Tre ragazzini rom
Coltiviamo la nostra bontà (finta) in un dedalo di luoghi comuni.
Speriamo che qualcosa cambi lambicandoci il cervello su come cambiare noi stessi. Passeremo il tempo a fare finta d'impegnare le ore in qualcosa di utile.
La realtà è che se fai qualcosa di utile questo qualcosa fa a cazzotti con i luoghi comuni, ti obbliga a sporcare le tue manine immacolate ed a sfasciare tutto per ricominciare.
Questa sera sono arrivati tre ragazzini rom. Formano una perfetta scala, abitano nel campo ai margini di Settimo e vanno a scuola.
Uno fa la seconda elementare ma non sa leggere, in compenso aveva una marea di esercizi di matematica.
Sì, di quelli con il pallottoliere, le righe ed i segmenti, i pennarelli da contare e sottrarre e roba così.
Se non sai leggere è complicato capire cosa vogliano da te in quell'esercizio.
Mi si è messo vicino ed è stato fantastico 'sto ragazzino minuto e secco come un chiodo. Paziente ma coriaceo.
Odora di selvatico, ha le mani sporche di terra, uno zaino più grande di lui ed un cappello che lascia liberi solo gli occhi.
Suo padre è malato, la madre senza lavoro.
Prossima settimana andrò a trovarli e poi andrò dai loro professori e maestri.
Mi chiamano professore e dicono che sono bravo (sic.) e simpatico.
Bene, in culo a chi dice il contrario.
Fuori da quel doposcuola c'è un quartiere pieno di umanità varia, una babele impressionante di lingue, pattuglie dell'esercito dei poliziotti e dei vigili urbani.
Nonostante questo le cose se devono accadere accadono.
Oltre una certa soglia la sopportazione restituisce scintille di rivolta e questo gli sbirri lo sanno molto bene, è per questo che fanno attenzione.
Quando cammino lungo la strada, alla solita ora, per raggiungere quei ragazzi incontro i soliti volti. Qualcuno mi saluto agitando la bottiglia di birra, molti non si reggono in piedi e mi danno l'impressione che la dose abbia fatto il suo effetto.
Mi trovo bene in quella "moltitudine". Sarà l'incoscienza o la sensazione che non hanno nessun motivo per rompermi i coglioni.
Qui di gente bene non ne vedo. Qualcuno al mattino del Sabato, quando il mercato di Porta Palazzo ed i suoi 5.000 banchi ti offre la possibilità di fare la tua passeggiatina come se fossi davanti allo zoo.
Al termine della serata i tre ragazzini sono tornati nel loro campo. In fila, con il fratello più grande che faceva da apripista.
Scansavano la gente corricchiando e parlottando tra di loro.
Mi hanno trasmesso una sensazione di calore anche se la temperatura è quella tipica dell'inverno. Non hanno nulla, i compiti li fanno su schede fotocopiate, i libri se li passano uno con l'altro, le matite sono rosicchiate ed a stento stanno tra due dita. Di penne neanche a parlarne.
Penso che non ci vuole molto a sentirsi bene, a chiudersi la porta alle spalle senza sentire il bisogno di scaricare rabbia su qualcuno o qualcosa.
Mi chiedo perché non provano esperienze come questa anche gli altri, poi lascio perdere. E' così complicato per le persone trovare la strada in modo semplice. Preferiscono un dedalo di luoghi comuni da consumare con gli amici intorno ad un tavolino.
Speriamo che qualcosa cambi lambicandoci il cervello su come cambiare noi stessi. Passeremo il tempo a fare finta d'impegnare le ore in qualcosa di utile.
La realtà è che se fai qualcosa di utile questo qualcosa fa a cazzotti con i luoghi comuni, ti obbliga a sporcare le tue manine immacolate ed a sfasciare tutto per ricominciare.
Questa sera sono arrivati tre ragazzini rom. Formano una perfetta scala, abitano nel campo ai margini di Settimo e vanno a scuola.
Uno fa la seconda elementare ma non sa leggere, in compenso aveva una marea di esercizi di matematica.
Sì, di quelli con il pallottoliere, le righe ed i segmenti, i pennarelli da contare e sottrarre e roba così.
Se non sai leggere è complicato capire cosa vogliano da te in quell'esercizio.
Mi si è messo vicino ed è stato fantastico 'sto ragazzino minuto e secco come un chiodo. Paziente ma coriaceo.
Odora di selvatico, ha le mani sporche di terra, uno zaino più grande di lui ed un cappello che lascia liberi solo gli occhi.
Suo padre è malato, la madre senza lavoro.
Prossima settimana andrò a trovarli e poi andrò dai loro professori e maestri.
Mi chiamano professore e dicono che sono bravo (sic.) e simpatico.
Bene, in culo a chi dice il contrario.
Fuori da quel doposcuola c'è un quartiere pieno di umanità varia, una babele impressionante di lingue, pattuglie dell'esercito dei poliziotti e dei vigili urbani.
Nonostante questo le cose se devono accadere accadono.
Oltre una certa soglia la sopportazione restituisce scintille di rivolta e questo gli sbirri lo sanno molto bene, è per questo che fanno attenzione.
Quando cammino lungo la strada, alla solita ora, per raggiungere quei ragazzi incontro i soliti volti. Qualcuno mi saluto agitando la bottiglia di birra, molti non si reggono in piedi e mi danno l'impressione che la dose abbia fatto il suo effetto.
Mi trovo bene in quella "moltitudine". Sarà l'incoscienza o la sensazione che non hanno nessun motivo per rompermi i coglioni.
Qui di gente bene non ne vedo. Qualcuno al mattino del Sabato, quando il mercato di Porta Palazzo ed i suoi 5.000 banchi ti offre la possibilità di fare la tua passeggiatina come se fossi davanti allo zoo.
Al termine della serata i tre ragazzini sono tornati nel loro campo. In fila, con il fratello più grande che faceva da apripista.
Scansavano la gente corricchiando e parlottando tra di loro.
Mi hanno trasmesso una sensazione di calore anche se la temperatura è quella tipica dell'inverno. Non hanno nulla, i compiti li fanno su schede fotocopiate, i libri se li passano uno con l'altro, le matite sono rosicchiate ed a stento stanno tra due dita. Di penne neanche a parlarne.
Penso che non ci vuole molto a sentirsi bene, a chiudersi la porta alle spalle senza sentire il bisogno di scaricare rabbia su qualcuno o qualcosa.
Mi chiedo perché non provano esperienze come questa anche gli altri, poi lascio perdere. E' così complicato per le persone trovare la strada in modo semplice. Preferiscono un dedalo di luoghi comuni da consumare con gli amici intorno ad un tavolino.
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