché sarebbe come riconoscere che la libertà di investire non conduce al migliore dei mondi, dopo decenni in cui hanno investito troppo denaro cercando di dimostrarlo.
Nel momento in cui vengono organizzate con successo mobilitazioni, in occasione dei vertici internazionali, l’adozione della Tobin Tax sarebbe vista come una grande vittoria politica sulla fatalità della globalizzazione neoliberale. Si comprende così perché il governo degli Stati Uniti fa tutto il possibile per proibire ogni riferimento alla Tobin Tax nei vertici e nell’ambito delle istituzioni internazionali, per impedire gli studi di fattibilità e la pubblicazione di opere relative al tema.
La sfida é anche economica. Le banche sono i primi attori nei mercato di cambio e sarebbero le prime vittime della Tobin Tax. Non é per nulla strano, quindi, che si oppongano selvaggiamente ad essa. Gli argomenti di coloro che contestano la tassa sono vari.
Il primo, é che tale imposta é impraticabile sul piano tecnico. In realtà, le stesse innovazioni tecniche basate sui sistemi nazionali di pagamento elettronico, indispensabili al sistema bancario e finanziario, fanno si che sia possibile provare ad applicare l’imposta. Questi sistemi permettono di identificare la natura delle transazioni, specialmente quelle cambiarie, e l’identità di venditori e compratori, che evidentemente permette di esigere il pagamento di detta tassa.
Esistono accordi internazionali, come quelli chiamati “accordi di Lamfalussy” che risalgono al 1988, i quali stabiliscono il quadro giuridico appropriato affinché le banche centrali facciano rispettare la legislazione del loro paese da parte di tutti coloro che vogliono utilizzare il loro sistema nazionale di pagamenti elettronici e, per tanto, possono far rispettare il pagamento della tassa. I paradisi fiscali ed i sistemi privati di pagamento chiamati “offshore” non potrebbero eludere per troppo tempo tale imposta.
Esistono soltanto per il fatto che non c’é la volontà politica di eliminarli. D’altra parte, i capitali non possono permanere eternamente confinati nei paradisi fiscali, né usare permanentemente sistemi di pagamento privati. Prima o poi dovranno uscire da questi Paesi per realizzare investimenti e utilizzare i sistemi ufficiali di pagamento. Si potrebbe quindi riscuotere la tassa con addizionali punitive. In modo tale che la Tobin tax sia tecnicamente possibile.
Un altro dei frequenti argomenti si riferisce all’utilità della tassa. La Tobin tax é inefficace in caso di attacchi speculativi di enorme grandezza, come quello che condusse all’esplosione del Sistema Monetario Europeo nel 1992-1993, o come quello che provocò la fuga di capitali dal Sud-Est asiatico.
La risposta é semplice. L’essenza di un’imposta di tale indole, é di agire in maniera preventiva impedendo che piccoli attacchi speculativi si trasformino, nel momento in cui fossero resi non redditizi, in attacchi di grande portata. Se nonostante tutto si scatenasse un grande attacco speculativo su una determinata moneta, si potrebbe aumentare, transitoriamente, l’ammontare dell’imposta, ad eccezione, sempre, delle transazioni vincolate al commercio e all’investimento.
Annunciando pubblicamente, e in anticipo, che l’imposta aumenterebbe automaticamente se i tassi di cambio fluttuassero fortemente, qualsiasi banca centrale potrebbe scoraggiare efficacemente la speculazione. Se ciò non fosse sufficiente, nulla impedisce di ricorrere alle classiche misure di controllo dei cambi come nel 1998 la Malesia, nonostante l’opposizione degli investitori internazionali.
Può attuarsi ugualmente con una imposta sulle entrate eccessive da capitale, messo in pratica fino a poco tempo fa dal Cile.
Non si può inoltre trascurare il fatto reale che tale imposta non risolverà tutti i problemi che l’umanità ha di fronte. Ma potrebbe contribuire efficacemente alla ricostruzione del sistema monetario internazionale nel quale i tassi di cambio sarebbero regolarmente rinegoziati tra i paesi, in funzione degli obiettivi di crescita e di sviluppo.
Pertanto, sarebbe necessario sottoporre a tassazione le transazioni finanziarie stabilendo una imposta del tipo Tobin tax; ciò renderebbe possibile una maggiore trasparenza nelle transazioni che potrebbero essere controllate dalle autorità pubbliche e dalla giustizia.
I problemi che si osservano nel sistema finanziario internazionale, rispondono alle politiche neoliberali liberalizzatrici che sono la causa della volatilità inerente ai mercati finanziari, ma anche alla debolezza che caratterizza le politiche macroeconomiche nazionali nel mondo globale, senza che fino ad ora siano stati creati appropriati meccanismi di coordinamento tra le rispettive autorità.
Altri ostacoli derivano dal fatto che le monete internazionali sono quelle dei paesi industrializzati; ciò implica che una parte dell’intermediazione finanziaria deve essere fatta attraverso il mercato internazionale, controllato da queste economie forti. In tali condizioni i paesi sottosvilluppati debitori si vedono obbligati ad affrettarsi a contrarre prestiti di finanziamento, con scadenze imposte dai paesi creditori e nella moneta di questi ultimi.
Per quanto riguarda la prevenzione e la soluzione di crisi finanziarie, é necessario trovare un equilibrio tra l’enfasi che viene assegnata, nell’attuale dibattito, alla necessità di perfezionare il quadro istituzionale in cui operano i mercati (maggiori flussi di informazione e regolazione e supervisione prudenziali) e l’insufficiente attenzione che continuano a ricevere il disegno delle strutture adeguate che garantiscano la coerenza delle politiche macroeconomiche delle principali economie industrializzate, la adeguata assegnazione di finanziamenti di emergenza in epoche di crisi, e l’adozione di procedimenti adeguati di sospensione dei pagamenti con l’assenso internazionale e di rinegoziazione ordinata del debito estero di paesi che si trovano in condizioni critiche.
Nell’ambito del finanziamento allo sviluppo, deve essere data particolare importanza alla necessità di incrementare l’assistenza ufficiale allo sviluppo a paesi a basso reddito, e al ruolo essenziale che svolgono le banche multilaterali di sviluppo nella erogazione di risorse a paesi a basso e medio reddito che non hanno un accesso adeguato ai mercati, e nella assegnazione di finanziamenti a lungo termine a tutti i paesi sottosviluppati durante i periodi di crisi.
L’assegnazione di un maggiore finanziamento di emergenza con fini di sviluppo, dovrebbe completarsi con un nuovo accordo internazionale sui limiti reali della condizionalità, o la sua totale scomparsa ed il pieno riconoscimento del diritto sovrano di ogni paese di scegliere le politiche macroeconomiche e di sviluppo che considerino pertinenti.
Un altro degli elementi da tenere in considerazione, deve essere il trattamento del debito estero dei paesi sottosviluppati. Questo é uno dei fattori determinanti della povertà e l’emarginazione del Terzo Mondo, per cui le soluzioni del tema dovranno essere radicali ed integrali, partendo dalla possibile cancellazione dei debiti fino alla creazione di condizioni che favoriscano lo sviluppo.
L’architettura finanziaria richiesta attualmente, potrebbe consistere in una rete di istituzioni mondiali e regionali che prestino i servizi necessari in forma complementare in settori come il finanziamento di emergenza, la supervisione delle politiche macroeconomiche e la regolazione e supervisione prudenziale dei sistemi finanziari. In questi casi, soprattutto nel campo del finanziamento allo sviluppo, é preferibile un sistema di organizzazioni competenti.
In ogni caso, le politiche nazionali continueranno ad esercitare un ruolo fondamentale nella prevenzione delle crisi e certe aree dovrebbero continuare ad essere di dominio esclusivo dell’autonomia nazionale, in particolare la regolazione del conto di capitali e la scelta del regime cambiario. Le istituzioni regionali e l’autonomia nazionale sono particolarmente importanti per i partecipanti meno influenti in ambito internazionale.
Note
* Prima ricercatrice al Centro di Investigazione sull’Economia Mondiale (CIEM) l’Avana, Cuba.
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Commenti
quanta ingenuità... questi paradisi fiscali non sono mica nemici di Israele, anzi, ne sono i migliori e splendidi amici. Nulla di inconcepiblile, ma pura conseguenza logica. I paesi non sono tutti uguali: ci sono i buoni e ci sono i cattivi. Non lo sapeva l'articolista?
Londra mi ricorda la rivolta di Wats negli USA qualche decennio fa.
Sarà un caso ma questa situazione fa seguito a quello che lì fecero gli studenti dopo i tagli all'università.
Ho l'impressione che le riforme di Cameron hanno morso la carne viva e questi sono i risultati.Mi auguro solo che non finisca in una guerra tra poveri e che qualcuno faccia visita ai quartieri dei "ricchi".