Rivera e Siqueiros… e la revolucion

Majakowskij dedica al Messico una parte importante del suo libro America. Narra del suo incontro con Diego Rivera di cui parla con poche e scarne righe. Di lui ci lascia l’immagine di un uomo imponente, con una gran pancia che confessava al suo interlocutore che metà delle cose che gli raccontava erano bugie. Era il 1925. Nel Messico la rivoluzione aveva terminato il suo percorso nel 1917 con la promulgazione della nuova costituzione, gli scontri armati erano cessati nel 1920 . 
Le ragioni della rivoluzione messicana Nel 1910 il Messico aveva una popolazione di 15 milioni di abitanti, di cui circa tre quarti vivevano nelle campagne. La proprietà delle terre era concentrata nelle mani di poco più di 800 grandi latifondisti e 400 mila piccoli e medi proprietari. Di fronte a loro 12 milioni di peones conduceva una vita misera. Negli anni della rivoluzione un milione di persone perse la vita in quella che nel corso del tempo finì per trasformarsi in una guerra civile. Fu uno scontro in cui si confrontarono posizioni radicali. Una aveva come obiettivo la distribuzione della terra ai contadini attraverso una profonda riforma della proprietà agraria, dall’altra parte si combatteva per la conservazione di privilegi che avevano fatto del Messico uno dei paesi più diseguali dell’intero continente americano. Fu una rivoluzione che ebbe vicende alterne, con personaggi entrati nella cultura popolare come Francisco Villa ed Emiliano Zapata. Il primo un ex proprietario terriero ed il secondo un contadino dalle umili origini. La sua conclusione rappresentò la fine di un’epoca in cui le imprese leggendarie di molti dei suoi protagonisti furono raccontate da John Reed in un libro intitolato il Messico insorge. L’anno in cui Majakowskij arriva in Messico il potere era nelle mani del generale Plutarco Elías Calles. Questi aveva avviato una serie di riforme politiche e sociali che lo posero in conflitto con la chiesa ed i latifondisti. Riforme come quella dell’istruzione e della distribuzione delle terre furono osteggiate in modo violento, portando ad una serie di rivolte tra cui quella dei cosiddetti cristeiros. 

  La pittura ed i murales come narrazione di un’epoca e differenze con gli affreschi 
Rivera e Siqueiros sono due tra i pittori messicani più conosciuti. Le opere che li hanno resi famosi sono i murales con i quali hanno raccontato le vicende del loro popolo e la storia della loro nazione. Ciò che caratterizza il murales rispetto ad un affresco è principalmente come e cosa si comunica. Il murales è un’opera in cui il messaggio è veicolato in senso orizzontale rispetto allo spettatore, ha un carattere sociale di critica ed è indirizzato come monito dal popolo ai custodi del potere. La sua funzione decorativa é subordinata a tutto ciò, quello che conta é la narrazione delle vicende di un’epoca dal punto di vista di chi ne é stato protagonista. Quel punto di vista non è neutro e rappresenta, nelle opere di Rivera e Sigueiros, gli interessi e la visione degli oppressi. Il contrario di ciò che possiamo osservare negli affreschi prodotti, ad esempio, in epoca medievale. Qui la comunicazione è verticale rispetto allo spettatore, le sedi delle opere sono per lo più chiese e cattedrali. La funzione è quella di narrare eventi biblici. Attraverso le immagini la chiesa superava i problemi di analfabetismo e la bibbia in questo modo viene raccontata al popolo. Il suo messaggio didascalico è di tipo imperativo, serve da monito ed esprime un giudizio rispetto alle vicende terrene. 

 L’intervista impossibile a Rivera e Siqueiros 
Mi ritrovo qui dopo aver dato un’occhiata agli appunti per provare a sentire loro, i protagonisti di un’epoca che ha visto il realizzarsi della prima rivoluzione del XX secolo. Gente dall’ego smisurato, con un vissuto degno di un romanzo, figli di un paese bellissimo e pieno di contraddizioni. Come con Picasso e Coubert il dialogo sarà qualcosa che travalicherà il possibile, l’assenza materiale dei due mi pone in un punto dell’universo sconosciuto. Provo ad individuarne la sostanza fisica, attribuisco loro un’età indefinita ed inizio.

 Allora, come vi ritrovate in questa specie di spazio indefinito privo di materia? 
 Siqueiros- 
Non si può definire l’assenza del tutto. E’ qualcosa che travalica l’esperienza terrena ed umana. Quindi non posso dire come sto. Però c’è quello che sono stato e di quello possiamo parlare. 

 Rivera-
 Sono d’accordo. Strano eh che sia d’accordo con lui. Specie dopo quello che ci siamo detti da un certo punto in poi. Ma quella è parte della nostra storia e di come eravamo. 

 Beh, ditemi di voi, del vostro modo di intendere la pittura. Avete vissuto un periodo denso di cose e avvenimenti. Raccontate… 

 Siqueiros-
 Che vuoi che dica, certe vite sono indirizzate sin da piccoli. Io ero un casinista, un attaccabrighe da piccolo e uno che cercava risposte da grande. In qualche modo è stato un modo di intendere la vita e vedere la società che poi ho trasferito nelle mie opere. Da quindicenne organizzai uno sciopero perché contestavo i metodi di insegnamento nella scuola che frequentavo. Attaccammo il direttore scolastico, era il 1911. Sono stato un guerrigliero di Zapata, ho partecipato alla rivoluzione imbracciando il fucile. Ho lottato di fianco a minatori e peones per i loro diritti. A 18 anni ero in prima linea contro Huerta. Non mi sono fatto mancare nulla, l’adrenalina dello scontro, l’esperienza della militanza erano un motore potente. Sono stato in Spagna a combattere per il fronte repubblicano contro i fascisti, ho passato diversi anni in carcere nel mio paese. L’ultima volta furono quattro anni in una cella di 9 metri per tre con altri compagni di avventura. 

 Rivera- 
Non so se definirmi un ribelle. Ho raccontato a Gladys March cosa sono stato sin da piccolo. Ricordo a sei anni, quando mi trascinarono in chiesa, lo scandalo per quello che dissi alle persone raccolte in preghiera e timorate di Dio. «Ma dite un po’, questo timore fa forse in modo che i mendicanti, la povera gente, o i minatori disoccupati non entrino più di soppiatto nelle case dei ricchi, nelle drogherie, nei negozi di abbigliamento dei gabachos o nelle haciendas dei gringos per prendersi un po’ delle cose di cui hanno bisogno?” Quelle parole sono nella mia biografia e ogni tanto mi piace ricordarle per far capire come ci sono arrivato a dipingere in un certo modo. 

Chi è più rivoluzionario tra voi due? 

 Siqueiros- 
La mia vita è là, puoi leggere qualcosa di quello che sono stato. Poi, che significa rivoluzionario? Se intendi la tecnica, i materiali usati per dipingere penso di aver percorso strade che in seguito sono state di altri. Ho rifiutato la tecnica dell’affresco nel dipingere murales quasi per caso. Sono arrivato ad una sorta di rivoluzione nell’uso dei materiali perché costretto. Ero impegnato in un corso d’arte che tenevo nella scuola di Chouinard sulla tecnica dell’affresco, lì la prima cosa che mi venne in mente fu quella di spostare il lavoro su un muro esterno all’edificio. Dipingere sul cemento con uno strato di calcina impermeabile e sabbia ci pose un po’ di problemi. Pensavamo in quel modo di superare le difficoltà nella conservazione dell’opera, evitando i danni procurati dalla luce e dall’acqua . Non avevo calcolato che a quella latitudine e con quel caldo il colore si sarebbe asciugato velocemente costringendomi a lavorare solo su piccole porzioni. Così mi inventai l’uso della pistola a spruzzo al posto del pennello. Come sai ho frequentato un regista come Eisenstein che conobbi da noi mentre girava “Que viva Mexico”. L’uso che faceva della macchina da presa mi suggerì l’idea di usare il proiettore per riportare sul muro il disegno dei miei soggetti. Abbandonai così il riporto a spolvero dei miei disegni, fu come passare dall’uso di un carro trainato da buoi per viaggiare all’automobile. Ho usato quello che voi definite nuove tecnologie per sviluppare al meglio il mio metodo di lavoro. In questo ho sempre fatto affidamento sulla ricerca e sul lavoro collettivo. Non ho mai avuto paura di sperimentare e con me hanno percorso un pezzo di quella strada artisti come Jackson Pollock e Harold Lehman con cui nel 1936, a New York, misi in piedi un laboratorio sperimentale. 

Rivera- 
Rivoluzionario perché usi la pistola a spruzzo? Questo modo di concepire l’arte attraverso l’uso dei materiali è una cosa che ho sempre rifiutato. Mi interessava di più il linguaggio, il modo in cui ti ponevi nei confronti di chi osservava l’opera. Nella mia biografia scrissi questa cosa: «La società del futuro sarebbe stata una società di massa e questo fatto presentava problematiche completamente nuove, il proletariato non era dotato di senso estetico, o meglio, il suo gusto si era sviluppato sul peggiore nutrimento estetico – le briciole e gli avanzi caduti dalle tavole dei borghesi. Sarebbe stata quindi necessaria un’arte tutta nuova, che non facesse più leva sulla sensibilità coloristica e formale dello spettatore: a suscitare emozioni dovevano essere i soggetti. La nuova arte, oltretutto, non avrebbe più trovato la sua collocazione nei musei e nelle gallerie ma in luoghi accessibili, frequentati dalla gente nella vita di ogni giorno: uffici postali, scuole, teatri, stazioni ferroviarie e edifici pubblici. E così, seguendo un percorso logico e teorico, arrivai alla pittura murale» Che dite? E’ abbastanza rivoluzionario? Vedi, io e lui in fondo avevamo la stessa opinione su che cosa intendevamo per espressione artistica, per opera pittorica. Non a caso abbiamo usato i muri per dipingere. Nel 1934 mi attaccò con un articolo sul Machete in cui denigrava il mio modo di dipingere, l’uso del pennello e la tecnica tradizionale dell’affresco. Scriveva che io dipingevo al chiuso, per lavoratori “garantiti”, che le masse sfruttate dei peones non avrebbero mai avuto accesso ai luoghi in cui componevo le mie opere, quindi ne sarebbero state escluse e il mio messaggio non sarebbe servito a nulla. In realtà gli pesava il mio successo. Quello che ci ha profondamente divisi, ad un certo punto, sono stati gli eventi storici che ci hanno travolti. Eravamo tutti e due militanti del partito comunista messicano. Lui era uno di quelli che difficilmente criticavano la linea di ciò che veniva deciso in altri luoghi. La spaccatura ed il dissenso vero emerse quando accolsi la richiesta Lev Trockij per far sì che il Messico diventasse il luogo in cui trascorrere l’esilio a cui Stalin lo aveva costretto. In una situazione del genere quello (Siqueiros) che ti combina? Organizza un attentato nei pressi della casa Azul di Frida dove era nostro ospite e per poco non ce lo ammazza sotto gli occhi. 

 Siqueiros- 
Potremmo passare giorni a discorrere di cosa ci ha divisi. Ora non serve a nulla. Fummo anche molto amici, condividemmo Parigi e i suoi artisti. Ci facemmo coinvolgere da ciò che andava di moda in quel luogo, in qualche modo quell’esperienza lasciò dei segni anche se alla fine cercammo di depurare le nostre opere da ciò che sentivamo come in contrasto con le nostre radici. Il cubismo, il surrealismo, il dadaismo…insomma assaggiammo e masticammo tutto ciò che quel periodo ci offriva.

 Rivera- 
Sì, masticammo tutto. Abbiamo dipinto quadri in cui il cubismo è l’interprete tridimensionale della realtà che ci si muoveva intorno. Nei miei viaggi un posto particolare nei ricordi ce l’ha l’Italia. Vi soggiornai a lungo, non è che gli italiani mi facessero una gran impressione, anzi. Come ho scritto : «Ero appena arrivato e già volevo ripartire. Non sopportavo, fra le altre cose, l’abitudine degli italiani di sputare ovunque, per strada, sulla nave, negli alberghi, al ristorante. Sputavano tutti, anche le signore più incantevoli e raffinate» Ci sono rimasto 17 mesi in quel paese. Tempo trascorso a visitare opere d’arte che hanno fatto sì che al mio ritorno in Messico mutasse il palcoscenico su cui volevo far vedere quello che dipingevo. Non più il limite delle tele, ma i muri. Posti in cui narrare la storia del mio popolo, una memoria messa lì indelebile per ricordare a chi sarebbe venuto il luogo da cui arrivavamo, come e a che prezzo.

 Come chiudiamo questo incontro? 

 Siqueiros- 
 Non saprei, forse ricordando che le nostre opere hanno sempre dato fastidio. Hanno provato a cancellarle con la calce, le hanno censurate e mi hanno imprigionato per quelle e per ciò che pensavo. Ho avuto l’ambizione di cambiare il mondo, come tanti. Però qualcosa è rimasto, il messaggio e la forza che ho provato a mettere nelle immagini e con l’uso dei colori. Sì, ho avuto una vita intensa e siamo qui a parlarne. Un privilegio per pochi. 

 Rivera- 
Forse rifarei tutto, con lo stesso impeto. Ad eccezione di una cosa: il dolore che ho procurato alla donna più importante della mia vita. Frida.

Commenti

Post popolari in questo blog

Meglio di così si muore

I poveri e l'economia delle brave persone.