Falsi miti: i tedeschi lavorano di più
Questa mattina ho ascoltato un tizio (naturalmente del PD) sulla 7 dire che in Germania si lavora più che in Italia, per sottolineare questo ha detto che i tedeschi hanno questo vantaggio rispetto a noi e lo sfruttano.
Avevo in testa ancora quella piccola ricerca sulla produttività dalla quale si evinceva che il problema era nella produttività da capitale (macchine), nei processi d'innovazione che mancano e nella scarsa qualità del tipo di produzione a cui si sono convertite gran parte delle imprese e non tanto nel quanto la gente spendeva del suo tempo in fabbrica.
Mi torna utile, a questo punto, inserire un paio di punti di vista sulla questione se non altro per dare l'opportunità al tizio che ho ascoltato questa mattina di non dire minchiate.
1° punto la qualità del lavoro, la flessibilità e l'innovazione:
Nel nostro paese, la politica economica e il dibattito sulla crescita hanno invece posto poca enfasi sull’accumulazione di capitale innovativo – quello legato alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) – e sul suo effetto sulla dinamica della produttività, soprattutto in quei comparti dove essa è maggiormente dipendente dal progresso tecnico. Questa “omissione” diventa particolarmente sorprendente quando si osserva che, negli ultimi venti anni, nell’economia italiana si è verificato un deciso rallentamento dell’accumulazione di capitale, soprattutto di tipo innovativo, e che questo ha avuto ripercussioni particolarmente negative sulla dinamica della produttività.
In breve, la nostra tesi è che a partire dagli anni novanta la maggiore flessibilità del mercato del lavoro, assieme ad altri mutamenti profondi del funzionamento di questo mercato, come l’immigrazione, abbia fornito minori incentivi all’accumulazione di capitale, frenandone il ritmo di crescita e influenzando negativamente la produttività. Il legame tra i due fenomeni (la decelerazione nel ritmo di crescita del capitale e la stagnazione della produttività del lavoro) ha avuto due snodi importanti: il rallentamento dell’intensità di capitale, cioè del rapporto capitale/lavoro; il fatto che questo rallentamento, interessando in particolar modo il capitale innovativo, abbia prodotto effetti negativi sulla produttività, sia diretti (attraverso l’intensità di questo tipo di capitale) che indiretti (non favorendo il progresso tecnico e dunque la crescita della PTF).
2° punto: ma quanto lavorano i tedeschi?
ROMA – Le considerazioni della cancelliera tedesca Angela Merkel secondo cui nei paesi dell’Europa latina come Grecia, Spagna e Portogallo regna il “lassismo sociale” sono state confutate da un’analisi della banca francese Natixis, che ha scoperto come i “tedeschi lavorano molto meno rispetti agli europei meridionali e non lavorano più intensamente”, come ha sottolineato Patrick Artus, capo economista di Natixis.
L’analisi fa una chiara panoramica delle ore di lavoro e delle età medie di pensionamento: in media un tedesco lavora 1390 ore l’anno e va in pensione a 62,2 anni, al contrario di Grecia dove le ore lavorative annuali sono in media 2119 e con 61,5 anni in media di età per la pensione. Il Portogallo è il paese dove l’età media di pensionamento è più alta con i suoi 62,6 anni in cui il lavoratore in un anno è impegnato per 1719 ore, situazione simile a quella spagnola con età media di pensionamento pari a 62,3 anni e le sue 1654 ore di lavoro. Anche l’Italia è un paese meno “lasso socialmente” di quanto la cancelliera Merkel possa pensare con le sue 1773 ore lavorative in media all’anno, anche se la pensione arriva prima, in media attorno ai 60 anni di età.
Se dunque i paesi dell’Europa latini sono tutt’altro che “lassi”, rimane il dubbio sulla profonda differenza in termini di guadagni tra uno stato come la Germania e ad esempio la Grecia, paese in cui la crisi economica ha suscitato profondi disagi. La risposta secondo Artus è da cercare nella “qualità” del lavoro, poiché lo stato tedesco da sempre punta sull’innovazione e la ricerca, investendo nella specializzazione dell’industria di alto livello, agevolato anche dai risparmi elevati del settore privato, oltre che dalla manodopera altamente qualificata, al contrario di Grecia, Spagna e Portogallo.
Il numero di brevetti che ogni anno la Germania deposita supera di 70 volte il numero di brevetti depositati da Spagna, Portogallo e Grecia messi insieme, una testimonianza significativa delle differenti scelte economiche attuate dai vari paesi, da cui si evince che il netto divario non è delineato dal “lassismo sociale”, bensì dal mancato investimento in ricerca ed innovazione da parte dei paesi delle’Europa latina, che a fronte di una maggiore produzione rispetto alla Germania non ottengono gli stessi guadagni.
6 giugno 2011
Fonte:http://www.blitzquotidiano.it/
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