Una storia mexicana
Il mondo, quello che ci circonda, non è una roba complicata. Quando ti muovi avverti sulla tua pelle quello che puoi e non puoi fare. Se fai fatica a salire due gradini è inutile che provi a farti una passeggiata in alta montagna.
Il "disposto combinato" della tua fatica (il sentiero ripido e la distanza) e della tua resistenza (non fai un cazzo e passi ore seduto) ti dicono che non è cosa.
Se insisti sono cazzi tuoi.
I sensi sono una cosa meravigliosa, ti danno la possibilità di avvertire i segnali di pericolo e quindi in un certo qual modo ti semplificano la vita.
Il problema sono le relazioni tra di noi. Quelle sono complicate, ma per un motivo facile da intuire. Rifiutiamo categoricamente di semplificare il tutto e di elaborare in quel modo quello che ci capita.
Per quella roba lì c'è una sola cosa: l'istinto.
Da questo punto di vista ho fatto con gli anni il mio percorso . Sono un istintivo e annuso la paraculaggine meschina ed ipocrita che mi circonda. Amo i rapporti semplici e non quelli artificialmente complicati.
Vi chiederete " ma dove cazzo vuoi arrivare?"
Forse da nessuna parte ma oggi mischio personale e politica e racconto un po' di vita vissuta.
Si stava a San Cristobal, Chiapas, in un posto che si chiama Tierradentro. Un bar su una delle vie principali. Entri lì dentro e ci trovi un po' di botteghe zapatiste, un ambiente informale e pieno di fricchettoni. Insomma il classico luogo che ti fa sentire bene.
Quello che cerchi per fare incontri giusti. Lì dentro al mattino incontravo bambini che vendevano pulsera e roba artigianale. Le immagini di zapata ti osservano dalle pareti mentre sei lì con loro che ciacoli e giochi, contratti arrendendoti immediatamente a quegli occhi. Sembra tutto perfetto.
Il titolare del posto è un messicano con capelli lunghi e barba. Osserva il tutto dal suo angolo intrattenendo qualche amico suo che passa di là a salutarlo.
Ha messo un quaderno con fogli bianchi all'ingresso, lì puoi scrivere quello che vuoi.
Mi piaceva entrare lì al mattino e passare le prime ore della giornata, lì ho conosciuto compagni e compagne, ascoltato storie ed iniziato a muovermi nel magma della "otra campana".
Mi piaceva ma il tipo, senza sapere perché, mi stava sui coglioni solo a guardarlo.
Ero lì, un giorno, ed osservavo i ragazzini vendere la loro mercanzia. Ad un tratto scomparvero dalla mia vista perché lo spazio tra me e loro era occupato dal "tizio". Li redarguì costringendoli ad uscire perché disturbavano i turisti.
E così, raccogliendo le loro cose e tirando su con il naso, andarono via e l'unico posto in cui poi li ho visti è stato in piazza. davanti alla cattedrale.
Ricordo la mia incazzatura, andare su quel cazzo di quaderno con i fogli bianchi e rovesciare lì i miei improperi. Non ci sono più andato a fare colazione al tierradentro, non ci credo ai rivoluzionari che cacciano i bambini. Li mando in culo.
Ho chiesto spiegazioni sulla presenza di tiende zapatiste ed un comportamento del genere. Mi hanno raccontato che a quel tipo era stato vietato di frequentare le comunità sulle montagne. Non era il benvenuto, e che le botteghe pagavano l'affitto ed era una questione aperta su cui avrebbero preso una decisione.
Spero di essere lì a febbraio del prossimo anno, andrò in piazza, cercherò quei ragazzini e le loro madri, proverò a riannodare un filo perché quando ero lì ho fallito in una cosa che poteva farli stare un po' meglio. Andrò a sentire la marimba ed a ciacolare e ridere con loro. E passerò dal tierradentro solo per salutare un paio di compagni che lavorano lì. Ma il cibo lo dividerò da un'altra parte con chi mi farà stare bene, istintivamente.
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