Padri famosi e figli che contestano
Studente arrestato il 14N a Roma scrive al padre: 'chi è il violento?'
Christopher è il giovane studente arrestato a Roma durante gli scontri del 14 novembre a Roma. Dopo diversi giorni di silenzio, ha deciso di rendere pubblica una lettera (pubblicata dall'HuffingtonPost). In questa, lo studente arrestato, e ora agli obblighi di firma, chiama in causa suo padre che subito dopo il suo arresto ha portato avanti discorsi diffamatori nei confronti del figlio, riempiendo salotti televisivi, riviste e giornali di dichiarazioni contro di lui. Il giudizio del padre sul figlio pesa come un macigno e Christopher ha deciso di non stare più in silenzio di fronte alle parole di un padre che vorrebbe più galera per il figlio e una punizione esemplare per rendere giustizia ad un fantomatico "senso di colpa" che, per fortuna, Christopher non ha mai avuto e probabilmente mai avrà.
Mi chiamo Christopher Chiesa, ma ormai lo sapete tutti, ho vent'anni e sono diventato “famoso”. Sono uno degli otto studenti arrestati a Roma durante le violente cariche della polizia al corteo studentesco del 14 Novembre e sono indagato per resistenza. Ma non sono diventato “famoso” per questo. Peso 58 chili ma secondo i verbali di polizia prima di essere bloccato sarei riuscito a tenere testa da solo a quattro agenti. I filmati pubblici del mio arresto raccontano un’altra storia. Ma non sono diventato “famoso” nemmeno per questo. Insieme a migliaia di studenti come me ho deciso di manifestare quel giorno perché credo che il futuro possa ancora essere scritto. Perché credo che i tagli alla scuola, all'università e allo stato sociale siano la scelta cieca di un paese che tutela solo gli interessi di pochi. Siamo scesi in piazza perché volevamo gridare la nostra rabbia proprio dove si prendono queste decisioni ma non ce lo hanno fatto fare.
Non sono diventato “famoso” nemmeno per queste idee anche se le condivido come gran parte della mia generazione. Il motivo per cui sono diventato “famoso” è perchè mio padre sta rilasciando dichiarazioni deliranti su di me e il mio comportamento. Ha detto che sarei dovuto rimanere in prigione perché ho picchiato degli agenti di polizia. Ma lui quel giorno in piazza non c'era.
Lui oggi si permette di parlare di educazione, di violenza e non violenza. Lui che quando da bambino andavo a trovarlo a Cuneo mi faceva passare le giornate da solo in casa. Lui che poi mi riempiva di minacce e di insulti per me, mia madre e tutta la mia famiglia. Lui da cui ho subito per anni violenze fisiche e verbali, ancora ricordo il dolore della sua cintura ogni volta che facevo qualcosa che lui riteneva sbagliato. Lui che mostrava sempre con vanto la sua pistola perennemente portata alla caviglia.
Nonostante tutto questo io ho scelto di far valere le mie idee con forza avendo sempre in odio la violenza. Mi padre dice che sono un terrorista, un bamboccione viziato perché paga i 650 euro di affitto per il monolocale in cui abito. È semplicemente il contributo dovuto alle spese per il mio mantenimento. Tra l’altro mia madre è cassaintegrata e ha a carico altri due figli di dieci e dodici anni e questi sono stati anni molto difficili per noi dal punto di vista economico. Ma nel ristorante di lusso di mio padre un primo piatto costa dai 35 euro in su, e il suo contributo per l'affitto è solo il conto medio di un tavolo di quattro persone. In un ristorante del genere io non potrei mai permettermi di mangiare.
Dice che era preoccupato per me e che mi aspettava fuori dalla questura il giorno in cui sono stato rilasciato. Sarà per questo che quando ero ancora in prigione mi ha lasciato un messaggio su Facebook che iniziava così: “Sei un pezzo di merda”. Negli stessi giorni minacciava mia madre per telefono farneticando che sarebbe venuto a Roma per fare del male a lei, a mio nonno e tutta la mia famiglia. Studio scienze politiche e non pedagogia ma mi riesce difficile capire quale metodo pedagogico ci possa essere nei suoi comportamenti.
Quello che so è che oggi devo andare in questura tre volte al giorno a firmare un registro. Ho così praticamente perso il mio lavoro da giardiniere perché non ho il tempo di lavorare tra una firma e l'altra e anche le lezioni all'università sono quasi impossibili da seguire. Eppure io non ho fatto nulla di quello di cui sono accusato.
Avevo deciso di sottrarmi al ricatto di mettere la mia vita privata in piazza per controbattere ad accuse fin troppo pretestuose. Ciò che mi ha spinto a scrivere oggi, rendendo pubblici fatti del tutto privati della mia vita, è il tentativo di spezzare questo vortice intorno alla mia persona. Sembra che un inedito format televisivo con al centro le mie “beghe di famiglia” abbia risucchiato e cancellato le ragioni della protesta studentesca, la violenza della polizia e perfino il merito della mia vicenda giudiziaria.
Non so perché mio padre stia saltellando come una soubrette in ogni trasmissione televisiva in cui viene chiamato. Forse per il suo bisogno ossessivo di essere sempre al centro dell’attenzione, forse per altri problemi di equilibrio psicologico molto più complessi oppure, come dice qualche mio amico, solo per fare pubblicità al suo ristorante in crisi.
Una crisi che morde tutti, nuove e vecchie generazioni e che non può essere superata solo guardando ai propri interessi personali. Cari genitori, la politica è assente e noi studenti siamo gli unici oggi a voler guardare lontano. Il futuro che vediamo è un buco nero per noi, ma anche per voi. Fidatevi del nostro sguardo e accompagnateci in piazza a manifestare insieme. Ma state attenti e proteggetevi perché i manganelli e i lacrimogeni piovono come le tasse sulla testa di chi non ha un ombrello.
Mi chiamo Christopher Chiesa, ma ormai lo sapete tutti, ho vent'anni e sono diventato “famoso”. Sono uno degli otto studenti arrestati a Roma durante le violente cariche della polizia al corteo studentesco del 14 Novembre e sono indagato per resistenza. Ma non sono diventato “famoso” per questo. Peso 58 chili ma secondo i verbali di polizia prima di essere bloccato sarei riuscito a tenere testa da solo a quattro agenti. I filmati pubblici del mio arresto raccontano un’altra storia. Ma non sono diventato “famoso” nemmeno per questo. Insieme a migliaia di studenti come me ho deciso di manifestare quel giorno perché credo che il futuro possa ancora essere scritto. Perché credo che i tagli alla scuola, all'università e allo stato sociale siano la scelta cieca di un paese che tutela solo gli interessi di pochi. Siamo scesi in piazza perché volevamo gridare la nostra rabbia proprio dove si prendono queste decisioni ma non ce lo hanno fatto fare.
Non sono diventato “famoso” nemmeno per queste idee anche se le condivido come gran parte della mia generazione. Il motivo per cui sono diventato “famoso” è perchè mio padre sta rilasciando dichiarazioni deliranti su di me e il mio comportamento. Ha detto che sarei dovuto rimanere in prigione perché ho picchiato degli agenti di polizia. Ma lui quel giorno in piazza non c'era.
Lui oggi si permette di parlare di educazione, di violenza e non violenza. Lui che quando da bambino andavo a trovarlo a Cuneo mi faceva passare le giornate da solo in casa. Lui che poi mi riempiva di minacce e di insulti per me, mia madre e tutta la mia famiglia. Lui da cui ho subito per anni violenze fisiche e verbali, ancora ricordo il dolore della sua cintura ogni volta che facevo qualcosa che lui riteneva sbagliato. Lui che mostrava sempre con vanto la sua pistola perennemente portata alla caviglia.
Nonostante tutto questo io ho scelto di far valere le mie idee con forza avendo sempre in odio la violenza. Mi padre dice che sono un terrorista, un bamboccione viziato perché paga i 650 euro di affitto per il monolocale in cui abito. È semplicemente il contributo dovuto alle spese per il mio mantenimento. Tra l’altro mia madre è cassaintegrata e ha a carico altri due figli di dieci e dodici anni e questi sono stati anni molto difficili per noi dal punto di vista economico. Ma nel ristorante di lusso di mio padre un primo piatto costa dai 35 euro in su, e il suo contributo per l'affitto è solo il conto medio di un tavolo di quattro persone. In un ristorante del genere io non potrei mai permettermi di mangiare.
Dice che era preoccupato per me e che mi aspettava fuori dalla questura il giorno in cui sono stato rilasciato. Sarà per questo che quando ero ancora in prigione mi ha lasciato un messaggio su Facebook che iniziava così: “Sei un pezzo di merda”. Negli stessi giorni minacciava mia madre per telefono farneticando che sarebbe venuto a Roma per fare del male a lei, a mio nonno e tutta la mia famiglia. Studio scienze politiche e non pedagogia ma mi riesce difficile capire quale metodo pedagogico ci possa essere nei suoi comportamenti.
Quello che so è che oggi devo andare in questura tre volte al giorno a firmare un registro. Ho così praticamente perso il mio lavoro da giardiniere perché non ho il tempo di lavorare tra una firma e l'altra e anche le lezioni all'università sono quasi impossibili da seguire. Eppure io non ho fatto nulla di quello di cui sono accusato.
Avevo deciso di sottrarmi al ricatto di mettere la mia vita privata in piazza per controbattere ad accuse fin troppo pretestuose. Ciò che mi ha spinto a scrivere oggi, rendendo pubblici fatti del tutto privati della mia vita, è il tentativo di spezzare questo vortice intorno alla mia persona. Sembra che un inedito format televisivo con al centro le mie “beghe di famiglia” abbia risucchiato e cancellato le ragioni della protesta studentesca, la violenza della polizia e perfino il merito della mia vicenda giudiziaria.
Non so perché mio padre stia saltellando come una soubrette in ogni trasmissione televisiva in cui viene chiamato. Forse per il suo bisogno ossessivo di essere sempre al centro dell’attenzione, forse per altri problemi di equilibrio psicologico molto più complessi oppure, come dice qualche mio amico, solo per fare pubblicità al suo ristorante in crisi.
Una crisi che morde tutti, nuove e vecchie generazioni e che non può essere superata solo guardando ai propri interessi personali. Cari genitori, la politica è assente e noi studenti siamo gli unici oggi a voler guardare lontano. Il futuro che vediamo è un buco nero per noi, ma anche per voi. Fidatevi del nostro sguardo e accompagnateci in piazza a manifestare insieme. Ma state attenti e proteggetevi perché i manganelli e i lacrimogeni piovono come le tasse sulla testa di chi non ha un ombrello.
Commenti