L'odio di classe
La cosa triste di certi rivoluzionari de noartri è che sono ignoranti.
Quando citano sanguinetti con l'esternazione celebre sull'odio di classe dimenticano che il nostro citava, quasi alla lettera come diceva nell'intervista che copio, una frase di Benjamin.
Questa è gente che vive di slogan e che Sanguinetti avrebbe mandato a letto presto la sera, perché al mattino c'è da lavorare.
Leggetevi l'intervista, va'!
E il poeta disse "L’odio di classe

Maestro, ci è andato giù pesante.
«Forse mi potevo spiegare meglio - sorride Edoardo Sanguineti - ma sì... serve l’odio di classe».
Non era stato così diretto neanche con Umberto Eco.
«Nooo, lui lo chiamo cardinale ma per scherzo! Però da tempo ho rinunciato a parlargli di politica. L’ultima volta che ci siamo visti, circa un anno fa a un convegno, mi voleva tessere l’elogio di don Bosco, come emancipatore dei lavoratori. Gli dissi che quelli come don Bosco non facevano altro che fornire la materia bruta per il mondo sorgente dell’industria».
Diceva che si sarebbe potuto spiegare meglio sull’«odio di classe».
«Vede, alla teoria dei bisogni radicali di Marx credo da quando ho l’età della ragione. E chiunque abbia una posizione “di sinistra”, a mio giudizio, non può non crederci. Diverso è il discorso sull’odio di classe. Quella era una citazione quasi testuale di Benjamin».
Maestro, è meglio che non l’abbia citato, un mucchio di gente non sa chi sia
. «Forse ha ragione lei, il chiarimento sarebbe stato ancora più criptico della citazione. Però le ripeto, è stato Walter Benjamin, credo di citare testualmente, a parlare del “valore filosofico dell’odio di classe”. Questo concetto non ha niente di barricadero, non è questo ciò a cui penso. Benjamin - un po’ come faceva Antonio Gramsci in Italia - lamentava che quando l’accento è posto meccanicamente, positivisticamente, sull’idea di progresso, si perde di vista che il compito di una politica “di sinistra” non è la felicità futura, è la rivendicazione dell’ingiustizia passata e presente, fatta in nome della classe oppressa. L’odio è un motore».
Ma chi sono i proletari oggi?
«Tutti, anche lei e io. Il problema del proletariato attuale è che comprende i tre quarti della popolazione, ma molti non lo sanno. Se un piccolo materialista storico come me potesse aiutare qualcuno a prenderne coscienza...»
A Genova penseranno che le questioni da lei poste sono, come dire, inattuali.
«L’inattualità nel senso di Nietzsche?»
Esattamente quella.
«Io credo che viviamo in un mondo interconnesso, in cui anche i problemi piccoli dipendono da quelli filosofici, e quelli locali dal resto del mondo».
Ecco, se arriva da lei sindaco un musulmano e le chiede di costruire una moschea in città cosa gli dice?
«Rifiuto un’immagine di opposti integralismi, di conflitti di civiltà. Dunque è un dovere, anche costituzionale, che un comune provveda a una richiesta di questo genere. Solo in questo modo poi posso pretendere un autocontrollo e una responsabilizzazione da quella comunità».
Non è che farà come Cofferati a Bologna sulla sicurezza?
«Io a differenza di lui credo che le città debbano aprirsi. Poi sono un vecchio comunista, berlingueriano, togliattiano, dunque sono per l’ordine, il decoro, la sicurezza. La notte non si può fare chiasso alle 4 sotto casa di chi la mattina dopo va a lavorare».
Con i figli di Berlinguer, D’Alema-Fassino-Veltroni, ha mai discusso?
«Con D’Alema sì, sul Kosovo. Io la ritenevo una guerra incostituzionale. Fu un dialogo tra sordi. Andò persino meglio con Prodi».
Che vi siete detti?
«Gli feci dei rilievi, mi pare sulla flessibilità, che io avverso; e lui interloquì, ammettendo che alcune istanze erano da ascoltare. È un cattolico, da cui so di non potermi aspettare certe cose; dai berlingueriani D’Alema o Veltroni invece mi aspetterei qualcosa di più del partito democratico, che tra l’altro alla fine forse neanche faranno».
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