La resistenza non muore mai


In basso potete leggere l'intervista ad un partigiano di 97 anni. Va in giro per le scuole di Torino a raccontare cosa è stata la resistenza. Ci voglio tornare su questa cosa perché la memoria e quegli ideali sono importanti, specie di questi tempi.
La resistenza è stata sangue, morte, sudore e sofferenza. La resistenza è stata ferocia contro uomini  e feccia che hanno trasformato questo paese in un cimitero a cielo aperto.
La resistenza è stato il minimo per uscire da anni di oblio e cervello buttato nel cesso.
La resistenza è quello che insegno a mio figlio, perché di partigiani ne avremo sempre bisogno.





fonte: la repubblica di Torino
NELLA banca dati del partigianato piemontese, realizzata dall'Istituto per la storia della Resistenza di Torino, compare come appartenente a una divisione di Giustizia e Libertà, con i nomi di battaglia di "Olivia, Buby, Ottolini" e con il grado conseguito di "patriota". E patriota della libertà, soprattutto quando va a incontrare i giovani nelle scuole, l'avvocato e scrittore Massimo Ottolenghi, a quasi 97 anni d'età, lo è quanto prima e più di prima. Gli chiediamo allora di parlarci delle ragazze e dei ragazzi di oggi, ai quali spiega che, come nel 1944 e nel 1945, "ribellarsi è giusto", che è anche il titolo del suo ultimo libro. "Mi sembrano molto smarriti. Vorrebbero fare qualcosa per questo Paese, ma non sanno da che parte cominciare. Mi dicono di essere sperduti e che nessuno, a cominciare dai giornali, dà loro spazio. C'è stato chi mi ha fatto notare che i giovani più svegli, più desiderosi di dare una risposta partecipativa, dietro hanno però una massa amorfa, e come non sia facile sventolare la bandiera di qualcosa, come non sia semplice sventolare la ragione".

La lotta di liberazione resta un'esperienza che ha segnato profondamente la sua esistenza. Ma quella storia è ancora maestra di vita?
"Certo: la Resistenza è fondamentale. Tutto parte di lì; tutto comincia dal fatto di non essere riusciti a portare a fondo la pulizia dell'Italia. Non parlo soltanto dell'epurazione dei fascisti, ma della pulizia morale, del rinnovamento, della rinascita. Un grande risultato, è vero, lo abbiano ottenuto ed è la Costituzione, sebbene adesso gli sputino sopra".

Nuto Revelli li chiamava i partigiani del 26 aprile. Lei se li ricorda gli opportunisti, i furbi, quelli che salirono sul carro del vincitore? 
"Ci fu allora un gattopardismo fulmineo. Ricordo che, dopo la liberazione, gente che era stata fascista, e che lo era stata fino a pochi giorni prima, si faceva vedere sfoggiando al collo il fazzoletto rosso dei partigiani. A Bardassano, sulla collina di Torino, uno di questi partigiani dell'ultimo momento uccise un povero russo, un prigioniero di guerra che per tanto tempo era rimasto nascosto in una sorta di tana assieme a un australiano. I contadini li aiutavano, gli davano da mangiare. Poi, il 26 o 27 aprile, saltò fuori quel tizio, armato. Per strada s'imbatté nel russo e vedendolo così biondo, incapace di parlare italiano, lo scambiò per un tedesco e lo ammazzò. Era arrivata la liberazione: anche lui volle arrivare in tempo per ammazzare qualcuno". 

Non si poté neppure impedire che le istituzioni dello Stato repubblicano, dai ministeri alla polizia, alle forze armate, s'affollassero di ex fascisti. Non è così?
"Sì, è così. Le dirò di più: gli stessi partiti si fascistizzarono, impadronendosi delle istituzioni, che non è compito dei partiti. Persino nel sistema elettorale odierno ci sono diverse analogie con quello del regime fascista. Basta confrontare una scheda di oggi con una del 1929, quando la Camera dei fasci ti chiedeva di sottoscriverne una lista bloccata con un sì o con un no. Anche ai giorni nostri la scheda è bloccata dai partiti e i cittadini sono stati svuotati del loro potere elettorale, di scelta. Rammento che cosa disse Ferruccio Parri, il nostro "Maurizio", il giorno in cui venne a Torino, alla nostra sede di corso Vittorio Emanuele. Avevamo già dovuto chiudere il giornale di Giustizia e Libertà. Gli dicemmo che noi avevamo bisogno del giornale, ma Parri rispose che non potevano permettercelo, che non c'erano i soldi. Aggiunse un'altra cosa. Disse che se prima eravamo pochi, ora eravamo ancora di meno".

Che messaggio consegna ai giovani del 2012, in questa primavera in cui si celebra, 67 anni dopo, il 25 aprile?
"Dico loro di formare dei piccoli gruppi e di perseguire piccoli obiettivi, di avere dei valori da seguire. Bisogna fare come fanno le pulci e pizzicare qualcuno mentre dorme".

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